JESSICA CAMBIO: L’AMORE PER L’OPERA DA UN LATO ALL’ALTRO DELL’OCEANO - di Liliana Rosano

NEW YORK\ aise\ - "Se non avesse scelto l’Opera sarebbe diventata una suora, attratta sin da bambina dalla vita monastica. Jessica Cambio, nata e cresciuta a Providence, Rhode Island, dove immigrarono i suoi nonni materni da Ciorlano, provincia di Caserta, fu folgorata sulla via della lirica a dieci anni, quando durante una messa ascoltò l’Ave Maria di Schubert". L’ha incontra e intervistata per La Voce di New York Liliana Rosano. Di seguito il testo dell’articolo pubblicato oggi in primo piano dal giornale on line bilingue diretto da Stefano Vaccara.
"Prima il master in musica a Los Angeles, dopo il perfezionamento all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, a Roma e all’Academy of Vocal Arts di Philadelphia. Una carriera tra l’Italia, gli Stati Uniti e il resto del mondo, nei palcoscenici più importanti con il sogno di cantare portando anche la cultura italiana con la quale Jessica è cresciuta.
Jessica racconta a La Voce di New York il suo amore per la lirica, il movimento #metoo e cosa significa crescere italiana in America e vivere questa dimensione biculturale. "Non sempre tutto è facile: a volte non mi sento a mio agio perché in America sono troppo italiana ed in Italia sono "l’americana". Adesso che sono adulta capisco quanto sia stato difficile sentirmi diversa dagli altri. Come quando a scuola portavo il panino al prosciutto mentre gli altri mangiavano peanut butter and jelly".
D. Jessica, il tuo amore per la musica e le tue origini italiane ti hanno portato a diventare un famoso soprano che ha ottenuto diversi riconoscimenti. Come è nata la tua passione per la musica lirica?
R. Da bambina centavo sempre in casa come se fosse una cosa naturale e la mia vocazione artistica mi ha portato sin dall’inizio a dipingere, scolpire, suonare l’organo che mio padre aveva comprato e prendere delle lezioni di violino a otto anni. Oltre al mio amore per l’arte e la musica, ero attratta dalla vita monastica e ho pensato seriamente di diventare suora. Avevo dieci anni quando durante la messa fui folgorata da una signora che intonò l’Ave Maria di Schubert. Da quel momento mi sono innamorata perdutamente della musica classica e soprattutto della lirica. A 12 anni feci il mio primo debutto pubblico come solista del coro e andai in tournée in Italia per una serie di concerti. Fu la prima volta via dagli Stati Uniti e questo viaggio mi ha cambiato la vita. Una sera a Firenze, durante un concerto in una chiesa freddissima davanti al Mercato San Lorenzo, cantai da solista. Dopo il concerto un uomo inglese si complimentò con me dicendomi "Un giorno ti vedrò alla Scala, signorina, sei bravissima". In quel momento ho deciso di diventare una cantante lirica e non sono mai tornata indietro. Appena rientrata a casa feci un accordo con la mia insegnante di tecnica: lezioni di canto in cambio del mio lavoro come babysitter e mi preparai alle audizioni universitarie".
D. Sei cresciuta in una famiglia italiana e hai trascorso diversi anni nel Belpaese per la tua formazione professionale. Come è stato crescere in una famiglia italo-americana?
R. Da bambina mia nonna mi parlava sempre in dialetto (una specie di napoletano) e ostinatamente mi rifiutai di imparare, esattamente come fa il mio nipotino con me adesso. Riuscivo a capire ma non a parlare e quindi rispondevo in inglese. Il primo viaggio in Italia mi ha dato l’opportunità non solo di conoscere le mie origini, la mia famiglia italiana ma anche la cultura italiana di cui mi sono innamorata fino a decidere di farne oggetto dei miei studi. Il vantaggio del mio essere italoamericana è la possibilità di avere questa bi-dimensione nella vita che significa non solo un doppio passaporto ma una doppia cultura. Non sempre tutto è facile: a volte non mi sento a mio agio perché in America sono troppo italiana (tanti mi chiamano persino Assunta anziché Jessica) e in Italia sono "l’americana". Adesso che sono adulta capisco quanto sia stato difficile sentirmi diversa dagli altri. Come quando a scuola portavo il panino al prosciutto mentre gli altri mangiavano peanut butter and jelly".
D. Cosa apprezzi dell’Italia e cosa ti manca?
R. Ora abito a New York e viaggio spesso per lavoro ma apprezzo tanto dell’Italia e queste sono le cose che porto ovunque con me, che fanno parte della mia cultura e il mio modo di vivere. La prima cosa che faccio quando mi alzo è preparare la moka (bevo sei tazze di caffè). Ascolto la musica italiana di artisti come la Pausini, Giorgia, Tiziano Ferro, Jovanotti, leggo in italiano, insegno, traduco, parlo e sono una fanatica delle pulizie di casa come mia nonna. È inutile dire che mi manca il cibo, il concetto dell’aperitivo, specialmente quello milanese. Mi manca la qualità di vita in Europa e il mio parrucchiere a Modena, i miei amici, la mia famiglia. Mi manca la pizza margherita al forno che costa solo 3 euro ed i miei sabato sera di gnocco, tigelle e Lambrusco con amici. Mi mancano le lezioni con la Scotto e la Freni e con i miei amici pianisti collaboratori. Mi manca la nostalgia che sento quando scendo dal treno a Firenze o a Venezia o Roma per la prima volta dopo tanto tempo, il sole del Sud, la mia casa a Modena.
D. L’opera è il genere italiano più apprezzato negli Stati Uniti ed è la massima espressione della nostra cultura. Cosa amano gli americani di questo genere?
R. La cosa più rilevante di questo genere, a livello mondiale, non solo per quanto riguarda gli americani, è che la musica lirica fa commuovere la gente per la sua lingua, la sua musica, i temi attuali ancora oggi. Questo vale anche per altri generi ma secondo me la lirica - e quella italiana in particolare - ha una marcia in più; una lama più penetrante e diretta alla nostra anima tramite i suoni espressivi e le parole meravigliose scritte da compositori e librettisti tanti secoli fa. Io paragono un’opera di Puccini per esempio a un quadro di Van Gogh: sempre bella, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e offre sempre ispirazione agli spettatori. Questa è arte. Se la lirica è popolare lo dobbiamo a Luciano Pavarotti, che più di altri ha fatto avvicinare tutti al mondo della lirica.
D. Chi sono i tuoi punti di riferimento?
R. Ho tanti punti di riferimento e fonti di ispirazione ma la persona in assoluto fu mia nonna Mariantonia. Fin dall’inizio lei ha creduto in me, nel mio talento, nei miei sogni. Quando ho deciso di andare in Italia con la scuola, pagò il viaggio e mi accompagnò. Quando mi offrirono un posto in un festival o una scuola importante, pagò la retta universitaria. Quando avevo bisogno di un vestito per un concerto, me lo comprò. Non lo fece per viziarmi, non fu ricca, anzi, ma vide in me una certa determinazione simile alla sua quando decise di venire in America per realizzare i suoi sogni. L’altra persona che mi aiuta da sempre è mia madre, la mia migliore amica. Mi ha insegnato a camminare, mi ha dato la vita e continua a sostenermi in tutto quello che faccio. Mi tiene la mano quando ho paura, asciuga le mie lacrime, mi fa ridere ed è quasi sempre presente nel pubblico quando canto, accompagnata spesso dalle tre sorelle, le mie zie, che sono per me come mamme.
D. Quali sono le opere che ami interpretare e quelle più difficili?
R. Io amo in maniera particolare le opere di Verdi, Puccini, Bellini e Donizetti. Sono i miei compositori preferiti, quelli che hanno scritto un tipo di opera che meglio si adatta al mio modo di cantare come soprano lirico e la mia voce è particolarmente adatta al repertorio verista e belcantista. Il mio ruolo preferito, che ancora non ho interpretato, è quello della Madama Butterfly di Puccini. Il ruolo di Violetta ne La Traviata è un’opera d’arte e l’ho interpretata già sette o otto volte in varie produzioni ed ogni volta che la canto trovo qualcosa di nuovo che mi insegna tanto. Amo Alice in Falstaff, Magda ne La Rondine e (ovviamente) Mimì e Musetta ne La Bohème. Ho tantissima voglia di interpretare tanti ruoli: tutte e tre le protagoniste dal Trittico di Puccini, la Norma di Bellini, le regine donizettiane da Maria Stuarda, Anna Bolena, e Roberto Devereux. Adoro le canzoni di Respighi, Tosti, Donaudy, chanson francese, lieder tedesco e mi piacerebbe tanto organizzare un recital alla Carnegie Hall. Il repertorio che trovo bellissimo ma difficilissimo per me è quello di Mozart. Non mi sono mai sentita a mio agio cantando Mozart ma devo ammettere che dopo essere stata a Vienna, una città che amo, lo apprezzo molto di più. Cantare Mozart è come mangiare la verdura; non sempre piacevole ma ti fa bene alla gola.
D. Da donna e da artista, cosa pensi del movimento #metoo e del rischio di mettere insieme diversi elementi e diverse storie?
R. Posso dire che da quando Donald Trump è presidente si sono accentuati e sono venuti fuori episodi di violenza, misoginia, razzismo. Non è un caso. È un problema e un momento delicato da gestire. Da un lato è un bene che se ne parli, che queste storie siano venute fuori e che alcune donne abbiano trovato il modo e il coraggio di raccontarle, dall’altro bisogna capire il tipo di storia. Personalmente, non posso negare che in questo contesto, intendo quello artistico, ci siano molte violenze, abusi di potere. Anche io mi sono trovata a fronteggiare, più volte, situazioni imbarazzanti da parte di uomini di potere che hanno provato a molestarmi. Ho trovato il coraggio di dire di no e alcuni si sono fermata di fronte ad un rifiuto o atteggiamento di chiusura di fronte ad un messaggio ambiguo.
D. Come vedi la scena musicale americana quando si parla di produzioni legate all’opera?
R. Ora purtroppo in America (e in tanti altri Paesi) è un momento difficile per l’opera. Dipende dal livello, naturalmente, ma la mancanza di soldi per la lirica è un problema generale per tanti teatri, tranne forse quelli più grandi e celebri e la situazione sta peggiorando con l’agenda di Trump che vuole tagliare il budget della National Endowment for the Arts. Le parti principali di solito sono interpretate dai cantanti già famosi (perché sono bravi ed affidabili e vendono i biglietti) e le parti secondarie sono interpretati dai giovani, lasciando un buco per gli altri che sono all’inizio delle loro carriere. I cantanti che lavorano regolarmente sono in pochi, i giovani non sono necessariamente pronti per fare il salto e quelli in mezzo non vengono tenuti in considerazione e quindi non entrano mai nel giro. Nel mondo della lirica conta tanto la fortuna ma anche la raccomandazione. Tanti bravi artisti hanno talento, studiano e sono preparati e pronti ma non tutti fanno carriera. È un ambiente molto duro, molto selettivo e ci vuole tanto coraggio e sicurezza per poter andare avanti in cerca del successo che non è mai scontato. È un po’ come vincere la lotteria. Oggi non è così, specialmente in una città come New York. Tanti cantanti ora lavorano in altri campi: Broadway/Musical, recitano in tivù/film, insegnano, guidano le macchine per Uber, lavorano in ufficio, come camerieri e hanno diverse opportunità flessibili per guadagnare e mantenersi mentre costruiscono la carriera nel mondo della lirica. Quelli che conosco io sono i più bravi nel mondo a fare il multi-tasking. Un soprano giovane a New York può cantare, insegnare, recitare, lavorare in un ufficio, fare la babysitter e (meno male!) persino avere una famiglia.
D. Se NY fosse un’Opera sarebbe…
R. Il crogiolo ossia il miscuglio". (aise)