L’ARCHINAUTA CHE SOGNA LA LUNA - di Alessandro Bettero

PADOVA\ aise\ - “Lo spazio non basta conquistarlo. Dopo un viaggio di milioni di chilometri bisogna pensare a come metter su casa. Se il futuro dell’umanità è proiettato tra le stelle, occorre prepararsi al trasloco. A occuparsene sono gli architetti spaziali. Uno dei più attivi è l’italiana Valentina Sumini, genovese di nascita, piemontese d’adozione. Figlia d’arte – papà è professore universitario di ingegneria nucleare e mamma architetta – Valentina si è laureata in Architettura e specializzata in Progettazione computazionale”. Ad intervistarla è stato Alessandro Bettero per il “Messaggero di Sant’Antonio – edizione per l’estero”.
“Al MIT, il Massachusetts Institute of Technology di Boston, si è occupata di progettazione e design di infrastrutture spaziali: ambienti e strumenti con relative interazioni “in un contesto completamente diverso da quello terrestre cui siamo abituati – puntualizza –, caratterizzato da gravità e atmosfera, immerso in un ambiente spontaneamente finalizzato alla vita”.
Nello spazio, in orbita o su altri corpi celesti come la Luna e Marte, il contesto è ostile, e quindi è necessario ricreare tutte quelle condizioni che sulla Terra diamo per scontate. Oggi Valentina collabora con molti gruppi di ricerca del MIT, e in particolare presso il MIT Media Lab. “L’aspetto più emozionante di questo lavoro – rivela – è sicuramente lo sviluppo di progetti nati in partnership tra la NASA, l’ente spaziale americano, e il suo omologo europeo, l’ESA, e con gli astronauti stessi, tra cui Jeffrey Hoffman, l’italiano Paolo Nespoli, Catherine Coleman e Leland Melvin”.
Al momento la ricerca di Valentina si articola su diversi progetti tra cui un hotel orbitante intorno alla Terra, un villaggio sulla Luna, una colonia su Marte, una serie di sistemi di soft-robotics e smart fabrics (tessuti “intelligenti”) per future tute spaziali, e arredi interni. Anche se il suo sogno nel cassetto è quello di diventare essa stessa un’astronauta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale oppure sulla Luna per testare i suoi progetti, come quello di un Moon Village con l’ESA.
“Gli elementi su cui stiamo indagando come scienziati – spiega Valentina – sono legati essenzialmente a due attività fondamentali nella vita: muoversi e nutrirsi. Riguardo al movimento, abbiamo sviluppato un soft-robot in grado di agevolare i movimenti in condizioni di microgravità. Per quanto riguarda il nutrimento, vorremmo poter restituire l’esperienza degli alimenti terrestri nonostante le limitazioni date da un ambiente a gravità ridotta che richiede attenzione sia al packaging che ai metodi di conservazione, cottura e preparazione dei piatti. Anche se stiamo riflettendo sull’opportunità di progettare nuovi tipi di alimenti ad hoc per la microgravità, dai sapori nuovi e diversi da quelli terrestri”.
Ma quali sono le criticità e le insidie che gli edifici umani devono affrontare in ambienti non terrestri?
“La sfida principale – sottolinea Valentina – è quella di ricreare una condizione di sicurezza, protezione e felicità in un ambiente alieno, lontano ed estremo. È una realtà complessa sia dal punto di vista psicologico, data la lontananza dalla Terra e per il possibile senso di alienazione dovuto al fatto di vivere in un luogo confinato, isolato e non in contatto con l’esterno, sia dal punto di vista fisiologico, considerata la presenza di elementi estremamente pericolosi per la vita umana. Inoltre, data la grande lontananza dal nostro pianeta, diventa impossibile ricevere rifornimenti dalla Terra. Nel caso dell’esplorazione e della colonizzazione di Marte, tutto quello che servirà per il sostentamento della vita umana dovrà essere estratto e prodotto sul pianeta stesso. Mi riferisco all’acqua, alla regolite marziana (lo strato di terreno e frammenti rocciosi che ricopre il pianeta rosso), all’ossigeno, alla crescita di una vegetazione idonea a generare un sistema nutrizionale per i futuri abitanti. L’habitat stesso dovrà essere realizzato prima ancora dell’arrivo degli esseri umani, con sistemi interamente automatizzati”.
Tutte le sonde inviate su Marte, in particolare InSight della NASA, ci fanno sperare che in un futuro non troppo lontano sarà possibile attivare anche processi di estrazione delle risorse in loco e di costruzione vera e propria. “Probabilmente è possibile immaginare una presenza umana sul pianeta rosso tra cent’anni – ipotizza Valentina –, tuttavia non senza problemi. I limiti dati dalle condizioni ambientali come un’atmosfera rarefatta, il rischio dell’impatto di micro-meteoriti e dell’assorbimento di radiazioni cosmiche, oltre alle variazioni termiche estreme, non renderanno possibile la vita umana su Marte senza un’adeguata infrastruttura di supporto e di protezione, sia a livello individuale con le tute, che di insediamenti abitativi”.
UN CAVALLUCCIO MARINO IN VOLO

Valentina ha testato personalmente il soft-robot “Space Human” durante un volo parabolico, nel 2019, in microgravità. Il soft-robot è un esoscheletro ispirato a un cavalluccio marino in grado di adattare l’orientamento del corpo di chi lo indossa. Inoltre riproduce anche la capacità prensile dei cavallucci marini. L’“archinauta” genovese ha anche il pollice verde. Ha infatti partecipato allo studio di un sistema di serra idroponica su Marte grazie alla NASA BIG Idea Challenge, per produrre i nutrienti necessari alla missione di quattro astronauti per circa due anni. Tuttavia la corsa alla colonizzazione dello spazio è irta di ostacoli.
“Una mancanza di coordinamento globale in termini di governance e progettazione strategica del territorio lunare e marziano da parte delle agenzie spaziali internazionali, delle aziende del settore aerospaziale e dei governi – ammonisce Valentina –, potrebbe compromettere in modo irreversibile la possibilità di sviluppare colonie sulla Luna e su Marte perché i siti in cui si possono estrarre risorse utili per il sostentamento della vita umana in loco sono limitati e localizzati solo in alcune aree”.
Valentina non ha dimenticato l’Italia. Il prossimo anno presso il Politecnico di Milano terrà il primo corso nel nostro Paese, e uno dei pochissimi al mondo, di Architecture for Human Space Exploration. “E poi bisogna lavorare moltissimo in Italia sull’integrazione fra il mondo della produzione e quello della ricerca: il Media Lab e il MIT sono quello che sono anche perché tutte le più grandi aziende, incluse quelle italiane, si pregiano di finanziarne creatività e innovazione, con ricadute positive”.
Un esempio da imitare per rilanciare il “sistema Italia””. (aise)