INTERVISTA A ROBERTO TORREGIANI – di Antonella Dolci
STOCCOLMA\ aise\ - “Il Lavoratore ha visitato Roberto Torregiani nel suo curioso atelier di Östermalm: una serie di cunicoli ipogei a cui si entra da una porticina nel cortile della casa, pieni zeppi di tele di tutte le dimensioni, cavalletti, colori e pennelli, recipienti vari, icone, sculture, ma anche un comodo divano: ricorda un poco le cappelle protocristiane nella roccia della Cappadocia. In questi angusti locali Roberto Torregiani dipinge, fa corsi, incontra altri artisti”. Ad intervistare l’artista marchigiano da anni residente a Stoccolma è stata Antonella Dolci, direttore editoriale de “Il lavoratore”, trimestrale della Fais, diretto da Valerio De Paolis.
“D. Guardando i tuoi quadri mi domando se hai esitato se scegliere il figurativo o l’astratto?
R. Non ho mai scelto, non vedo questa alternativa. A me interessa la sintesi, la fusione tra materia e spirito. In alcuni miei quadri la figura è riconoscibile, in altri si estende, si allunga, si moltiplica…
D. Ti sei mai dedicato alla scultura?
R. Sí, all’inizio, e saltuariamente anche ora. Ma la pittura mi ha attratto di più. Anche per ragioni pratiche, non è facile portare in giro sculture per un nomade come me che lavora in tre/quattro diversi atelier in diverse città. Ci sono temi ricorrenti nei tuoi quadri: la maternità, il mistero della vita, la pace.
D. Ed esponi spesso in chiese. La definiresti la tua un’arte religiosa?
R. Non si tratta di religione in senso catechistico, dogmatico. Sono sempre stato convinto che l’arte è legata ad un sentimento di sacralità. L’arte in sé stessa è sacra, e così la pittura, fin dai suoi inizi nelle caverne. Penso a Giotto che è stato il mio maestro. È vero, negli ultimi anni ho esposto spesso a Stoccolma nelle chiese. La chiesa protestante, luterana, si sa, è sempre stata diffidente verso le decorazioni e le immagini ma direi che ora sta ammorbidendo il suo atteggiamento e credo di aver in piccola parte contribuito a questo. I miei quadri sono stati esposti nelle chiese di Engelbrecht, di Gustaf Vasa, in Stefankyrkan e in molte altre.
D. A proposito di arte sacra. So che dipingi icone. E fai anche qui, nel tuo atelier, un corso per insegnare la pittura di icone. Come è nato questo tuo interesse?
R. È successo molti anni fa, negli anni Novanta. Dipingere icone non è solo una tecnica particolare, è un’esperienza spirituale. Era dopo la mostra che feci a Parigi nel Museo dell’Unesco, “Le miracle de la vie”. Sentii il bisogno di un ritiro spirituale e lo feci in un convento nel nord della Svezia. Lí imparai a dipingere icone. Il mio maestro era un anacoreta finlandese ortodosso (la cultura finlandese è sempre stata fortemente permeata dalla cultura russa, anche nell’arte). Le lezioni di pittura si alternavano con digiuni, meditazioni, riflessioni in silenzio. È un’arte molto speciale. Non è legata all’ispirazione del momento. Ci sono dei prototipi e si tratta di copiarli, e nel copiarli di immedesimarsi, di sottomettersi, in qualche modo, alla tradizione, di uscire dalle strettoie dell’io. Ora faccio anche corsi per dipingere icone qui nel mio atelier e sono molto seguiti.
D. Hai mai fatto ritratti?
R. Certo, spessissimo. I primi tempi, quando ero giovane, a Parigi, era per sbarcare il lunario. Ma non facevo come quei pittori di Montmartre che stanno seduti davanti al loro cavalletto e invitano i clienti. Mi sedevo, prendevo carta e matita, vedevo passare una faccia interessante e facevo un bozzetto. Alcuni si fermavano a guardare e se il disegno gli piaceva, lo compravano. È molto difficile fare ritratti, non è come dipingere un paesaggio. Il volto è lo specchio dell’anima e si tratta di saperla afferrare. Ho fatto ritratti di consoli, ambasciatori, personaggi noti. E di mia madre, di mia moglie, dei miei figli, naturalmente. Del resto ho sempre un foglietto e una matita tra le mani e disegno: al ristorante, tra amici, in una conferenza, in viaggio. Mentre altri fotografano, io disegno.
D. Quali sono i tuoi piani per il futuro?
R. Il piano più importante è Parigi nel 2020. Ci sarà una celebrazione dei miei quarant’anni di attività in Francia, così com’è stato fatto per l’Italia e la Svezia, voluta da amici e mecenati francesi, probabilmente in collaborazione con l’Istituto di cultura svedese in Francia. È da Parigi che la mia arte ha veramente preso il volo, che ho potuto esporre negli Stati Uniti, in Giappone ecc. Sono stati anni estremamente importanti per me. Non so ancora che forma prenderà, se ci sarà una mostra, certamente un catalogo. Nel futuro più immediato ci sarà una mostra antologica su tutto il mio percorso artistico nella Pinacoteca comunale di Ripa S. Ginesio, nell’entroterra del mio paese natale, Civitanova Marche, dove trascorro ogni anno alcuni mesi, che è addossata ad una chiesa molto danneggiata dal terremoto. In questa chiesa del resto c’è una mia grandissima icona, di due per tre metri. Il titolo della mostra è “Dall’esistenza pittorica all’ottavo giorno”. Inaugurata a luglio resterà aperta un po’ di tempo per poter essere inserita nei programmi scolastici. A proposito di ottavo giorno c’è una mostra dei miei quadri nella chiesa di Gustaf Vasa in Odenplan, chiamata “Åttonde dagen”, fino al primo settembre. L’ottavo giorno è il giorno che segue il compimento della creazione. Il pastore di Gustaf Vasa , Åke Nordström, cosí definisce nella sua introduzione alla mostra, la reazione dell’uomo davanti al mistero della creazione: “Non possiamo immaginarci il nulla. Appena pensiamo o nominiamo il nulla, esso diventa qualcosa, prende un nome, una forma, un colore. Comincia ad esistere. È altrettanto difficile, per non dire impossibile immaginare il tutto./ …/Quale meravigliosa ironia che la lingua che permette di parlare dell’universo sia l’arte: immagini, poesia o matematica”.
I dipinti di Roberto Torregiani nella chiesa di Gustaf Vasa in Odenplan saranno esposti fino al primo settembre. Chi desidera una visita guidata può telefonare a Maria Hjortstorp, la diaconessa: che è anche la curatrice della mostra”. (aise)