PRIMO MAGGIO: PERCHÉ ANCHE A NEW YORK SI CELEBRERÀ LA FESTA DEI LAVORATORI – di Luigi Troiani

NEW YORK\ aise\ - “Consolato Generale d’Italia e Istituto Italiano di Cultura di New York hanno generosamente aderito all’iniziativa che una serie di soggetti italiani e italiani americani, tra i quali La Voce di New York, hanno assunto, per portare la tradizione del Primo Maggio a Manhattan, in una grande festa da condividere con la comunità e gli statunitensi che amano l’Italia e l’Europa. L’evento, fortemente voluto dalla fondazione intitolata a Bruno Buozzi, il sindacalista socialista ucciso dai nazisti nell’estate del 1944, si avvale della partecipazione del presidente della fondazione Giorgio Benvenuto, del sottosegretario al Lavoro, on. Luigi Bobba e del presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Tiziano Treu”. A scriverne è Luigi Troiani su “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Stefano Vaccara.
“Per una decina di giorni cinema, musica, canti e balli, un convegno storico e una cerimonia religiosa, il culto della memoria ad Ellis Island, porteranno il lavoro e il suo significato all’attenzione di chi vorrà lasciarsi coinvolgere nei riti di una storia che, da un secolo e mezzo attraversa e coinvolge il mondo.
La vicenda del Primo Maggio, come giornata internazionale del lavoro, ha i suoi prodromi nel 1855, quando in Australia circola la parola d’ordine della giornata lavorativa di otto ore. Il movimento che chiede la riduzione dell’orario, così da dividere la giornata in “8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire” come propagandavano all’epoca i sindacati negli Stati Uniti, consegnerà la prima motivazione per l’istituzione del Primo Maggio, in quanto giornata per i diritti dei lavoratori. All’epoca, negli Stati Uniti, molti operai avevano giornate di 10-12 ore, e settimane lavorative di sei giorni. Presto altri elementi confluiranno nella spinta dei sindacati e di alcuni movimenti politici, segnatamente socialisti e anarchici, a favore del Primo Maggio.
Quel mese è celebrato, sin dall’antichità, come simbolo del risveglio della natura, della vitalità espressa dalla ripresa del ciclo dei fiori e degli alberi. A Roma si tenevano riti naturalistico-pagani della primavera e dei campi.
In Francia ancora oggi il primo maggio si regalano mughetti all’amata e all’amato. Ma tanti sono i fiori di maggio a seconda delle nazioni: il garofano rosso in Austria e Italia, la rosa rossa e la margherita in Svezia, il tulipano rosso in Olanda. A proposito un episodio particolarmente significativo perché ancora oggi l’Olanda non celebra il Primo Maggio: accadde nel 1934. L’anno prima lo stato aveva vietato di circolare in uniforme, per tenere alla larga la propaganda dei confinanti tedeschi affiliati al nazional-socialismo. Quando arriva il primo maggio, la polizia rimuove e distrugge i tulipani rossi che la gente socialdemocratica indossa o esibisce sui balconi in segno di festa, identificandoli come segni di appartenenza politica.
Nella cultura anglosassone e nordica, il Primo Maggio è il Moving Day, il giorno dei traslochi: nel ciclo stagionale del lavoro agricolo e all’aperto, in quella data iniziavano affitti e locazioni. Torna, per il Mayday, il legame inscindibile con il rinascere della vegetazione: rinnovamento della natura e rinnovamento dell’umanità, per più diritti a chi non ne ha o ne ha pochi, per più rispetto ed equità verso “gli sfruttati e lavoratori”. Non casualmente nelle rivoluzioni americana e francese si trovano le usanze laiche degli Alberi della libertà, derivazioni dell’uso popolare di piantare “l’albero di maggio”, betulla dalle prime foglioline espiantata dall’habitat naturale, rivestita di banderuole, corone e ghirlande, condotta in corteo nelle strade di paese e piantata nella piazza grande.
Il legame con il vitalismo naturalistico, tra l’altro, portò molti ecclesiastici ad opporsi. Nella lunga storia del maggio, alle feste popolari di stagione, ad esempio al Calendimaggio del centro Italia. Vi vedevano il satanico fluire materiale della natura, con annessi e connessi in fatto di licenziosità e promiscuità, inevitabili nella festosità delle notti e delle libagioni della festa. Nella crociata, contro il desiderio del popolo di prendersi uno spazio proprio in sintonia con il rinascere della natura, si distinse Carlo Borromeo alla fine del cinquecento: considerava le celebrazioni popolari del primo maggio alla stregua di festini dedicati al demonio, tuonando da arcivescovado contro tanta perdizione. La chiesa avrebbe, ad esempio in Italia, provato a convincere i fedeli a sostituire all’”albero del maggio” l’albero della croce, e dall’ottocento, prima ancora che papa Pacelli, il 1° maggio 1955, dichiarasse quel giorno festa di san Giuseppe lavoratore, a spostare l’attenzione popolare sul culto di san Giuseppe artigiano che con l’albero era familiare grazie al mestiere di falegname. La chiesa avrebbe anche dedicato il maggio a Maria, rilanciando la similitudine degli antichi padri tra la madre di Dio e la rosa, fiore di maggio: Rosa mystica è uno dei titoli con i quali Maria viene invocata dai credenti. E maggio è il mese del rosario (ancora il fiore!).
I tre elementi, natura religiosità socialismo, vanno a confluire sin dalle origini nel caratterizzare la Festa, come avrebbe osservato lo storico Eric Hobsbawm: “essa richiamò e inglobò elementi rituali e simbolici divenendo una celebrazione quasi religiosa”.
In Belgio e Italia le manifestazioni di sincretismo tra messaggio cristiano e socialista, nonostante l’anticlericalismo dell’epoca, fu molto praticato: a Charleroi il 1 maggio 1898 un sermone del parroco mise insieme Marx (“Proletari di tutto il mondo unitevi!”) e Cristo (“Amatevi l’un l’altro”). L’anarchico, poi socialista, Andrea Costa andò oltre: “c’è una pasqua per i peccatori; ci sarà da ora in poi, una pasqua pei lavoratori”.
L’anarchico Pietro Gori canta, sulle note di “Va Pensiero”: “Vieni o Maggio t’aspettan le genti/ti salutano i liberi cuori/dolce Pasqua dei lavoratori/vieni e splendi alla gloria del sol”.
E il poeta Corrado Corradini: “Primavera sarà! Biondeggeranno/Sovra i liberi solchi indi Le Spiche;/E uscite fuor del secolare affanno/Le umane genti, non più a sé nemiche,/Ti daran carmi e fiori,/O sacro maggio dei lavoratori!”.
Il popolo europeo e quello degli europei immigrati nei continenti americano e australiano, sono profondamente impregnati di cristianesimo, anche quando scelgono l’anticlericalismo. La lotta per la giustizia sociale e per i diritti del mondo del lavoro fa il paio col messaggio evangelico di amore per la natura creata da Dio, pacificazione, giustizia e riscatto dei poveri. Il Primo Maggio diventa un segno laico di quello che fu la morte e la resurrezione di Cristo. E le condizioni sociali e politiche tra seconda metà dell’ottocento e avvio di novecento si prestano a far confluire quel coacervo di emozioni e ragioni nella lotta per ufficializzare il Primo Maggio.
Nella seconda metà del XIX secolo, il ceto intellettuale progressista e quello operaio, non ancora contaminati dal nazionalismo che li convincerà ad aderire alle due guerre Mondiali, sentivano la pesantezza della “questione sociale” e dello sfruttamento del lavoro. Il movimento del 1 maggio nasce in quel clima: non prevede frontiere né bandiere nazionali, è “internazionalista” in quanto ne sono protagonisti i lavoratori, gli esseri umani uguali e per lo più sfruttati. A guidarli i sindacati e il loro movimento internazionale organizzato.
In quel tempo i sindacati hanno leadership e attivisti alimentati da idee socialiste o anarchiche, ma non rispondono necessariamente alle logiche politiche che i partiti con quella stessa ispirazione ideale portano avanti. Successivamente, grazie anche al corpus che verrà assumendo la dottrina sociale della chiesa alla fine del novecento per la forte spinta della lettera enciclica Rerum Novarum di Leone XIII nel 1891, a lottare per i diritti comparirà anche il sindacalismo di ispirazione cattolica, più moderato ma non per ciò necessariamente meno combattivo. Si ricordi che in quel 1891, a New Orleans si attuava il più grande linciaggio della storia statunitense con l’assassinio di undici emigrati siciliani appena assolti dal reato di omicidio del capo della polizia locale David Hennessey.
Circolava da tempo il proposito di istituire una giornata universale, condivisa da sindacati e lavoratori in tutto il mondo, dedicata alle rivendicazioni e alle conquiste da ottenere. Al centro, come accennato, la rivendicazione delle 8 ore. Questa fu fatta propria a Ginevra, nel 1866, dalla Prima Internazionale. A favore della rivendicazione fu convocato a Chicago il 1 maggio 1867 un corteo di 10mila persone, che impressionò molto l’opinione pubblica, sia perché mai prima si era visto a Chicago simile assembramento, sia perché città e Illinois stavano allora assumendo grande rilevanza come polo industriale.
Nel 1884 la Federation of Organized Trade and Labor Union tenne il suo congresso a Chicago e, tra le altre mozioni, ne approvò una che chiedeva dal 1 maggio 1886 le otto ore come giornata lavorativa legale. L’indicazione del 1 maggio era in ricordo della manifestazione del 1867.
Il 1 maggio 1886 cadde di sabato. Benché l’Illinois avesse approvato la norma sulle 8 ore nel 1867, anche se con eccezioni che di fatto non ne consentivano l’applicazione generalizzata e illimitata, troppi altri stati facevano orecchie da mercante. I sindacati organizzarono un po’ ovunque manifestazioni. Ben 12mila le fabbriche coinvolte, con 400mila lavoratori in totale a scioperare. La protesta più significativa non poteva che essere a Chicago, con ben 80mila persone.
Lunedì 3 alla fabbrica di mietitrici agricole McCormick di Chicago, in sciopero e agitazione da tempo, attivisti galvanizzati dal successo del primo maggio si presentarono ai cancelli, presidiati da mesi di picchetti. In opposizione, un nugolo di poliziotti. La polizia impose con le maniere forti l’entrata delle maestranze irlandesi che avevano rifiutato di scioperare. Negli scontri restarono uccisi quattro lavoratori (secondo altre fonti sei).
I leader sindacali August Spies, Albert Parsons e Samuel Fielden, convocarono la protesta per il giorno dopo, 4 maggio, ad Haymarket square: risposero in 2.500. Aprì Spies, arringando i presenti da un carretto al lato della piazza. Verso la fine del comizio, con poche centinaia di operai rimasti (piovigginava insistentemente) e il sindaco della città Carter Harrison andato via per la calma che imperava, la polizia si mosse minacciosa verso il palco per impedire a Fielden di chiudere la manifestazione. L’esplosione di una bomba uccise un poliziotto, e le forze dell’ordine risposero sparando ad altezza d’uomo. Restarono sul terreno undici persone, fra le quali sette agenti: 120 i feriti. Stato d’assedio della città, grande mobilitazione dei giornali borghesi contro socialisti e anarchici, arresti a tappeto e formulazione dell’accusa di omicidio contro otto anarchici. A Milwaukee, il giorno dopo 5 maggio, la polizia spara ancora e uccide nove operai polacchi. È vera caccia all’uomo: molti sindacalisti sono attaccati e imprigionati.
A Chicago sette degli arrestati saranno condannati a morte (i tre oratori più George Engel, Adolph Fischer, Louis Lingg, Michael Schwabb), l’ottavo Oskar W. Neebe si prenderà quindici anni di carcere: cinque degli otto erano immigrati tedeschi. Louis Lingg si fa esplodere in bocca un sigaro alla dinamite il giorno prima dell’esecuzione, Fielden e Schwab ottengono l’ergastolo, gli altri quattro. anarchici militanti, sono impiccati l’11 novembre 1887. Sarebbero stati riabilitati dal governatore dell’Illinois, sei anni dopo.
L’allora presidente Grover Cleveland pensò di istituire la festa del Primo Maggio negli Usa per celebrare l’accaduto, ma poi prevalse il timore di rafforzare i movimenti socialisti, e aderì alla proposta che veniva dai Knights of Labor per una festa americana del lavoro in settembre. Per dire come quei tempi fossero impastati di internazionalismo, quando la notizia arrivò in Italia, nel 1888, il popolo livornese se la prese con le navi statunitensi in rada, quindi con la Questura, nei cui uffici circolava voce avesse trovato rifugio il console Usa.
Con tutto ciò in mente, l’American Federation of Labor, Afl, propone, nel 1889, che il Primo Maggio sia dichiarato giornata internazionale dei lavoratori. Al congresso di Parigi fondativo della Seconda Internazionale, il movimento internazionale di sindacati partiti e altre organizzazioni sociali che vi aderisce, il 20 luglio, fa propria la proposta, chiamando alla mobilitazione generale per il Primo Maggio dell’anno successivo, affermando: “Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del congresso di Parigi”. Il congresso decide anche che i sindacati siano indipendenti dai partiti, e abbiano come funzione esclusiva l’acquisizione di vantaggi economici e salariali immediati per i lavoratori.
In Italia, nel 1890, la festa riesce. Il socialista Antonio Labriola commenta: “La manifestazione del 1 maggio ha in ogni caso superato di molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista”.
La Seconda Internazionale esulta e decide che il Primo Maggio sia “la festa dei lavoratori di tutti i paesi”. La risposta arriva: in Svizzera nel 1890 sono già 34 le località che lo festeggiano. Fioccano le testimonianze di come la festa si diffonda, grazie anche all’apporto che l’emigrazione di europei militanti dà allo sviluppo del sindacalismo nei paesi nuovi. Il primo grande sciopero generale di San Paolo in Brasile cade il primo maggio 1907, organizzato con grande contributo degli italiani emigrati. Ancora in Brasile due anni dopo, nel 1909, i lavoratori del porto di Santos “votarono unilateralmente e proclamarono la festività del 1 di maggio costringendo in quel giorno il porto a chiudere”. Anche negli Stati Uniti, sotto i colpi della grande crisi scoppiata alla fine degli anni venti, il Primo Maggio torna ad essere ricordato e celebrato. Nel 1930 la rivista “Industrial Solidarity” vicina a Industrial Workers of the World dà molto spazio alla festività, illustrandone il significato di prossimità al risveglio della natura e del genere umano, senza dimenticare il richiamo alla Pasqua cristiana, alla solidarietà con i militanti in galera e così via, in un miscuglio davvero clamoroso di caratterizzazioni e finalità
Dal 1891, nel movimento del Primo Maggio irrompe la questione della pacificazione del genere umano, anzi del “mantenimento, con tutti i mezzi, della pace mondiale” come recitavano le parole d’ordine del tempo. Poi, anno dopo anno, le tante altre rivendicazioni: la sicurezza, la povertà, la massa salariale, l’alfabetizzazione, il voto alle donne, conferendo alle celebrazioni del Primo Maggio il carattere di richiesta e proposta globale. Per lunghi decenni l’allarmismo degli stati d’ordine verso la festa dei lavoratori, creerà le condizioni per scontri e repressioni per lo più ingiustificate. Chi ha letto “Primo Maggio” di Edmondo De Amicis ricorderà sino a che punto quell’isteria potesse spingersi.
Quando arriva la notte della democrazia in Europa, il Primo Maggio è abolito da nazisti e fascisti come giorno di “sovvertimento” dell’ordine. Eppure, il 1 maggio 1941, Willelm Drees, socialdemocratico, che nel dopoguerra sarebbe stato il primo socialdemocratico a servire il suo paese come primo ministro per più di undici anni consecutivi, tenne un discorso autorizzato dalle autorità tedesche nel campo di Buchenwald, dove fu ostaggio per un anno dall’ottobre 1940.
Quei riti di libertà della liturgia laica del primo maggio, torneranno ancora, dopo la Seconda guerra, in Grecia durante la dittatura dei colonnelli, in Portogallo, Spagna, Turchia Cile, Brasile, Argentina, centro America sotto i numerosi governi militari, in Sudafrica contro il regime di apartheid; ovunque governi e classi sociali vogliano situazioni che impediscono l’avanzata dei diritti civili e sindacali. Sindacalisti e militanti di ogni idea politica democratica manifestano come possono l’attaccamento alla festa dei lavoratori, magari con un garofano rosso all’occhiello, volantini, scritte sui muri. Sono repressi, incarcerati, assassinati; o riescono a divenire leader dei loro popoli, o ambedue le cose a seconda delle stagioni della politica e delle fortune umane. Nella contemporaneità il Primo Maggio resterà come una sorta di giorno del giudizio sullo stato dell’arte del sociale e più in generale delle libertà nei diversi paesi. E, dove possibile, festa di popolo e giorno di riposo dal lavoro. Al tempo stesso, dove il socialismo o sedicente tale, si è realizzato, in Urss, Nord Corea, Cina Popolare, Vietnam, il Primo Maggio trasmuta in grande occasione per lo show di armamenti, missili, parate militari, con il sovvertimento della idea primigenia anti-statalistica, anti-militaristica, popolare e naturalistica del Primo Maggio. Così vanno talvolta le cose della storia”. (aise)