PAOLO BORSELLINO: 27 ANNI FA LA STRAGE

ROMA\ aise\ - 19 luglio 1992, Palermo, via D’Amelio. Paolo Borsellino, accompagnato dai cinque agenti della sua scorta - Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina – sta andando a trovare l’anziana madre.
Neanche due mesi prima il collega e amico Giovanni Falcone è stato ucciso con sua moglie e la sua scorta sull’autostrada che dall’aeroporto porta a Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci. Paolo Borsellino sa di essere il prossimo. L’ha già detto ai suoi colleghi, ai suoi collaboratori. Hanno destato commozione e sdegno gli audio di una delle sue ultime audizioni al CSM desecretati pochi giorni fa, in cui il magistrato lamenta la protezione farsesca cui è sottoposto.
Fa caldo, quella mattina. Il magistrato si avvicina al citofono. È un attimo. Una Fiat 126, imbottita con circa 90 chili di esplosivo, salta in aria, spazzando via la vita di sei persone in una frazione di secondo. Cosa nostra ha sferrato ancora una volta la sua zampata. L’ultima in grande stile, quella che – in qualche modo – segna l’inizio del declino.
A 27 anni di distanza tante le voci che si alzano per ricordare il magistrato e la sua lotta contro i mulini a vento, ancora più tragica in quei due ultimi mesi dopo la morte di Falcone, quando era ormai chiaro che l’epilogo di tutta questa vicenda non sarebbe potuto essere poi tanto diverso. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha scritto sulla sua pagina Facebook che il “ritardo nel trovare la verità è un fallimento per lo Stato". "Via D'Amelio”, ha aggiunto, “ventisette anni dopo quel terribile pomeriggio del 19 luglio 1992, ci ricorda ancora una volta quanto sia lunga e tortuosa la strada da percorrere per conoscere tutta la verità e ottenere piena giustizia rispetto ad un periodo tragico che ha cambiato per sempre la storia del nostro Paese".
"A distanza di tanti anni, ci sono ancora processi in corso per accertare una verità a cui hanno diritto i familiari delle vittime di quelle stragi e tutto il popolo italiano". "Oggi però - si legge ancora nel post - dobbiamo anche avere il coraggio e l'onestà di dire che il ritardo nell'accertamento di quella verità è già un fallimento dello Stato". (gianluca zanella\ aise)