L’IMPORTANZA DEL RICORDO
ROMA – focus/ aise – In occasione dell’anniversario dell’eccidio della malga di Porzus, si sono riuniti a Udine, nella sede dell’Associazione Partigiani Osoppo, tutti i rappresentanti delle associazioni aderenti alla FIVL (Federazione Italiana Volontari della Libertà). Presenti, tra gli altri, il presidente Francesco Tessarolo, il segretario Roberto Volpetti e l’ex partigiana, medaglia d’oro al valor militare, Paola Del Din, 96 anni, unica italiana (e probabilmente unica donna) ad aver effettuato un lancio con il paracadute oltre le linee nemiche durante la Seconda guerra mondiale. È in questa occasione che abbiamo avuto modo di scambiare alcune considerazioni con Claudio Toninel, vice presidente dell’Associazione Nazionale Divisione Acqui.
Quella della Divisione Acqui, stanziata nella bellissima isola greca di Cefalonia, e del suo generale Antonio Gandin è una storia di coraggio, orgoglio e resistenza ante litteram, rimasta per anni ad appannaggio solamente dei ricordi dei sopravvissuti e riemersa in tutta la sua immane tragicità solamente dopo l’apertura del cosiddetto “armadio della vergogna”. Sintetizzando al massimo, quello che accadde è molto semplice: dopo l’8 settembre, i tedeschi intimarono ai pochi reparti rimasti integri dell’esercito italiano di consegnare le armi, con l’assicurazione di un trattamento di cortesia. Antonio Gandin, che aveva imparato a diffidare delle promesse fatte dai tedeschi (in questo caso dai soldati della Wermacht), scelse di consultarsi con i suoi ufficiali. La decisione fu unanime: resistere a oltranza ai tedeschi. Ne scaturì una furiosa battaglia che mise a ferro e fuoco l’isola per diversi giorni. Gli italiani si batterono valorosamente, ma con un equipaggiamento che non poteva neanche lontanamente competere con quello dell’ex alleato, che con i suoi Stukas colpiva in picchiata le postazioni italiane. Tra morti in battaglia, fucilazioni di massa, deportazioni e un tragico affondamento di una nave carica di prigionieri, la divisione venne praticamente azzerata, con un numero di morti mai stabilito con certezza, ma sull’ordine delle migliaia (si parla addirittura di quasi 9 mila morti).
Claudio Toninel è nipote di uno dei pochi sopravvissuti. “Mio zio”, ci ha raccontato, “non amava parlare di certe cose. Solamente negli ultimi anni della sua vita ha cominciato a condividere con gli altri quello che dev’essere stato un trauma che si è portato dietro per tutta la vita. Io stesso l’ho accompagnato a Cefalonia a visitare il sacrario di Argostoli, ma non amava parlare in pubblico. Il suo era un dolore privato, custodito gelosamente. Solamente in punto di morte mi chiese, quasi mi implorò di prendermi cura della Divisione Acqui. Cioè di non lasciare che la memoria andasse dispersa”. E Claudio Toninel ha mantenuto la promessa. “Nonostante tutto”, ci ha confessato, “mi porto dietro un unico cruccio: quello di aver capito troppo tardi l’importanza della trasmissione dei ricordi. Anche mio padre aveva fatto la guerra, ma in Africa. A differenza del fratello, lui raccontava spesso le sue storie. Per esempio, ripeteva continuamente di aver partecipato a sette assalti all’arma bianca contro le posizioni inglesi nel deserto. Ecco, il mio cruccio è quello di non averlo mai veramente ascoltato, anzi, ricordo che provavo anche un certo fastidio quando cominciava con questi discorsi. Oggi non so cosa darei per poter passare con lui un’ora a farmi raccontare le sue emozioni in quei momenti, i suoi pensieri e le sue paure. Dopotutto, era solo un ragazzo”. (focus\ aise)