GIANLUIGI BISLERI: ENFANT PRODIGE DELLA CARDIOCHIRURGIA IN CANADA – di Marzio Pelu

TORONTO\ aise\ – "A soli 38 anni era già professore all’Università di Brescia: il più giovane docente per la cattedra di Cardiochirurgia in Italia. Oggi è uno dei cardiochirurghi di punta della prestigiosa Queen’s University (Kingston) in Canada e unico italiano professore in Cardiochirurgia in Canada. Stiamo parlando di Gianluigi Bisleri, 43 anni, sposato con Vittoria, bresciana come lui, con una figlia di appena 4 mesi nata in Canada e 2 cani che hanno seguito la coppia dall’Italia". Marzio Pelu del Corriere Canadese lo ha intervistato "per conoscere meglio la sua storia, una delle tante storie di successo degli italiani in Canada.
D. Professor Bisleri, qual è stato il suo percorso di studi?
R. Terminata la laurea in Medicina e Chirurgia nel 2001, ho immediatamente intrapreso la Scuola di Specializzazione che si è conclusa nel 2006.
D. Dopo quanto ha trovato lavoro in Italia, terminati gli studi?
R. In realtà non ho avuto nessun problema nel trovare lavoro come dirigente medico agli Spedali Civili di Brescia subito dopo la specializzazione. Il problema era piuttosto rappresentato dall’assenza di una prospettiva di crescita professionale reale e concreta, e non è mai stata una mia caratteristica l’atteggiamento spesso comune di attendere che prima o poi, molto spesso poi, in Italia, mi venisse offerto un piano concreto di spazio chirurgico.
D. Quindi ha deciso di emigrare…
R. Sì. Nel 2008 ho deciso di trasferirmi in Inghilterra, presso l’Essex Cardiothoracic Centre, dove ho lavorato per circa due anni per completare il mio percorso di crescita chirurgica come operatore indipendente. Poi nel 2009 mi è stato offerto un ruolo come cardiochirurgo e ricercatore universitario all’Università di Brescia dove ho continuato, non senza difficoltà, il percorso chirurgico. Per un medico e soprattutto chirurgo, è un Paese un po’ anomalo, l’Italia, nel quale lo spazio chirurgico è sempre strettamente dettato dal primario, che all’estero invece riveste un ruolo sostanzialmente amministrativo… in altre parole, all’estero non esiste una struttura piramidale così accentuata e pertanto ogni chirurgo è sostanzialmente una figura indipendente.
D. Lei è stato il più giovane docente di Cardiochirurgia in Italia: non è bastato, nel Belpaese, come trampolino di lancio?
R. Sono stato promosso a Professore Associato nel 2014 ed ero il più giovane docente in Italia. Non nascondo che in quel momento speravo che potesse rappresentare un importante momento di svolta, ma questo non è avvenuto. Purtroppo spesso in Italia esiste una forte ambizione a raggiungere il titolo di Professore, addirittura un grande numero di medici se ne arroga il titolo pur non avendone nessuna credenziale reale universitaria. Personalmente, ho sempre visto il titolo di Professore non tanto come uno status sociale, ma al contrario come un obbligo importante ad insegnare ed anche (e soprattutto nel mio caso) nell’esplorare scientificamente e clinicamente nuove soluzioni e opportunità terapeutiche. Chiaramente questa visione non era raggiungibile in Italia, ed ho pertanto iniziato a prendere in considerazione la possibilità di un nuovo trasferimento all’estero.
D. Quando ha deciso di trasferirsi in Canada? Come è nata questa opportunità?
R. Un ruolo fondamentale lo ha giocato la mia esperienza di ricerca e lavoro presso la prestigiosa Columbia University di New York nel 2003. Durante la mia permanenza alla Columbia, sono rimasto affascinato dal diverso approccio e dal sistema meritocratico nordamericano. Al termine del mio soggiorno, mi era stato offerto di rimanere con la prospettiva futura di intraprendere una carriera come cardiochirurgo negli States, ma all’epoca (mi trovavo ad essere ancora in corso di specializzazione) pensavo l’Italia potesse rappresentare la migliore combinazione come qualità lavorativa e di vita. Poi, però, nel 2016, mi è arrivata l’offerta della Queen’s University, una delle più prestigiose e storiche università canadesi, che ha visto anche recentemente (nel 2015) annoverare un premio Nobel tra i propri membri.
D. E cosa le hanno proposto alla Queen’s?
R. Di rilanciare il programma di Cardiochirurgia in modo da integrare nuovi approcci mini-invasivi che sono utilizzati in percentuale limitata in Canada. In pratica mi è stato affidato il ruolo di guidare il processo di innovazione sia clinico che di ricerca. Mi ha riempito di particolare orgoglio essere l’unico cardiochirurgo in Canada chiamato direttamente dall’Italia per apportare nuove strategie nel trattamento chirurgico delle malattie cardiache. E sono partito.
D. Ha trovato difficile ambientarsi in questo nuovo Paese?
R. No. La scelta è stata condivisa con mia moglie che ha abbracciato con entusiasmo questo cambiamento e ci siamo entrambi rapidamente innamorati di questo Paese che ci ha offerto molte opportunità sin dall’inizio. Anche se inizialmente per mia moglie, ingegnere gestionale in Italia, non è stato immediato l’inserimento, al termine di un master in innovazione ed imprenditorialità alla Queen’s University è stata coinvolta in diversi progetti lavorativi. Siamo riusciti a sentirci a casa molto rapidamente (anche con i nostri cani che ci hanno pazientemente seguito dall’Italia). E recentemente abbiamo avuto la nostra prima figlia, a completamento del nostro percorso di "settlement" in Canada.
D. Com’è l’ambiente universitario canadese? E quello professionale, nel quale opera?
R. Per quanto riguarda l’ambito universitario, non esistono manovre politiche per raggiungere la posizione di Professore: tutto si fonda su risultati e merito. Tra l’altro, in Canada non veniamo mai chiamati con il titolo di Professore… qui è una vera missione, non uno status sociale. Professionalmente posso essere solamente grato al supporto che ho ricevuto dai miei colleghi che hanno costantemente cercato di identificare soluzioni ed opportunità per facilitare il mio percorso.
D. Nel suo settore si guadagna di più in Italia o in Canada?
R. Un lavoro così impegnativo e totalizzante come il cardiochirurgo non viene fatto in primis per una questione economica. Detto questo, in Canada il riscontro economico è imparagonabile all’Italia. Qui però per un medico non esiste il "posto fisso" che spesso sembra essere la maggiore priorità in Italia. Qui si viene valutati annualmente in base ai risultati clinici e scientifico/didattici ottenuti e di conseguenza si viene premiati. E non esiste nemmeno l’aspetto "orario": l’importante è il raggiungimento dell’obiettivo, che può essere ottenuto anche con meno o più ore rispetto ad un numero fisso. Ancora una volta, è il risultato che conta.
D. Di cosa si occupa esattamente alla Queen’s University di Kingston?
R. Di programmi innovativi con particolare attenzione alla cardiochirurgia mini-invasiva, quindi con minor trauma per il paziente che vedrà nei prossimi mesi anche la possibilità di utilizzare la piattaforma robotica in casi selezionati. Abbiamo inoltre espanso il programma di riparazione della valvola mitrale, anche per via mini-invasive e, in casi selezionati, evitando del tutto l’intervento chirurgico vero e proprio, grazie all’utilizzo di un catetere che ripara la valvola dall’interno. Sono veramente pochi i centri a livello internazionale in grado di offrire queste opzioni. Infine siamo l’unico centro canadese in grado di offrire un trattamento avanzato – ablazione "ibrida" – per il trattamento di un disturbo molto diffuso: la fibrillazione atriale.
D. Le manca l’Italia? Di cosa ha nostalgia?
R. Sinceramente la maggiore nostalgia è per i familiari e gli amici che sono distanti. Per il resto, siamo assolutamente felici di sentirci a casa in Canada". (aise)