DENATALITÀ, INVECCHIAMENTO E MIGRAZIONI: DAL RAPPORTO ANNUALE ISTAT I NODI CRITICI PER IL FUTURO DEL NOSTRO PAESE – di Angela Schirò

ROMA\ aise\ - Il Rapporto Annuale dell’Istat, presentato la scorsa settimana alla Camera dei deputati, rappresenta uno strumento molto utile per capire le trasformazioni nell’economia e nella società del nostro Paese, ma anche per elaborare le politiche necessarie a creare nuove opportunità.
Il capitolo relativo alle “Tendenze demografiche e ai percorsi di vita”, in particolare, fa emergere il ruolo chiave che la demografia ricopre come elemento propulsivo di uno sviluppo sostenibile e la necessità di individuare per ciascuno dei nodi critici di oggi - denatalità, invecchiamento e migrazioni – i punti sui quali agire per creare nuove opportunità per il futuro.
Il calo demografico del nostro Paese è il peggiore degli ultimi 100 anni. Secondo Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat, “siamo di fronte ad un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d’Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918”. In un contesto di bassa natalità, si afferma nel Rapporto, “gli squilibri intergenerazionali possono costituire un fattore di rischio per la sostenibilità del sistema Paese”.
I giovani dai 20 ai 34 anni, al 1° gennaio 2018, sono 9 milioni 630 mila, il 16% del totale della popolazione residente; rispetto a 10 anni prima sono diminuiti di oltre 1 milione 230 mila unità (erano il 19% della popolazione al 1° gennaio 2008). Più della metà (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore.
C’è poi l’allarmante diminuzione della popolazione femminile. Tra il 2008 e il 2017 le donne sono diminuite di circa 900mila, dato che spiega quasi i tre quarti della differenza di nascite che si è verificata nello stesso periodo, mentre la restante quota dipende dalla diminuzione della fecondità (da 1,45 figli per donna del 2008 a 1,32 del 2017).
Per quanto riguarda i fenomeni migratori, il rapporto ci propone un quadro complesso ed articolato che, come ripetiamo da anni, renderebbe obbligatoria da parte della politica una vera assunzione di responsabilità.
Il saldo migratorio con l’estero degli italiani, lo sappiamo, è negativo: dal 2008 ha prodotto una perdita netta di circa 420mila residenti. Circa la metà (208 mila) va dai 20 ai 34 anni e quasi due su tre ha un’istruzione medio-alta. Un trend che non si arresta e i cui numeri sono assai più consistenti di quelli ufficiali registrati dell’Istat.
L’elevata perdita di capitale umano riguarda soprattutto il Mezzogiorno sia per quello che concerne le migrazioni interne che quelle internazionali.
Tra il 2008 e il 2017 i saldi con l’estero di giovani cittadini italiani con livello di studio medio-alto sono negativi in tutte le regioni italiane: la Lombardia è in assoluto la regione che ha ceduto ad altri paesi più risorse qualificate (-24 mila giovani residenti), seguita dalla Sicilia (-13 mila), dal Veneto (-12 mila), dal Lazio (-11 mila) e dalla Campania (-10 mila).
Le giovani risorse provenienti dal Mezzogiorno, dunque, costituiscono una risorsa sia per le zone maggiormente produttive del centro-nord sia per i paesi esteri.
Circa l’85 per cento della perdita di capitale umano dei giovani italiani è a favore dei paesi dell’Unione europea, in particolare Regno Unito (31 mila), Germania (21 mila), Svizzera (15 mila) e Francia (12 mila). Tra i paesi extra-europei i saldi negativi più significativi si registrano negli Stati Uniti (7 mila) e in Australia (4 mila). L’Italia, al contrario, non guadagna sufficiente capitale umano dall’estero.
Una realtà da molti di noi ampiamente denunciata in ogni occasione possibile. Una realtà – che come riconosce lo stesso Presidente della Camera, Roberto Fico - “impoverisce drammaticamente il capitale umano del nostro Paese. E ne mette a rischio il futuro”. Da qui “l’esigenza di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei progetti di vita dei giovani”.
È urgente, dunque, l’esigenza di pensare ai fenomeni migratori in una prospettiva più ampia, capace di produrre politiche ed investimenti di lungo periodo sia per quando riguarda la popolazione giovanile sia il nostro Mezzogiorno.
In questo ambito, c’è inoltre l’esigenza di affrontare con lungimiranza le politiche indirizzate all’integrazione dei migranti residenti nel nostro paese e dei loro figli. L’Istat, a questo proposito, ci fornisce dati molto interessanti che andrebbero analizzati con attenzione e che imporrebbero al legislatore, e più in generale alla politica, di fare di più e di fare meglio. Le questioni della denatalità, dell’invecchiamento, della scolarizzazione dei giovani di origine migrante e della mobilità intra-europea, infatti, riguardano anche i cittadini migranti residenti nel nostro Paese.
Insomma, quando parliamo di politiche migratorie, sarebbe il caso di smetterla con la propaganda o, nel migliore dei casi, con gli atteggiamenti paternalistici e le gentili concessioni.
Da questo punto di vista, fa tenerezza la “profonda gratitudine” espressa dall’on. Billi al governo per l’approvazione della sua risoluzione, che per la verità si affiancava a quella della collega Nissoli, in tema di rilascio della carta d’identità elettronica ai cittadini italiani residenti all’estero.
In realtà la vera questione non è quella del rilascio, deciso ormai da tempo, ma quella dei tempi e delle risorse necessari per l’effettiva operatività del documento elettronico che permetterebbe ai nostri connazionali l’accesso digitale alla Pubblica Amministrazione e di poter utilizzare il sistema SPID. Ad essa si aggiunge poi l’esigenza di superare il limite, richiamato dal governo, di non estendere il rilascio della carta d’identità elettronica ai cittadini italiani residenti in Paesi extra UE che non riconoscono il documento come strumento valido alla libera circolazione.
Tornando al quadro delineato dall’Istat, i numeri che riguardano i cittadini italiani emigrati sono talmente consistenti che dovrebbero imporre un’accelerazione nell’elaborazione di politiche innovative ed integrate in materia di lavoro, semplificazione, investimenti, fisco e previdenza, ma anche di cittadinanza, formazione, merito e opportunità. Far crescere l’Italia significa investire sulla capacità di offrire migliori opportunità ai nostri giovani, di attrarre competenze e professionalità dall’estero e, nel contempo, di rafforzare i diritti delle persone, in tutte le sfere, dalla cittadinanza all’accesso alla pubblica amministrazione fino ai temi di genere.
È questo quello che ci chiedono i nostri cittadini all’estero e questo è quello di cui dovremmo, tutti insieme, occuparci. (angela schirò*\aise)
* deputata Pd