ITALIANI IN SVIZZERA: QUANDO GLI IMMIGRATI ERAVAMO NOI
ROMA – focus/ aise – È di pochi giorni fa il messaggio di Michele Schiavone, segretario del Cgie, rivolto all’Ambasciatore d’Italia a Berna, Marco Del Panta, che – terminato il suo mandato – sta tornando in Italia. “Oggi – annota Schiavone in una lettera a firma personale – la percezione dell’italianità nella terra di Calvino e di Guglielmo Tell è presente e viva, riconosciuta e ricercata e ciò va ascritto anche all’eccellente lavoro che l’ambasciatore Marco Del Panta ha svolto assieme ai suoi collaboratori. La comunità italiana in Svizzera deve molto alla sua professionalità, alla sua personalità caratterizzata dall’assidua presenza sul territorio, dentro e fuori dai luoghi delle istituzioni, e gli siamo grati per il tratto umano, la sensibilità che ha sempre e ovunque manifestato rendendola partecipe e protagonista nella società svizzera. Con gratitudine e riconoscenza a nome dei nostri connazionali lo ringrazio sentitamente”. È partendo da questo spunto che si può analizzare il rapporto tra comunità italiana e svizzera. Un rapporto non sempre facile, com’è ovvio che sia, ma improntato quasi sempre sul reciproco rispetto e collaborazione.
E se adesso i risultati di questa collaborazione sono sotto gli occhi di tutti, certamente le cose erano ben diverse tra gli anni Sessanta e Settanta, quando l’emigrazione italiana nel Paese elvetico raggiunse l’apice e i nostri connazionali venivano guardati con sospetto, proprio come molti ad oggi guardano gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste. È stato presentato ieri presso la Colonia Libera Italiana di Muttenz, e si replica oggi alle 19.30, presso quella di Neuchâtel, il libro di Nicoletta Bertolozzi “Chiamami sottovoce”. L’autrice del romanzo è nata in Svizzera, ma vive in provincia di Milano. Collabora da molti anni con Mondadori e con Sperling & Kupfer e ha scritto diversi libri per bambini e per adulti, vincendo diversi premi.
È primavera, eppure la neve ricopre la cima del San Gottardo, monumento di roccia che si staglia sopra il piccolo paese di Airolo. La Maison des roses è ancora lì, circondata da una schiera di abeti secolari: sono passati molti anni, ma a Nicole basta aprire il cancello di ferro battuto della casa d’infanzia per ritrovarsi immersa nel profumo delle primule selvatiche ed essere trasportata nei ricordi di un tempo che credeva sommerso. È il 1976 e Nicole ha otto anni, un’età in bilico tra favole e realtà, in cui gli spiriti della montagna accendono lanterne per fare luce su mondi immaginari. Nicole ha un segreto. Nessuno lo sa tranne lei, ma accanto alla sua casa vive Michele, che di anni ne ha nove e in Svizzera non può stare. È un bambino proibito. Ha superato la frontiera nascosto nel bagagliaio di una Fiat 131, disegnando con la fantasia profili di montagne innevate e laghi ghiacciati.
Adesso Michele vive in una soffitta, e come uniche compagne ha le sue paure e qualche matita per disegnare arcobaleni colorati sul muro. Le regole dei suoi genitori sono chiare: “Non ridere, non piangere, non fare rumore”. Ma i bambini non temono i divieti degli adulti, e Nicole e Michele stringono un’amicizia fatta di passeggiate furtive nel bosco e crepuscoli passati a cercare le prime stelle. Fino a quando la finestra della soffitta s’illumina per sbaglio, i contorni del disegno di due bambini stilizzati si sciolgono nella neve e le tracce di Michele si perdono nel tempo. Da quel giorno, Nicole porta dentro di sé una colpa inconfessabile. Una colpa che l’ha rinchiusa in un presente sospeso, ma che adesso è arrivato il momento di liberare per trovare la verità.
Questa è la storia di un’amicizia interrotta e di un segreto mai svelato. Ma è anche la storia di come la vita, a volte, ci conceda una seconda occasione. Chiamami sottovoce è un romanzo potente su un episodio dimenticato del nostro passato recente. Perché c’è chi semina odio, ma anche chi rischia la propria libertà per aiutare gli indifesi. Negli anni ’60 e ’70 del Novecento gli emigranti italiani in Svizzera non potevano portare con sé la famiglia. Di bambini nascosti in Svizzera ce ne sono stati tanti, anche tra gli iscritti delle Colonie Libere. (focus\ aise)