L’AMBASCIATORE PERRONE A “REPUBBLICA”: L’IRAN SI SENTE ASSEDIATO. DIFFICILE FAR RIPARTIRE I NEGOZIATI

ROMA\ aise\ - “Alla Conferenza degli ambasciatori organizzata al Ministero degli Esteri uno dei temi più delicati affrontati è la situazione di tensione fra Stati Uniti e Iran nel Golfo Persico. Giuseppe Perrone, uno dei diplomatici di punta della Farnesina, da qualche mese è il nuovo rappresentante italiano a Teheran”. Ad intervistare il diplomatico è stato Vincenzo Nigro per il quotidiano “la Repubblica”.
Riportiamo di seguito la versione integrale dell’articolo.
““Sicuramente il nostro obiettivo è quello di far ridurre la tensione: quello che sta accadendo nello stretto di Hormuz è la spia di una situazione più generale in cui ad ogni reazione corrisponde una controreazione. Il rischio è che questa dinamica provochi ulteriore tensione e ulteriore conflitto”.
La catena di incidenti militari nel Golfo (un primo drone abbattuto, una petroliera iraniana sequestrata da Uk, poi un altro drone, una petroliera britannica fermata) lascia prevedere che l’escalation possa finire fuori controllo.
Vista da Teheran, quale è la strategia applicata dall’Iran, quali gli interessi che la Repubblica Islamica vuole difendere?
“La sensazione è che l’Iran in questa fase si senta sotto assedio da parte degli Usa e delle varie potenze regionali. La loro dirigenza non ha ancora chiaro quale sia l’obiettivo finale dei loro avversari. Molti, soprattutto nella parte più conservatrice del sistema politico, ritengono che l’obiettivo finale sia quello del cambio di regime. Per cui l’ottica è quella di difendere il paese ma anche il sistema politico. E questo porta gli iraniani a condurre una battaglia con più mezzi e a livelli diversi”.
Teheran chiaramente non ha interesse a uno scontro totale. Quali i motivi delle loro azioni militari nel Golfo e ad Hormuz? Non c’è il rischio concreto che azioni e reazioni da una parte e dall’altro possano finire fuori controllo?
“Sicuramente c’è questo rischio. Che non è nell’interesse di nessuno, e sicuramente non è nell’interesse di paesi come l’Italia che lavorano a una composizione politica delle differenze. Anche all’interno dell’Iran ci sono sensibilità differenti. La prospettiva militare ha già mobilitato una corrente di nazionalismo, che ha l’effetto di rafforzare l’assetto della Repubblica islamica. Alcuni settori del paese guardano senza timore a questa fase, il regime non fugge. È stata messa in atto una strategia difensiva a bassa intensità, che non a caso vede all’interno del paese la prevalenza degli elementi nazionalisti: i gruppi radicali stanno rafforzando la loro contrarietà ad accordi con gli Stati Uniti. Accusano i riformisti dell’apertura agli Usa fatta nei mesi scorsi: e l’argomento sta facendo breccia, aiuta i conservatori”.
Come vengono percepiti gli interessi Usa nel Golfo? Trump chiede un negoziato che oltre al nucleare affronti il programma missilistico e l’espansione di Teheran nell’area (Siria, Libano, Yemen, Iraq). Come è possibile una trattativa del genere?
“C’è una forte diffidenza nei confronti dell’amministrazione americana. Con l’America non scopriamo nulla dicendo che da decenni l’Iran ha vissuto un rapporto problematico, a iniziare dalla crisi degli ostaggi del 1980. Il popolo iraniano non è antiamericano, credo aspirerebbe a un rapporto normalizzato. Ma c’è il fossato di 40 anni di contrasti politici e militari. E il ritiro degli Usa dall’accordo nucleare viene presentato dai radicali come una conferma di inaffidabilità”.
Un negoziato quindi è impossibile? Soprattutto sui nuovi temi sollevati dagli Usa, come il programma balistico?
“Questo è il nocciolo del problema, come tornare a un negoziato. Il programma balistico è visto dall’Iran come una assicurazione difensiva: ci si sente sotto assedio e i missili sono visti come una assicurazione. Prospettiva chiaramente diversa dalla percezione di altre potenze regionali. Su un altro piano, la presenza regionale dell’Iran è parte della loro strategia politica, negoziando sul nucleare hanno inteso mantenere il settore balistico. Far ripartire la trattativa è molto difficile anche per queste profonde diversità”.
L’Iran chiede di alleggerire le nuove sanzioni Usa. Ma gli Usa le hanno create proprio per costringere Teheran a cedere su temi come il programma balistico…
“La prima cosa da fare è quella di ripristinare un minimo di fiducia tra le parti e innescare un circolo virtuoso che ancora non c'è. Una dinamica virtuosa per cui si possa fare in modo che l'Iran torni ad attuare l'accordo nucleare e tragga i "benefici economici che discendono dall'accordo. Il negoziato implica ovviamente un do ut des, solo con il negoziato si può risolvere questa crisi. Qualsiasi colpo di forza genera una contro-reazione dell’avversario. In questa fase bisogna trovare la formula che permetta all'Iran di sedersi al tavolo del negoziato, che è l'obiettivo condiviso anche dei nostri alleati, e al tempo stesso che salvaguardi gli interessi di libertà di navigazione del Golfo anche della comunità internazionale”.
L’Italia ha sempre mantenuto un rapporto di buona collaborazione politica e grande scambio economico. Quali sono gli obiettivi dell’Italia?
“L’Italia ha tutto l’interesse a costruire una de-escalation, una riduzione della tensione nel Golfo, soprattutto perché questa dinamica può provocare ulteriore tensione e ulteriore conflitto. Per il momento l'interscambio commerciale tra l'Iran e l'Italia si è molto ridotto per effetto delle sanzioni imposte da Washington alla Repubblica islamica. Tutti i Paesi europei stanno pagando un prezzo molto alto all'attuale situazione di tensione. Per l’Italia ci sono dei settori in cui ancora si può operare perché non sono colpiti dalle sanzioni unilaterali americane. In altri settori invece c'è forse una eccessiva osservanza delle sanzioni e questo porta a un atteggiamento restrittivo auto-imposto da parte delle aziende”.
Lei è a Teheran da pochi mesi: come vede le condizioni economiche della società iraniana? E in generale quale la reazione del paese alle nuove sanzioni Usa?
“L’economia sicuramente è in difficoltà, la popolazione soffre, ma l’Iran non è un paese che reagisce con il caos o con l’inazione. La carenza di valuta pregiata sta portando il sistema economico a reagire in molti modi, a diversificare le sue attività. Certo non scopro nulla dicendo che come sempre in questi casi a soffrire è sempre la parte più debole della popolazione”. (aise)