AMBASCIATORE LO CASCIO: “MATURI I TEMPI PER RISULTATI ANCORA PIÙ AMBIZIOSI” – di Biagio Carrano

BELGRADO\ aise\ - ““È stato un anno molto positivo e, mi verrebbe da dire, “vissuto pericolosamente” per la mole di lavoro che io, i miei colleghi e i nostri collaboratori abbiamo sviluppato per rilanciare il dialogo politico e approfondire la collaborazione economica tra i due Paesi all’interno della cornice della celebrazione dei 140 anni di relazioni diplomatiche e dei dieci anni di partenariato strategico”. L’Ambasciatore d’Italia Carlo Lo Cascio, già a capo dell’Unità Balcani della Farnesina, vanta una lunga consuetudine con la Serbia: a Belgrado tra il 2005 e il 2008, dal 2018 è capo missione con obiettivi molto chiari: “Mi preme evidenziare che, al di là di ogni retorica di circostanza, abbiamo messo a punto una strategia ben precisa – concretizzatasi in un fitto calendario di eventi, iniziative e visite ufficiali – per rimarcare il ruolo dell’Italia in Serbia, anche per rispondere al meglio all’attivismo di Paesi nostri concorrenti, per cui diventa essenziale essere propositivi e fare sistema per affrontare queste nuove sfide. Abbiamo così definito anche una roadmap per il 2020””. Ad intervistare il diplomatico è stato Biagio Carrano che a Belgrado ha fondato eastCOM Consulting, editrice di “Serbian Monitor”.
D. Non è un caso che ci incontriamo oggi giovedì 19 dicembre, nel giorno in cui il primo ministro serbo Ana Brnabic è a Roma per il summit che conclude la Presidenza di turno italiana dell’Iniziativa Centro Europea.
R. In effetti, non è un caso, ma è il frutto di un lavoro che coinvolge tutta la diplomazia italiana perché, come ha ricordato il Ministro Enzo Amendola nella sua recente visita a Belgrado, la Serbia resta un Paese fondamentale all’interno della strategia di allargamento dell’Unione. Gli equilibri globali cambiano velocemente e la politica di allargamento deve essere la risposta dell’intero continente a queste dinamiche.
D. Appena pochi giorni fa, il 16 dicembre, il Presidente Mattarella ha ricordato che l’Unione europea non potrà dirsi completata senza i paesi dei Balcani occidentali. Eppure il veto francese all’inizio dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord ha rinfocolato anche in Serbia il già crescente euroscetticismo. Quali indirizzi e azioni l’Italia intende attuare in Serbia nel 2020 per ribadire la prospettiva dell’integrazione e anche nei confronti dei partner europei?
R. “L’errore storico” del Consiglio Europeo di ottobre, per usare l’efficace espressione del Presidente Conte, ha rischiato di gettare pesanti ombre sull’intero processo di allargamento e soprattutto ha disorientato Belgrado e Podgorica, che hanno già intrapreso da anni il percorso di allineamento all’acquis comunitario. L’Italia ha subito reagito e, pochi giorni fa, il Ministro Amendola ha rimarcato che il nostro Paese è pronto ad intavolare una discussione costruttiva per rivedere la metodologia del processo negoziale con l’obiettivo di aprire in primavera i negoziati di adesione con Tirana e Skopije, preservando nel contempo quanto sinora fatto da Belgrado e Podgorica. Un obiettivo, questo, indicato con chiarezza anche nella lettera inviata dal Ministro degli Esteri Di Maio al Presidente della Commissione – un’iniziativa promossa dall’Italia e da altri sei Paesi e poi sottoscritta da quindici membri dell’Unione – in cui si chiede un miglioramento dell’efficacia del processo di allargamento. L’assunto di fondo è semplice: rinunciare al processo di allargamento manderebbe segnali sbagliati che incrementerebbero l’instabilità della regione con controproducenti ricadute non solo sullo scacchiere balcanico.
D. L’Italia, di concerto con la Delegazione europea guidata dall’italiano Sem Fabrizi, ha lavorato molto per individuare punti di dialogo tra governo e opposizione che portino ad elezioni partecipate e pienamente legittimate. Quali saranno i prossimi passi per favorire una dialettica democratica tra le parti?
R. Abbiamo apprezzato gli sforzi dei delegati del Parlamento Europeo per promuovere un dialogo tra maggioranza e opposizione volto a definire regole condivise. Ci sono segnali che indicano alcuni passi verso questa direzione. Ora si tratta di proseguire questo percorso e ciò spetta tanto al governo quanto all’opposizione.
D. Il 2019 è stato un anno di forte rilancio del protagonismo italiano in Serbia, rimarcato dalla visita a Belgrado del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo scorso marzo, a circa un decennio di distanza della precedente visita di un suo omologo. Quali frutti si possono attendere nel 2020 dopo questi intensi dodici mesi?
R. Non solo: il Presidente Conte è stato l’unico Primo Ministro dei Paesi dell’Unione a recarsi in visita sia a Belgrado che a Tirana nel 2019; all’indomani del Consiglio Europeo di ottobre ha invitato Zaev e Rama a Roma e pochi giorni dopo il Presidente Mattarella ha ricevuto il suo omologo macedone Pendarovski. In questi giorni, il Capo del Governo ha incontrato, a margine del Vertice INCE, la Primo Ministro Brnabic e il Primo Ministro montenegrino Markovic. Si tratta di azioni coordinate per confermare l’impegno dell’Italia verso i Balcani occidentali. Il Presidente Conte ne ha poi parlato anche col Primo Ministro croato Plenkovic, in vista della Presidenza del Consiglio dell’UE che Zagabria eserciterà a partire dal 1 gennaio,La visita a Belgrado del Ministro dell’Ambiente Sergio Costa a fine ottobre ha consentito di concretizzare dossier importanti in campo ambientale tra Italia e Serbia all’interno della strategia del “green new deal”, cui ha dato risalto anche il Ministro Amendola con la sua partecipazione al seminario sul tema organizzato proprio tre giorni fa da Confindustria Serbia. Guardando avanti, oltre le elezioni della prossima primavera, il nostro auspicio sarebbe quello di riavviare anche la concertazione trilaterale tra Italia, Serbia e Albania (l’ultima riunione si tenne proprio a Belgrado a febbraio 2018), che si è rivelata uno strumento importante per rafforzare la cooperazione regionale e il processo di integrazione europea dei due Paesi, come pure per sostenere il Dialogo tra Belgrado e Pristina. Ancor di più, credo siano ormai i maturi i tempi per riprendere la prassi dei vertici intergovernativi tra Roma e Belgrado poiché la collaborazione tra i due Paesi attraversa tutti i settori e vi è un costante lavoro comune su temi quali i flussi migratori, la prospettiva europea, i rapporti con i Paesi vicini. Italia e Serbia lavorano bene assieme: un reciproco sentimento di amicizia ed affinità crea le condizioni migliori per affrontare le situazioni e le problematiche più complesse.
D. Negli ultimi tre anni il quadro economico e sociale della Serbia sta cambiando rapidamente: il settore delle costruzioni e quello dell’IT stanno trainando la significativa crescita economica, specialmente di Belgrado e Novi Sad, mentre la forte emigrazione rende molto più difficile che in passato trovare tanto manodopera generica quanto personale con competenze adeguate. In questo quadro come possono essere ripensati, a suo avviso, la presenza imprenditoriale italiana e gli assi di collaborazione economica tra i due paesi?
R. L’Italia rimane saldamente il secondo partner commerciale della Serbia. Nel 2018 abbiamo registrato un interscambio record che ha superato i 4 miliardi di euro. Quest’anno, a causa della congiuntura, i numeri non saranno così elevati, ma il livello degli scambi rimarrà comunque soddisfacente e soprattutto si confermerà il trend positivo dell’export italiano sul mercato serbo. Su un piano più generale, non si tratta solo di una crescita in termini numerici, ma anche in termini di integrazione nel rapporto con il tessuto economico e sociale del Paese. Tra i momenti più significativi di quest’anno, sul versante economico, mi piace ricordare la partecipazione dell’Italia come Paese partner alla Fiera Internazionale dell’agricoltura di Novi Sad con oltre 30 imprese, grazie all’ICE, cui si è unita anche la Regione Veneto. Quanto all’interesse del mondo imprenditoriale italiano, per fare un esempio, nell’ultimo mese e mezzo, ho contato non meno di 100 imprese italiane che hanno visitato la Serbia, nell’ambito di missioni ufficiali, per avviare contatti ed avere incontri. Per questo, nel mio recente colloquio con il Presidente Vucic ho ricordato che il modello italiano delle Piccole e Medie Imprese può diventare un riferimento per la strategia di sviluppo dell’imprenditorialità diffusa in Serbia. Da parte nostra vi è poi un’azione costante in tutti i settori: siamo alle battute conclusive di un accordo bilaterale nel campo delle infrastrutture, mentre alcune aziende italiane di eccellenza nel settore dell’Information Technology si sono insediate con ottimi risultati nel Paese. La Serbia accoglie circa il 50% degli investimenti diretti esteri nella regione ed è vero che iniziano ad esserci delle difficoltà nella ricerca di manodopera qualificata. Tuttavia, è altrettanto vero che vi sono nel Paese ancora sacche di disoccupazione e che gli organi statali puntano a indirizzare lì i nuovi investimenti per riequilibrare le dinamiche di crescita.
D. L’Italia ha sempre suscitato una forte fascinazione intellettuale e ideale sui serbi. La mostra “Ispirati dall’Italia” ne è stata un’ulteriore riprova. Oltre agli aspetti più edonistici (gastronomia, moda, ecc.), quali sono gli elementi del soft power italiano che vede di maggior impatto in Serbia?
R. Grazie all’ottimo lavoro dell’Istituto Italiano di Cultura e di tante Istituzioni serbe, la cooperazione culturale tra i due Paesi continua a svilupparsi con iniziative molto valide e innovative. Tra quelle di quest’anno, vorrei ricordare la mostra sul “Bernini e la scuola romana” presso il Museo Nazionale, che è stata la più visitata del 2019 in Serbia; la partecipazione italiana ai festival cinematografici; la mostra “Passi” di Alfredo Pirri alla Cineteca Nazionale; quella intitolata “Ispirati all’Italia” in collaborazione con la galleria Matica Srpska di Novi Sad, ospitata dal nostro Istituto di Cultura; le grandi opere liriche italiane in cartellone a Belgrado e nelle altre città del Paese; i concerti di Alessandra Celletti e di Mauro Maur, senza dimenticare quelli di leggende del jazz e del pop come Paolo Fresu ed Eros Ramazzotti: tutti questi eventi hanno fatto di Belgrado una città dove vivere la cultura italiana in maniera continua e completa! Ci impegniamo a intercettare la domanda di Italia e italianità che non accenna a scemare nonostante la crescita dell’offerta culturale proveniente da altri Paesi. Si tratta, come ho già accennato, di un sentimento di affinità che si ritrova nel successo persino dei corsi di lingua per bambini che l’Istituto di Cultura tiene il sabato e soprattutto nell’eccellente preparazione degli allievi della classe bilingue del Terzo Liceo di Belgrado. Si tratta di giovani che partecipano a scambi culturali, approfondiscono la conoscenza reciproca e tra i quali potrebbero esserci i futuri leader del Paese. L’investimento in cultura è quello che dà frutti a più lungo termine, ma sono quelli più duraturi.
D. Lei è considerato un grande esperto di Balcani e di Serbia in particolare. Oltre agli aspetti politici ed economici, quali scoperte di artisti serbi ha fatto in questi anni del suo mandato? Cosa si sentirebbe di consigliare di leggere o di ascoltare o di vedere a chi vuole capire meglio questo paese?
R. “Da quando sono tornato a Belgrado, ho approfondito l’opera del pittore Petar Lubarda. Ho portato molti miei ospiti ed amici a visitare la casa-museo di Lubarda e tutti sono rimasti colpiti dalla poliedricità della sua opera. Tutti poi dovrebbero leggere “Il ponte sulla Drina” di Ivo Andric. A decenni di distanza dalla prima lettura, conservo le impressioni di quelle pagine con tanti riferimenti a costumi, attitudini, modi di pensare per alcuni aspetti ancora attuali. Accanto a questo classico, vorrei segnalare ai lettori italiani un’antologia a cura di Nicole Janigro e pubblicata nel 2003 da Feltrinelli dal titolo “Casablanca serba” (anche se temo sia fuori catalogo!), che offre una sfaccettata panoramica sulla narrativa contemporanea. La cultura della Serbia è sospesa tra Vienna e Atene ed in questa sua complessità risiede il suo fascino, per cui sono da evitare proprie le semplificazioni, se si vuole apprezzare al meglio il Paese.
D. Last but not least, gli italiani in Serbia.
R. La comunità italiana in Serbia è cresciuta molto in questi anni e si è ben integrata nel tessuto economico e sociale serbo. Un fatto, questo, che agevola molto il rapporto con i nostri connazionali, i quali sanno bene che le porte della Ambasciata e del Consolato sono sempre aperte per ogni forma di assistenza. Il mio auspicio è che la nostra comunità sappia crescere e competere, anche al suo interno, ma sempre con uno spirito di squadra. Dobbiamo crescere insieme, consapevoli che la nostra forza è quella di far parte di un sistema forte e coeso che l’Ambasciata cerca sempre di rafforzare e valorizzare in tutte le sue sfaccettature”. (aise)