Associazioni in prima linea (2)

ROMA – focus/ aise – “Ha destato perplessità e sconcerto nel mondo degli esuli istriani, fiumani e dalmati, fin dall’annuncio del titolo, la nuova pubblicazione di Eric Gobetti “E allora le foibe?”. La lettura del volumetto ha confermato le aspettative: benché sia pubblicato da un editore prestigioso come Laterza, si tratta di un’opera giustificazionista, rappresentata però come uno sforzo di “comprensione” delle logiche omicide attuate dai partigiani di Tito”. Dopo Donatella Schürzel, vicepresidente nazionale Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, anche Renzo Codarin, Presidente del Centro di Documentazione Multimediale della cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata, esprime le sue perplessità sul volume di Eric Gobetti.
“Ancora una volta – accusa Codarin – la narrazione si può dire che inizi il 13 luglio 1920 con l’incendio del Balkan a Trieste: manca qualunque accenno a “comprendere” le tensioni tra italiani e slavi fomentate dall’Impero austro-ungarico nei suoi ultimi anni di esistenza e neppure all’uccisione dei marinai italiani a Spalato come episodio che avrebbe portato l’indomani ai tumulti triestini. Nessun riferimento all’esodo degli italiani di Dalmazia dopo la firma del Trattato di Rapallo, mentre ci si sofferma sull’emigrazione di slavi dalle province annesse al Regno d’Italia, descritta con cifre roboanti senza scendere nel meticoloso conteggio cui invece verrà sottoposto l’esodo giuliano-dalmata”.
E ancora: “le foibe istriane del 1943 vengono presentate come una reazione alle violenze fasciste ed alle repressioni compiute dal Regio Esercito durante l’occupazione della Jugoslavia, con soltanto velati accenni ai progetti espansionistici di lunga data del nazionalismo slavo. L’uso stesso della foiba come strumento di eliminazione – stigmatizza Codarin – viene ridimensionato e rappresentato come un semplice luogo di sepoltura, a dispetto delle testimonianze e ricostruzioni che sono di pubblico dominio (d’altro canto l’esigua bibliografia ignora tra l’altro tutta la produzione scientifica delle associazioni degli esuli). La denigrazione del Monumento nazionale della Foiba di Basovizza, usuale nella retorica di giustificazionisti e riduzionisti, si accompagna all’assenza di riferimenti all’attualità, dall’omaggio che quel sito ha ricevuto dai Presidenti della Repubblica di Italia e Slovenia, alle recenti scoperte di fosse comuni in Slovenia e Croazia in cui giacciono a migliaia le vittime della repressione titina”.
Nel volume, dunque, “l’esodo giuliano-dalmata diventa uno dei tanti spostamenti coatti di popolazioni avvenuti al termine della Seconda Guerra Mondiale (incidentalmente sempre partendo da territori finiti sotto dittatura comunista), senza coglierne le caratteristiche specifiche: le foibe furono un’epurazione politica, le cui cifre vengono minimizzate, preliminare all’annessione alla Jugoslavia, l’esodo rappresentò la pulizia etnica della comunità italiana storicamente radicata nell’Adriatico orientale. Enfatizzando le opzioni previste dal Trattato di Pace, l’autore glissa su quanti dovettero fuggire clandestinamente prima e dopo il 10 febbraio 1947, omette che si era ricostituito un CLN dell’Istria poi annientato dagli apparati jugoslavi e tratta con una leggerezza imbarazzante le condizioni dei Centri Raccolta Profughi”.
“Dopo una ricostruzione storica così parziale e frettolosa (doveva forse il pamphlet uscire in tempo per fare polemica a ridosso del 10 febbraio?) – annota ancora Codarin – l’autore rappresenta la Legge 92/2004, istitutiva del Giorno del Ricordo ed approvata ad amplissima maggioranza dal Parlamento, non come un tardivo riconoscimento di una pagina di storia nazionale, bensì come un colpo di mano di una presunta “destra neofascista”. Da tali presupposti origina la rancorosa critica nei confronti del film “Rosso Istria”, giudicato "un prodotto della propaganda nazista" forse perché ha saputo rappresentare il clima di incertezza, terrore ed ansia che dopo l’8 settembre 1943 si respirava nell’entroterra istriano a causa del collasso dello Stato italiano, delle deportazioni compiute dai partigiani jugoslavi e dei rastrellamenti effettuati dai tedeschi (tutti elementi che appaiono nella pellicola)”.
“Di fronte a tante e altre inesattezze molti ricorrono alla citazione “non ti curar di lor, ma guarda e passa” di quel Dante che poneva i confini d’Italia al Carnaro già in epoca medioevale, anche se Gobetti, cui piace farsi fotografare a fianco delle statue del dittatore Tito, non lo ricorda”. conclude. “Visto che il titolo del libello vorrebbe essere ironico, ma si rivela offensivo, preferiamo concludere con "una risata vi seppellirà”, perché qui c'è da ridere per non piangere”.
“L'operaismo oltre l'operaismo” è il tema dell’incontro online in programma domani, sabato 30 gennaio, alle ore 16 in diretta sulla pagina Facebook del GIR – Giovani Italiani in Rete. Moderati da Marianna Sica, interverranno Gigi Roggero, ricercatore, Claudio Micheloni, già senatore della Repubblica e presidente della Federazione delle Colonie Libere Italiane, e Toni Ricciardi, storico delle migrazioni.
Partendo dalla presentazione del volume “L'operaismo politico italiano” di Gigi Roggero (DeriveApprodi, 2020) verrà ripercorsa la storia di quella straordinaria prassi degli anni Sessanta e Settanta conosciuta a livello internazionale come “operaismo politico”.
Il volume di Roggero scava, infatti, nella sua genealogia, mette in rapporto la produzione dei concetti con lo sviluppo delle lotte, ne analizza ricchezze e limiti, ne evidenzia attualità e metodo.
La presentazione, sottolineano gli organizzatori, “sarà l’occasione di scandagliare l’attualità di quel metodo, riflettere su soggettività e rivendicazioni ponendo gli strumenti forniti dall’operaismo a confronto con il contesto e le lotte del presente. Ci interrogheremo, insieme anche a Claudio Micheloni e Toni Ricciardi, su cosa accadde in quella stessa stagione in terra elvetica ad opera della comunità italiana migrata che iniziò ad organizzarsi politicamente e socialmente dando vita ad esperienze, organizzazioni e lotte rivendicative di cui oggi le nuove generazioni di italiani in Svizzera beneficiano e in alcuni casi portano avanti”.
“La nostra attenzione – anticipa il Gir – si concentrerà sulla storia e l’esperienza della Federazione delle Colonie Libere Italiane, come organizzazione più longeva, strutturata e connotata della comunità italiana in Svizzera, un’eccezione senza precedenti nella storia dell’associazionismo italiano in emigrazione.
Per Silvana Bruschi, presidente dell'Associazione Emilia-Romagna Santa Fe (Argentina), è stato un sogno che si è realizzato quello di visitare Piacenza, dove dopo 30 anni ha ritrovato i suoi parenti italiani. Ne ha parlato, in questi giorni, con la Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel mondo. Di seguito la sua lettera completa sulla sua esperienza.
“Non so se molte persone possono dire di avere realizzato il sogno della propria vita.
Mi considero una persona privilegiata nel poter dire che io ci sono riuscita. Fin da quando ero piccola ho potuto vivere la cultura italiana grazie ai miei nonni, nati a Piacenza, che mi hanno trasmesso tutto quello che hanno potuto sull’Italia, dalla lingua ai costumi. Con un italiano “argentinizzato” mi dicevano “veni qui Silvana a mangiare con tus abuelos” o il tipico “Com’è andata a scuola, te fue bien?” alla fine dell’anno e prima di darmi un regalino…
A Santa Fe, Argentina, ho l’onore di essere la presidente dell’Associazione Emilia-Romagna, istituzione a cui fin da piccola mi ha avvicinato mio padre, Silvio Bruschi. Lì parliamo sempre a proposito della nostra Regione e le sue bellezze che hanno attraversato le frontiere del mondo…la Ferrari di Modena, le belle spiagge di Rimini, l’enorme patrimonio culturale della regione, la città universitaria di Bologna, il grande castello di Ferrara. Non posso ovviare le squisitezze gastronomiche di cui mi parlava mi nonno e impastava mia nonna… Ho potuto sperimentare in terra italiana il prosciutto crudo di Parma, il salame di Piacenza e la mortadella di Bologna, il delizioso formaggio di Reggio Emilia e, siccome non poteva mancare, il sapore dell’incomparabile pasta italiana che ha fatto si che ogni domenica ci incontrassimo in famiglia attorno alla tavola a condividere un pranzo familiare, tra risate e aneddoti di questa terra di cui tanto sentono nostalgia mio padre e i miei nonni. Aver trascorso quest’esperienza ha fatto in modo che tutto ciò che era per me ‘’racconto dei nonni’’, si materializzasse davanti ai miei occhi. ora posso davvero capire in maniera completa quello che hanno sentito, lasciando il loro paese, le loro abitudini, il loro sangue.
È importante per me parlare dell’emozione che ho sentito per avere realizzato anche un sogno di mio padre…prima di venire qui mi ha dato moltissime foto vecchie dicendomi “sono i tuoi zii e cugini, vedi se puoi incontrarli”. Ho pensato che fosse matto, con più di 30 anni senza avere contatti, ma dopo un’intensa ricerca, sono riuscita ad incontrarli a Piacenza. È stato un momento che mai avrei immaginato; trovare le mie radici, vedermi riflessa nei visi dei cugini e cugine di mio padre e scoprire che la somiglianza, il sangue e l’affetto non si perdono con la distanza, è stata una delle esperienze più forti della mia vita. Chiamare l’Argentina per telefono in quel momento e far parlare mio padre con la sua famiglia e vedere come tutti si commuovevano dall’emozione, è stato ancora più forte. A 15 mila chilometri, il legame e la memoria continuavano intatti.
Dopo aver conosciuto la mia famiglia italiana e mentre passavo del tempo in Emilia-Romagna, stavo comprendendo alcune cose che prima non capivo o che consideravo “sciocchezze di mio padre”. Vivo a Santa Fe, per esempio, e parlo quasi urlando; ma ho notato che gli italiani parlano in modo stridente e discutono con passione anche dei temi più semplici. Anche a Santa Fe mio padre esce tutti i giorni in cortile e lascia in un recipiente pane o cibo per gli uccelli e io ho sempre pensato che fosse matto; tuttavia a Piacenza ho potuto notare che i suoi cugini facevano lo stesso! E in quel momento ho pensato “mio padre non è l’unico matto, lo sono tutti!”, anche se questo è solo un modo simpatico per far capire come un’abitudine può attraversare le frontiere del tempo e dello spazio. Non ho mai capito perché mio padre volesse cenare alle 20, quando in Argentina l’orario di cena è le 21.30, fino a che non ho visto qua che si cena a quest’ora.
Rispetto al lavoro, torno in Argentina con la consapevolezza di avere conosciuto la cultura lavorativa emiliano romagnola, in una situazione molto speciale, “dall’interno”. Nonostante il duro clima di crisi economica, la gente mantiene il suo calore, la sua fraterna forma di comunicare, di cooperare tra colleghi di lavoro e con il capo. Mi hanno ricevuta come una del gruppo e mi sono sentita molto conforme e adatta ai compiti da svolgere. Questo viaggio è andato oltre l’aspetto affettivo; è stato anche produttivo, perché ho potuto conoscere molte cose relazionate alla mia professione e le differenze che ha rispetto ad un’altra cultura. Prendere parte alla vita quotidiana di Bologna e non essere un’altra “turista” è stato tra gli aspetti più importanti.
Mi sono sentita realmente come a casa, e a partire da ora, non solo ho realizzato un sogno; posso anche continuare a diffondere a cultura Emiliano Romagnola, non perché me l’hanno raccontata ma perché l’ho vissuta in prima persona, in un’esperienza che non scorderò mai. Grazie per essere stati parte di questo sogno." (focus\ aise)