LINGUE TRA POTERE E SUDDITANZA - di Raffaele De Rosa

ZURIGO\ aise\ - “Tempo fa ha fatto un certo scalpore vedere le immagini del Presidente della Confederazione elvetica in visita negli Stati Uniti che si esprimeva pubblicamente in un inglese stentato. I commenti dei mezzi di comunicazione sono stati impietosi, misti tra l’indignato e il sarcastico. La cosa per me strana in questa polemica è che gli Svizzeri, che vivono in un Paese ufficialmente plurilingue, tendono a essere piuttosto indulgenti verso i loro rappresentanti pubblici quando si esprimono in un’altra lingua nazionale che non è la propria”. Così scrive Raffaele La Rosa nella sua rubrica – “La lingua batte dove…” – che cura su “La Rivista”, mensile diretto a Zurigo da Giangi Cretti.
“Un ministro di lingua francese che si esprime in tedesco con un accento “strano” può essere considerato charmant. Una ministra di lingua tedesca che si esprime pubblicamente in italiano con diversi errori viene applaudita come una persona sensibile verso le istanze linguistiche delle minoranze del Paese.
Insomma… per me si tratta di un bellissimo atteggiamento aperto.
Solo con l’inglese questa tolleranza sembra scomparire completamente e tutti si sentono in dovere di diventare “insegnanti” di una lingua che, spesso, non è nemmeno la propria.
Anche in Italia periodicamente vengono presi in giro i rappresentanti politici che tentano di esprimersi in inglese maccheronico, una lingua diventata nel corso tempo l’oggetto del desiderio di molte persone per ovvi motivi di opportunità. Nei sistemi educativi, non solo in Svizzera e in Italia, si è fatto di tutto per promuovere lo studio e l’insegnamento di questa lingua.
I risultati di questi sforzi rimangono, secondo il mio parere, comunque piuttosto contradditori se limitati all’ambito scolastico. La conoscenza e l’uso delle lingue straniere è molto importante per vari motivi sia professionali che puramente culturali-idealistici.
Il problema nasce quando qualcuno si sente in dovere di parlare una lingua straniera per apparire “internazionale” o “aperto al mondo” o “efficiente” o “alla moda”.
La scelta di usare l’inglese, anche quando non è necessariamente richiesto, da parte di certi politici non di madrelingua va letta anche con questa ottica. Quando poi ci si vuole mettere allo stesso piano di un parlante di madrelingua inglese per trattare alla pari certi argomenti, allora il rischio di fare brutte figure diventa piuttosto alto.
Per questo motivo alcuni politici di spicco (per esempio Emmanuel Macron o Angela Merkel) evitano di parlare pubblicamente in inglese, anche se conoscono questa lingua.
Forse hanno capito che usare sempre la propria lingua in situazioni ufficiali significa rappresentare in modo adeguato il proprio Paese. A tradurli ci sono gli interpreti professionisti. Secondo me un politico non anglofono che decide di usare l’inglese in situazioni ufficiali, con o senza la presenza di persone di madrelingua, dimostra (inconsapevolmente) anche una certa sudditanza verso la lingua del potere e poca considerazione per la propria.
Situazioni analoghe sono riscontrabili naturalmente in molti altri contesti lavorativi.
Qualche volta, comunque, ci sono anche reazioni inaspettate, come dimostrano le parole di Michael, un mio conoscente inglese che vive e lavora come uomo di affari da tanti anni nella Svizzera tedesca: “Io non capisco perché, quando partecipo a certe riunioni di lavoro, tutti si sforzano a parlare in inglese anche se la maggioranza dei partecipanti è di lingua tedesca o conosce bene questa lingua. Alcuni credono di farmi un favore perché credono che non li capisca. E poi mi sembra che ci siano diverse persone desiderose di dimostrare la loro bravura comunicativa semplicemente per opportunismo professionale. Ho perfino l’impressione che si scateni una specie di competizione linguistica con piccole e grandi discriminazioni all’interno del gruppo. Questo mi ha dato sempre fastidio e un giorno ho detto di smetterla di usare l’inglese come una specie di “arma”. Preferisco parlare il mio tedesco imperfetto, ma comunque comprensibile, anche se questo mi pone in una situazione di apparente svantaggio comunicativo. Ho fatto tanta fatica per impararlo con l’obiettivo di integrarmi in questo Paese, perché non me lo fanno usare?”.
L’atteggiamento critico di Michael, tuttavia, non è “normale” a certi livelli. Sicuramente le sue parole possono costituire uno spunto per ulteriori riflessioni sulle lingue usate per esercitare un potere o imporre una certa sudditanza”. (aise)