VENEZUELA: UNA REALTÀ “VIRTUALE” - di Mauro Bafile

CARACAS\ aise\ - “L’iperinflazione che ha fatto irruzione nella vita dei venezuelani, obbligandoli a cambiare abitudini e a reinventarsi per sopravvivere, pare frenare il suo ritmo di crescita. Si apre così la speranza di un ritorno alla normalità, se normalità si può chiamare una insaziabile inflazione sempre a due cifre”. A fornire come sempre un puntuale aggiornamento sulla difficile situazione in Venezuela è Mauro Bafile, in un editoriale pubblicato oggi sullo storico giornale in lingua italiana, ora on line, che dirige a Caracas, La Voce d'Italia.
“Il mondo degli economisti è diviso tra ottimisti e scettici. I primi, una minoranza, assicurano che nei prossimi mesi la tendenza manifestata dall’inflazione sarà confermata. La crescita dei prezzi al di sotto del 50 per cento mensile, se dovesse durare nel tempo, permetterebbe di affermare che si è usciti dalla spirale perversa dell’iperinflazione. Gli altri, in cambio, sostengono che si assiste ad un fenomeno transitorio. Le condizioni che hanno condotto all’iperinflazione ci sono ancora tutte e nulla è stato fatto per eliminarle. E allora, è lecito chiedersi, perché frena l’inflazione? Il consumo, spiegano gli economisti, si è ridotto di un 35 per cento. È vero, affermano, che nei supermarket l’offerta è assortita e che negli scaffali si può trovare un po’ di tutto, ma lo è anche che i prezzi sono inaccessibili alla stragrande maggioranza della popolazione.
Il sociologo Luis Pedro España, in un tweet, spiega che “il 95 per cento dei venezuelani deve affrontare ogni giorno tre problemi: 1) reperire gli alimenti; 2) accedere ai servizi essenziali (acqua, elettricità, comunicazione); 3) risolvere gli imprevisti”. La realtà è che il 90 per cento dei venezuelani non riceve uno stipendio che permetta un livello di vita accettabile; il 51 per cento – ma queste sono cifre del 2018 – vive in condizioni di povertà. Solo a Caracas, circa 400mila famiglie vivono in condizione di povertà estrema su un universo di poco più di un milione di abitanti.
Il Venezuela si è trasformato in un Paese “sui generis”. Vi circolano tre tipi di valute. Negli Stati limitrofi il “peso” colombiano e il “real” brasiliano; nella capitale, invece, il “dollaro nordamericano”. L’economia non si muove più al ritmo dei “bolìvares”. Questi sono scomparsi dalla circolazione. Tutto è ormai virtuale. Gli acquisti sono possibili solo con carte di credito, i cui fondi disponibili non sempre riescono a mantenere il ritmo di crescita dell’inflazione, e con carte di debito. Altre transazioni si realizzano attraverso il trasferimento online di fondi da un conto all’altro. Il denaro cambia di proprietà nel mondo virtuale non per comodità, ma per necessità. Sono poche, pochissime le banconote in circolazione.
Libertà di stampa?
Anche la libertà di stampa è diventata un bene virtuale. Esiste nella Costituzione e nei discorsi dei rappresentanti del governo, ma non nella realtà. La censura si pratica nei fatti. Dalle minacce non sfugge più nessun giornalista. Sono diventate il pane quotidiano per chi pretende esercitare la professione in libertà e nel rispetto della propria etica. In edicola non vi sono mass-media critici col potere. Hanno accesso alla carta, il cui monopolio spetta al governo, solo i quotidiani e la stampa periodica affini al potere. Le imprese radiofoniche e televisive sono minacciate col ritiro dei permessi e delle relative autorizzazione per trasmettere via etere o via cavo. Il governo, poi, oscura nei motori di ricerca i portali di quei quotidiani e pagine web che sostengono l’opposizione. Li rende inaccessibili. Si tollera ancora qualche voce di dissenso, ma non si sa fino a quando.
Sciogliere il Parlamento?
Il presidente del Parlamento, Juan Guaidò, ha lanciato un allarme. Secondo sue fonti il governo starebbe pianificando di sciogliere l’Assemblea Nazionale ed indire nuove elezioni. E starebbe ipotizzando anche l’arresto dei deputati e dei leader dell’opposizione. In primis, dello stesso presidente del Parlamento.
Forte del sostegno ricevuto dalla Russia e dalla Cina, pare che il governo sia pronto a neutralizzare le voci del dissenso. Il pretesto sarebbe dato dai provvedimenti presi recentemente dagli Stati Uniti e applauditi dall’Opposizione. Il governo, dopo aver abbandonato il “tavolo del dialogo” promosso dalla Norvegia, ha accusato l’opposizione di “tradimento alla Patria”. Un’accusa pesante che, se avallata dall’Alta Corte, permetterebbe l’arresto dei leader della dissidenza. Il Governo sembrerebbe voler approfittare della debolezza attuale di Juan Guaidò. Il presidente dell’An è nella mira del Governo ormai da mesi.
Quel che più duole al giovane leader dell’Opposizione è il fuoco amico; quello delle frange estremiste dentro e fuori il Paese. L’ala radicale dell’Opposizione, che ha criticato aspramente l’apertura di un nuovo “tavolo dei negoziati” per una transizione pacifica verso il ripristino della democrazia nel Paese, continua a ritenere l’intervento militare esterno l’unica alternativa valida ed esige la resa incondizionata del Governo. La prima ipotesi sarebbe una tragedia per il Paese, che sprofonderebbe nel caos con il probabile ritorno della guerriglia rurale e urbana, e anche per il resto dell’America Latina, perché si correrebbe il rischio di provocare la rottura del suo precario equilibrio politico-istituzionale; l’altra, è impraticabile nelle attuali condizioni dello spettro politico nazionale”. (aise)