GIÙ LE MANI DALLA STORIA – di Vittorio Giordano

MONTREAL\ aise\ - ““Gli uomini del passato… non sono essi responsabili dinanzi a nessun nuovo tribunale appunto perché, uomini del passato, entrati nella pace del passato, e, come tali, oggetto solamente di storia, non sopportano altro giudizio che quello che penetra nello spirito dell’opera loro e li comprende. (…) Coloro che si affannano a far giustizia, condannando o assolvendo…. sono concordemente riconosciuti manchevoli di senso storico”. Lo ha scritto un grandissimo storico e filosofo come Benedetto Croce, nel saggio “La storia come pensiero e come azione”, pubblicato nel 1938. Il concetto è fin troppo ovvio: chi giudica il passato in base al presente non capisce la Storia. La travisa, la profana, la usa, la manipola, la strumentalizza. E questo perché, sempre secondo Croce, i valori morali che usiamo per esprimere giudizi sono condizionati dalla Storia stessa e non possono essere considerati eterni”. Così scrive Vittorio Giordano sul “Cittadino canadese”, settimanale di Montreal di cui è caporedattore.
“In altre parole: chi oggi vuole riscrivere la storia, vuole imporre una nuova ideologia, l’ideologia dominante del ‘politicamente corretto’. All’indice della moderna “Inquisizione buonista” sono finite statue, monumenti, autori, opere teatrali, film e perfino… cioccolatini.
Ecco un sintetico elenco (non esaustivo) di ‘opere scomode’ perché legate ad un passato in cui schiavitù e razzismo non erano un tabù: a Bristol, la statua del filantropo e benefattore Edward Colston; in Virginia, quella di Cristoforo Colombo, accusato di aver dato il via allo sterminio delle popolazioni autoctone; a Johannesburg, la statua del Mahatma Gandhi, accusato di essere un pericoloso razzista; in Belgio, la statua del sovrano Leopoldo II, nostalgico del periodo coloniale di fine Ottocento; a Londra, il memoriale di un gigante come Winston Churchill, l’eroe che ha salvato il mondo dalla furia di Hitler; a Torino, la statua del ‘colonialista’ Vittorio Emanuele II. E poi, in ordine sparso: alcune opere di Shakespeare, le ‘Baccanti’ di Euripide, le ‘Supplici’ di Eschilo, ‘Il fardello dell’uomo bianco’ di Rudyard Kipling, la ‘Carmen’ di Bizet, che alimenta la cultura del femminicidio; perfino Dante Alighieri, accusato di “islamofobia”; e lo stesso Giulio Cesare, vissuto tra il 100/102 ed il 44 A.C. Per non parlare di un film senza tempo, come ‘Via col vento’, per le sue “rappresentazioni culturali ormai superate”; e addirittura i cioccolatini “moretti”, detti anche “testa di moro”, pericolosi veicoli di razzismo latente.
“Ma mi faccia il piacere!..”, direbbe oggi Totò. Chi perora l’antirazzismo, sfregiando la storia, è lui stesso razzista.
Alla faccia della “non-violenza” di Martin Luther King! La verità è che qualsiasi revisionismo storico fondato sulla ‘damnatio memoriae’ è di per sé anti-storico e anti-democratico. Far espiare i peccati di ieri, secondo i valori contemporanei, è un insulto all’intelligenza. Processare personaggi storici sulla base dell’etica di oggi, e sulla base di diritti civili affermatisi secoli dopo, è illogico e farneticante.
L’alternativa è una pericolosa deriva autoritaria. Cosa facciamo? La caccia alle streghe del XXI secolo? Abbattiamo le piramidi dei Faraoni, il Colosseo dell’antica Roma, i templi dei Maya, perché costruiti dagli schiavi? Abbattiamo la statua di Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, estensore della celeberrima Costituzione americana, perché possedeva degli schiavi?
Distruggiamo i busti che raffigurano Aristotele, uno dei padri della civiltà moderna, perché noto assertore della naturalità della schiavitù? L’unico modo per fare davvero i conti con il passato è contestualizzarlo e storicizzarlo.
In altre epoche, la schiavitù era una prassi consolidata, un ‘modus operandi’ accettato e condiviso. Punto. Altrimenti diventiamo come i talebani, che hanno raso al suolo le statue dei Buddha di Bamyan, considerate idolatre; oppure come l’ISIS, che ha distrutto le statue antiche di Palmira perché simboli degli infedeli.
Oggi, sull’onda di una indiscriminata furia giustizialista, si punta il dito contro personaggi che, con tutte le debolezze e i limiti - figli dello spirito del tempo in cui hanno vissuto - hanno segnato la storia, e quindi alimentato quei cambiamenti e quei progressi alla base dell’epoca moderna. Rappresentano la memoria stessa della nostra civiltà. Sono personaggi degni del nostro ricordo.
Ed è per questo motivo che occupano anche gli spazi pubblici (con monumenti, strade e piazze a loro dedicate) e non sono confinati nei musei. Perché nessuno può fuggire dal proprio passato: siamo il risultato di un processo antico, lungo e complesso, che va interpretato, criticato, contestualizzato, mai azzerato o, peggio, riscritto. Il passato ci appartiene, non possiamo rinnegarlo. Ha forgiato il nostro presente e prepara il nostro futuro, in quanto premessa fondamentale e imprescindibile. Perchè la storia conta. Anzi, meglio (così capiscono pure i globalisti multilingue): #HistoryMatters”. (aise)