PIROZZI E MUSI SU “AFFARI INTERNAZIONALI”: L’EUROPA CIVILE, LE MISSIONI UE E IL CONTRIBUTO DELL’ITALIA

ROMA\ aise\ - “Recentemente la Camera dei Deputati ha concluso un’animata discussione in merito alla proroga della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali e agli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione per l’anno 2019. Le polemiche hanno riguardato in particolare la missione di supporto alla Guardia costiera libica, ma l’impegno dell’Italia approvato per l’anno in corso è ben più vasto: comporta un costo complessivo pari a poco meno di 1,5 miliardi di euro e la consistenza media dei contingenti delle Forze armate impiegati nei teatri operativi è pari a circa 6.300 unità. A queste vanno aggiunte le unità di personale civile impegnato in diverse missioni, tra le quali quelle dell’Unione europea (Ue)”. Inizia così l’articolo che Nicoletta Pirozzi e Francesco Musi firmano per “Affari Internazionali”. Pirozzi è responsabile del programma dello IAI Ue, istituzioni e politiche, e docente a contratto presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi “Roma Tre”. Francesco Musi è entrato in carriera diplomatica nel 2007 e attualmente presta servizio presso l’Ispettorato Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e degli uffici all’estero.
Riportiamo di seguito la versione integrale dell’articolo.
“ NUOVI SCENARI PER LA GESTIONE CIVILE DELLE CRISI”
La dimensione civile della Politica di Sicurezza e Difesa comune (Psdc) dell’Unione ha conosciuto un considerevole sviluppo in termini di visibilità e di risorse nell’ultimo anno, in seguito all’approvazione da parte degli Stati membri del cosiddetto Civilian Compact lo scorso novembre: un documento di aggiornamento e rilancio della gestione civile delle crisi varato nel contesto dell’attuazione della Strategia Globale dell’Unione presentata dall’Alto Rappresentante Federica Mogherini nel giugno del 2016.
Il contributo civile ai processi di prevenzione, risoluzione e stabilizzazione dei conflitti è sempre stato il fiore all’occhiello dell’Ue, che dal 2000 ha via via potenziato le sue capacità civili di monitoraggio, capacity-building, consulenza strategica e formazione, e ha dispiegato ben 22 missioni civili, in varie parti del mondo. Le missioni attualmente in corso sono 11 e spaziano dai Balcani (EULEX Kosovo), al Medio Oriente (EUBAM Rafah, EUPOL COPPS, EUAM Iraq), all’Est Europa e Caucaso (EUAM Ucraina, EUMM Georgia) all’Africa (EUBAM Libia, EUCAP Sahel Mali, EUCAP Sahel Niger, EUCAP Somalia). Gli ambiti privilegiati di intervento sono il rafforzamento dello stato di diritto, la promozione dei diritti umani e la riforma del settore di sicurezza.
Ma il Civilian Compact estende il campo delle azioni civili a nuove sfide quali la migrazione irregolare, le minacce ibride, la cyber-security, il terrorismo e la radicalizzazione, e punta in particolare sul rafforzamento delle capacità di controllo e gestione delle frontiere, di sicurezza marittima, di intelligence. Se, da una parte, si presenta oggettivamente il rischio di uno snaturamento della Psdc civile e un ridimensionamento degli sforzi di stabilizzazione a favore di interventi più mirati di gestione della questione migratoria, è innegabile che lo slancio dato dal Civilian Compact abbia quantomeno rianimato l’interesse per la gestione civile delle crisi degli Stati membri, attualmente impegnati nella redazione dei Piani di attuazione nazionali.
CIVILI IN MISSIONE: UN TREND NEGATIVO
Se guardiamo all’evoluzione del personale totale impiegato nelle missioni, osserviamo che nel 2010 le missioni civili dell’Ue impiegavano 2.307 esperti, mentre nel 2018 questo dato si è quasi dimezzato passando a 1.247 unità. Dal 2016 ad oggi il trend si è invece assestato all’incirca a 1.200 unità totali impiegate in media annualmente.
Per quanto riguarda invece le tipologie di personale impiegato, quello “seconded” (cioè distaccato e retribuito dagli Stati membri) è costantemente diminuito tra il 2010 e il 2018, passando da 1.848 a 717 unità e dall’80% al 60% del totale. Un trend diverso ha caratterizzato il personale “contracted”, cioè selezionato e retribuito dalle istituzioni Ue, che è rimasto praticamente costante in termini numerici, passando quindi dal 20% al 40% del totale data la contestuale diminuzione della componente “seconded”. Quest’ultima domina nelle missioni in Libia, Kosovo, Ucraina e Georgia, mentre è più limitata nelle altre missioni.
Per quanto riguarda la riduzione complessiva del numero di effettivi, diverse possono essere la ragioni che hanno determinato questo trend nel tempo, dal momento che diverse sono le variabili in gioco. Una prima spiegazione potrebbe essere data dall’evoluzione stessa delle missioni in connessione con l’agenda politica dell’Ue. Tra il 2010 e il 2018, le tre missioni più grandi in termini di organici – EULEX Kosovo, EUMM Georgia e EUPOL Afghanistan – hanno subito successive modifiche al mandato che ne hanno ridimensionato il numero di effettivi impiegati; in altri casi, come EUPOL, la missione è stata chiusa.
Discorso a parte merita l’Africa. Negli ultimi anni, infatti, l’Unione ha dovuto far fronte alla situazione in Sahel, che rappresenta oggi una delle aree più fortemente instabili del continente africano e crocevia dei flussi migratori. L’Ue ha di conseguenza messo in atto una serie di interventi e ha lanciato due nuove missioni civili – EUCAP Sahel Niger (dal 2012) e EUCAP Sahel Mali (dal 2015) – che hanno visto un rafforzamento consistente del proprio organico, segno della accresciuta attenzione verso l’area.
I ‘BIG SEVEN’ E IL CONTRIBUTO ITALIANO
Un’altra variabile importante riguarda i contributi nazionali. Nel 2010 i ‘Big Seven’ – cioè i Paesi che contribuivano con più di mille unità di personale – erano nell’ordine Francia, Germania, Italia, Romania, Polonia, Finlandia e Svezia. Questi sette Stati membri da soli rappresentavano il 66% sul totale delle unità seconded. Nel 2018 il maggior contributore risulta essere la Polonia con 118 unità, seguita da Svezia, Germania, Francia e Italia.
Germania e Italia, da sempre nel gruppo di testa dei maggiori contributori della Psdc civile, hanno continuato a fornire esperti seconded in tutte le undici missioni dell’Ue. Si tratta di un trend osservato anche nella componente a contratto. Per l’Italia, le aree di maggiore interesse sono i Balcani, il Mediterraneo e il Medio Oriente. Inoltre, l’Italia può vantare una serie di posizioni apicali nelle missioni: a guida italiana è EUBAM Libia con Vincenzo Tagliaferri; italiana è la responsabile della cellula di coordinamento del progetto di regionalizzazione delle missioni Psdc in Sahel, Natalina Cea; e, a partire da settembre 2018, il generale dei Carabinieri Vincenzo Coppola è comandante delle Operazioni Civili Ue.
I dati mostrano invece un cambio di strategia da parte di Parigi: sebbene la Francia risulti ancora nel gruppo di testa, il contributo francese è principalmente concentrato nell’area del Sahel (le missioni EUCAP Sahel Mali e EUCAP Sahel Niger occupano 53 dei 59 seconded francesi). Inoltre, a partire dal 2016 la componente dei contracted ha superato quella seconded e nel 2018 i contracted francesi erano 70, dispiegati esclusivamente nell’area del Sahel.
In conclusione, negli ultimi dieci anni questi sono le tendenze principali che hanno caratterizzato l’andamento delle missioni civili europee: missioni più piccole, azioni più mirate e meno personale inviato dagli Stati membri. Da est a sud, l’Unione europea può ancora dimostrare il suo valore aggiunto attraverso la gestione civile delle crisi, ma solo se il processo di rilancio avviato con il Civilian Compact porterà a maggiori investimenti politici e finanziari da qui al 2023”. (aise)