INTELLIGENZE SENZA CONFINI: PAROLA A MEDICI E IMPRENDITORI

ROMA\ aise\ - Scienza, medicina, imprenditoria. Sono sempre più numerosi gli italiani che si distinguono nel mondo in queste e in altre discipline. A loro è dedicato il convegno “Italiani all'estero: intelligenze senza confini” promosso dalla senatrice Laura Garavini nella giornata di oggi, presso la Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati. All'iniziativa, nata con l'obiettivo di valorizzare il genio italiano nel mondo, sono intervenuti medici, ricercatori, docenti universitari e imprenditori di origini italiane affermatisi oltre confine.
"Proprio in tempi in cui il fenomeno migratorio italiano sembra registrare una nuova impennata, credo che sia importante promuovere la consapevolezza e la conoscenza di questo nostro prezioso capitale umano" spiega la senatrice Garavini, vicepresidente commissione Difesa.
In apertura, i saluti istituzionali con il Vicepresidente della Camera Ettore Rosato, il ministro per la Famiglia Elena Bonetti, la senatrice Laura Garavini, il Dg per gli italiani all’estero Luigi Maria Vignali, il consigliere diplomatico a Palazzo Chigi Pietro Benassi, e il rettore de “La Sapienza”, Eugenio Gaudio.
Ai saluti sono seguiti i lavori, con quattro differenti panel. Il primo dedicato alla ricerca e moderato da Lanfranco Palazzolo di Radio Radicale, a seguire quello sulla cittadinanza mobile. Nelle sessioni pomeridiane si è parlato di medicina, con la moderazione della giornalista e autrice Rai Laura Aprati per concludere con un omaggio all'imprenditoria italiana nel mondo, con l'ultimo spazio di lavori moderati dalla conduttrice e giornalista Rai Benedetta Rinaldi.
Ogni panel ha visto l'intervento di diversi esponenti del mondo accademico, scientifico, imprenditoriale.
Il primo panel pomeridiano – dedicato alle eccellenze italiane in ambito medico – moderato, come detto, dalla giornalista e autrice Rai Laura Aprati, è stato aperto dall’intervento del Sottosegretario alla Salute Sandra Zampa: “mandateci le vostre proposte e i vostri spunti”, ha dichiarato il Sottosegretario, “il lavoro è molto, la macchina deve ancora mettersi in moto, ma l’impegno a fare bene è la priorità. Il tema che affrontiamo oggi è di grande rilievo e attualità. Quello dell’emigrazione all’estero è un fenomeno complesso, che richiede molto più tempo di quello che occupa questo mio saluto. Il genio non ha confini, così come non ne ha la Cultura in generale; pensiamo a Leonardo Da Vinci. Non c’è un angolo della terra dove non si trovi un italiano, che spesso è un italiano di successo. Chi resta qui non può che sentirsi onorato di chi ce la fa all’estero”.
“Un Paese saggio – ha aggiunto – dovrebbe offrire ai suoi giovani l’opportunità di passare un periodo di studio all’estero, senza escludere nessuno, ma altrettanto dovrebbe fare per non costringere nessuno a partire per mancanza di opportunità. Occorre poi creare le condizioni per il rientro, così da mettere a frutto quello che si è appreso”.
La prima a prendere parola è stata Maria Cristina Polidori, specialista in Medicina dell’Invecchiamento al Policlinico universitario di Colonia. “In Italia c’è carenza di medici e, secondo i media esteri, la cosa è inconcepibile. Abbiamo carenze fondamentali, mancano trasparenza e conclusione”. Leggendo una lettera di Luca Lacolla, medico di 35 anni che opera all’estero, Polidori parla di medici in America che si stanno riunendo per affrontare il problema della mancanza di medici in Italia. Medici americani che s’interessano della situazione italiana. Sembra un paradosso, ma è così.
Ma perché si va fuori? Questa la domanda posta dalla moderatrice Laura Aprati. La risposta ha cercato di darla Federico Caobelli, specialista in medicina nucleare, capoclinica diagnostica cardiovascolare all’ospedale universitario di Basilea.
“Non sono scappato, ma in Germania, dove sono stato all’inizio, ho avuto l’opportunità di una prospettiva di crescita professionale, mentre in Italia sarei rimasto invischiato nella routine”. “In Germania”, ha proseguito Caobelli, “ho avuto modo di pubblicare testi scientifici, di specializzarmi, di veder gratificato il mio lavoro e gli anni di studio intenso. In Germania, sostanzialmente, ho avuto l’impressione di contare qualcosa. Che il mio lavoro fosse importante e valorizzato”. “In Svizzera poi”, ha concluso Caobelli, “la prospettiva di carriera che mi è stata offerta era molto vantaggiosa. Mi sono chiesto se rimanendo in Italia, a 37 anni, avessi mai potuto raggiungere tutti questi obiettivi. Ad oggi una risposta ancora non ce l’ho”.
Luisa Mantovani, direttrice della divisione oncologia ed ematologia presso l’ospedale San Georg a Lipsia, da 30 anni in Germania, dice che la sua non è stata una “fuga” pianificata: “Non crediate che tutti quelli che partono trovano l’Eldorado. Certo, in alcune situazioni all’estero è più semplice, ma ci sono molti ostacoli prima di arrivare al successo. A Lipsia abbiamo vissuto il post-Caduta del Muro di Berlino, abbiamo vissuto, con mio marito, una svolta epocale. Ad ogni modo, la formazione ricevuta in Italia negli anni di studio è stata per me fondamentale”.
“I giovani medici italiani”, ha aggiunto, “non sono spavaldi come quelli tedeschi, nonostante la loro formazione non abbia nulla da invidiare. Perché? Perché i ragazzi e le ragazze italiane hanno meno opportunità. E la mancanza di meritocrazia è proprio quello che mi impedisce di poter anche solo pensare di tornare in Italia”.
Conoscere, viaggiare per capire chi siamo e cosa possiamo fare, questo il leit motiv ripetuto dalla giornalista Aprati, che ha così introdotto l’intervento di Gosia Saverio, chirurgo generale della Asl di Teramo: “Non sono un’eccellenza, non ho fatto grandi cose all’estero, ma sono da molti anni nel settore e mi sono fatto un’idea di come vanno le cose nel nostro Paese: troppi medici italiani non si muovono, perché hanno bambini piccoli, perché non hanno ambizione, perché è più facile fare gli impiegati delle Asl piuttosto che fare sacrifici che solo chi è stato all’estero può capire. D’altro canto, c’è chi parte perché è scontento (e poi rimane scontento all’estero), c’è chi parte per non tornare, insomma, i casi sono tanti e vari”.
“Purtroppo, poi, ci sono quelli che in Italia non verranno mai, perché il nostro non è un sistema attrattivo”, questa l’amara considerazione di Saverio, “i nostri ospedali non hanno mai visto, salo in rari casi, un medico straniero. Possibile che i politici non se ne accorgano? È ignoranza? Sarò malizioso, ma non credo”.
Laura Surace, ricercatrice di immunologia all’Istituto Pasteur di Parigi, ha portato la sua testimonianza: “Ho lasciato Reggio Calabria a 17 anni per andare a studiare a Pavia, da lì sono andata all’estero, ma non per fuggire, solo per fare esperienza pratica. Nonostante le mie lacune in alcuni ambiti, sono stata formata e introdotta nel mio ambito di ricerca senza troppi problemi. Quest’anno il MAECI, con la Commissione VII del Cgie, ha organizzato il seminario di Palermo. Con il loro supporto, sono stati fatti partire vari progetti a costo zero. Ho partecipato anche io nella rappresentanza giovanile e nella rete dei ricercatori italiani. Ma l’amara considerazione è che l’Italia è un paese per vecchi. Noi giovani siamo pronti. E voi?”.
Riallacciandosi a questo ultimo intervento, la moderatrice ha parlato di conflitto generazionale, per cui l’Italia non è certo un Paese per giovani, ma nemmeno un Paese per vecchi. Manca, fondamentalmente, un dialogo tra le parti, un interscambio. “È uno spunto importante”, ha detto Aprati, “in alcuni settori ci sono vere e proprie spartizioni”. La parola è passata, al termine del panel, a Giuseppe Preziosi, chirurgo generale al Margarete Hospital di Londra: “Mi sono formato completamente in Inghilterra e conosco l’appeal dei medici italiani che vengono a lavorare in Regno Unito. In Italia non ci sono molte posizioni apicali, il sistema è piramidale. In Inghilterra le cose sono diverse. Certo, la Brexit sta complicando non poco le cose, ma le porte per gli italiani, con la loro formazione, saranno sempre aperte. Aspettiamo di vedere cosa succede, ma il flusso di ritorno che si potrebbe determinare non sarebbe una catastrofe per l’Italia”.
Michele Buono, giornalista di Report, ha portato il suo contributo alla fine del panel: “Dovremmo iniziare a porci una domanda a monte: perché si parte? In fondo abbiamo tutto qui in casa. Abbiamo le competenze, abbiamo le risorse, eppure gli italiani vanno via. Mi trovo spesso in America, dove gli italiani nemmeno si pongono il problema di tornare. L’Italia ha un problema di tipo storico. Perché siamo così arretrati rispetto agli altri Paesi europei? Esiste una Nazione, ma ancora non esiste uno Stato. Stiamo trovando faticosamente la nostra identità. Ma detto questo, le persone che partono e poi non tornano, lo fanno perché qui non c’è un sistema a scala, ma una piramide”.
L’ultimo panel della giornata, incentrato su “imprenditoria e professioni”, moderato da Benedetta Rinaldi, è iniziato con il collegamento Skype di Andrea Ciaffi, ingegnere impiantista presso Arup, a Sydney: “Ho studiato a Roma, poi ho lavorato in Azerbaijan e, infine, a Sydney. Inizialmente non parlavo nemmeno inglese, oggi faccio il lavoro dei miei sogni. Mi occupo di impianti idraulici antincendio e sono diventato cittadino australiano due settimane fa. Nell’arco di 5 anni mi sono trovato a progettare impianti per grattacieli di 70 piani, data center per Musei e molto altro. Una sfida complessa che mi è mancata in Italia a causa di processi molto lenti. Il mio settore era – e credo lo sia ancora – ingolfato. Qui guadagno tra i 120 e i 140 mila dollari l’anno. Circa 6 mila euro al mese. Per questo, attualmente, non ho in programma di rientrare”.
Florinda Saieva, ideatrice di Farm Cultural Park, ha parlato del suo trasferimento da Parigi a Favara, suo paese di origine, dove ha deciso di investire: “Abbiamo fatto una scommessa. Fare impresa culturale in Italia non è facile e se confrontiamo la nostra condizione con quella degli altri Paesi europei viene da rabbrividire. Ho sentito spesso che gli italiani vanno all’estero per imparare la lingua, ma allora perché non insegnargliela qui? Dovremmo dotare i nostri ragazzi di strumenti per essere più competitivi”.
“Noi”, ha concluso Saieva, “abbiamo dimostrato che le cose si possono fare, abbiamo generato possibilità, ma la mentalità italiana è dura da cambiare”. Ambrogio Invernizzi, Amministratore delegato Inalpi, si è invece trasferito a Nizza per permettere ai figli di frequentare una scuola internazionale.
“Quando studiavo, mi sono trovato in difficoltà con le lingue. Per questo ho cercato un posto che permettesse ai miei figli di avere dalla loro un vantaggio per il futuro”. Andrea Pappalardo, avvocato internazionale di Mentha Avocats a Ginevra, originario di Napoli, è riuscito a restare in qualche modo legato, con la sua professione, alla città di appartenenza. “Ho avuto un percorso ordinario, ma non ho resistito alla tentazione dell’estero. Ho avviato una libera attività a Ginevra, sradicandomi dal mio territorio, ma senza una frattura vera e propria, perché mi sono posto come terminale all’estero per l’internazionalizzazione delle carriere dei colleghi italiani”.
Laura Tolettini, Digital Integration Manager presso Feralpi, colosso della siderurgia, ha deciso di trasferirsi a Dresda per il suo amore verso la lingua tedesca. “Durante l’Erasmus ho capito che l’estero era la mia frontiera, nonostante prima non fossi mai uscita dall’Italia se non per brevi periodi. Ho sempre lavorato in Feralpi, prima a Brescia, poi a Lipsia e infine a Dresda. Non sono arrabbiata con l’Italia, ma l’esperienza all’estero credo sia necessaria per tutti i professionisti che intendono arricchirsi”. (gianluca zanella\ aise)