Raffaele Aprile: dalla Libia all’Italia, nel segno dell’arte – di Stefania Del Monte

ROMA\ aise\ - ““Lo spettacolo di luce che si presenta nelle opere di Raffaele Aprile è tra i più fantastici ed esplosivi che un pittore possa creare”. Così il critico d’arte Giulia De’ Focatiis descrive il lavoro di questo artista dal tratto distintivo. La vita di Raffaele Aprile inizia nel 1959 a Tripoli, in Libia. Il suo mondo è quello dei coloni italiani che qualche decennio prima erano partiti alla conquista della Quarta Sponda e che ora convivono pacificamente con berberi e arabi, in una miscela di luci e colori che anni dopo riemergerà, inevitabilmente, nella sua arte”. Ad intervistarlo è stata Stefania Del Monte per “Ciao magazine”, rivista online da lei fondata e diretta.
““Ricordo il piazzale davanti la chiesa dove frequentavo il catechismo. – racconta Raffaele – Eravamo tutti insieme a giocare, arabi e italiani, e non c’erano differenze. Mio padre era un meccanico di auto e mezzi pesanti molto conosciuto a Tripoli e io l’ho sempre seguito nel suo lavoro, sin da piccolo. Lo aiutavo a smontare e montare motori combinando, ogni tanto, anche qualche pasticcio (sorride, nda). Creavo giocattoli di legno, o con cuscinetti di ferro. Una creatività molto incoraggiata dai miei genitori. – sottolinea – In casa si respirava arte ovunque. Mia sorella maggiore era una cantante di talento, un’altra era una sarta raffinata e l’ultima era musicista: il suo strumento era la fisarmonica. Per un periodo la musica coinvolse anche me, tanto è vero che all’età di 5 anni partecipai allo Zecchino d’Oro, ma le mie vere passioni sono sempre state il disegno e la pittura”.
Il magico universo di Raffaele, fatto delle mille sfumature dall’oro al bronzo e al rosso del deserto, del verde dei palmeti e dell’azzurro intenso del Mediterraneo, alternati al bianco brillante delle case, è però un sogno destinato a infrangersi bruscamente: con l’avvento della dittatura, nel 1970 il ragazzo – così come altri ventimila italiani – sarà costretto ad abbandonare la Libia, lasciandosi alle spalle ogni cosa.
“Nel giro di quattro settimane – ricorda – perdemmo tutto ciò che mio padre aveva costruito in quarant’anni: una bella casa e tante amicizie. Io dovetti, ovviamente, dire addio ai miei amici di infanzia e ai compagni di scuola. Insomma, la mia vita subì un totale stravolgimento”.
Rientrata in Italia, l’intera famiglia si stabilisce ad Aprilia, nella provincia di Latina, ricominciando tutto daccapo.
“Non avevamo più niente; i miei genitori dovettero ripartire da zero e ricrearsi una vita. Per diversi anni, quindi, non mi fu possibile affinare la mia vena artistica a livello accademico”.
Solo dopo gli studi statali, nel 1990, Raffaele riesce finalmente a iscriversi al corso di pittura del Maestro Antonio De Waure, presso la Scuola d’Arte Mediterranea, dedicandosi allo studio di diverse tecniche quali matita, pastello, acquerello, olio, ceramica, tecnica mista, e all’anatomia del corpo umano.
Perfeziona la sua abilità nel disegno con artisti quali Dino Massarenti, Claudio Cottiga, Marco Massarelli e dopo cinque anni di apprendimento diventa egli stesso, per due anni, insegnante di chiaroscuro: “A quel punto capii, però, che avevo bisogno di uscire dalla scuola e iniziare a dipingere per me stesso. Sentivo il bisogno di creare un qualcosa di mio”.
Da qui parte il percorso artistico e professionale di Raffaele Aprile, con mostre personali e collettive ma anche con la partecipazione a diverse rassegne nazionali.
Il suo stile pittorico risente, indubbiamente, di quei primi anni di formazione in Africa: “Quadrati e cerchi, come i famosi arabeschi, mi hanno sempre affascinato. Quelle vetrate in chiese e moschee, ricche di colori con forme geometriche, mi aprivano la mente e ogni volta che le osservavo vedevo un nuovo spazio; uno spazio astratto”.
È proprio all’astrattismo che, dopo una lunga parabola artistica, Raffaele approda con entusiasmo. Il suo lavoro è spesso accostato a quello di Wassili Kandinskij: linee che si rincorrono sulla tela, segni che sembrano voler rappresentare mondi immaginari, macchie colorate che danno movimento all’immagine, si ritrovano nelle produzioni di entrambi gli artisti.
Tuttavia, nelle opere di Raffaele Aprile si possono scorgere anche elementi riconducibili ad artisti come il futurista Giacomo Balla: non solo nell’uso del colore o di certe figure geometriche, ma anche nella concezione di una pittura che sembra tendere verso spazi infiniti. Tale influenza, viene confermata dallo stesso Aprile:
“Sono cresciuto artisticamente ammirando i più grandi artisti italiani, soprattutto quelli dell’astrattismo dal 1900 in poi, e nei miei quadri prevalgono colori, macchie e sfumature che ricordano Tripoli e la Libia. In quei luoghi tutto è colorato, come a dire che la vita è dura ma bisogna colorarla di felicità. In realtà, però, le mie produzioni si sono evolute verso un astrattismo ‘astrale’, legato a corpi celesti senza forma geometrica e senza meta. Più che forme, le definirei anime che vivono nello spazio astrale”.
Nelle sue opere, in effetti, non vi sono elementi che possano ricondurre alla percezione della realtà: piuttosto, il fruitore ha l’impressione di essere parte integrante di un sogno dai contorni sfumati.
“Parto da queste forme astrali, dove immagino il mio spazio nell’universo, per poi arrivare a ciò che è la realtà della vita, il figurativo, rendendo l’opera unica nel suo insieme. Il colore è, per me, una parte essenziale del bilanciamento tra emozioni e sensazioni: unisco lucentezza, intensità e passione. Mi piace creare uno spazio e un’atmosfera che aprano l’immaginazione e facciano viaggiare lo spettatore con la mente, riconducendolo a un momento della sua esistenza in cui per lui tutto era colorato, positivo”.
L’arte di Raffaele Aprile parla un linguaggio universale: “La mia arte è l’arte di tutti. I colori, le sfumature delle mie opere, sono caratteristiche che rispecchiano il mondo. Siamo tutti uguali, anche se abbiamo caratteri diversi. L’artista, attraverso le proprie tele, può esprimersi come preferisce, ma poi ogni osservatore interpreta l’opera a modo suo. Lo spettatore si innamora di una certa tela perché colpito da un elemento particolare, che può essere diverso per ognuno di noi. Non esistono regole o distinzioni: la terra è uguale per tutti e noi esseri umani, di base, siamo gli stessi ma poi ognuno compie scelte diverse, che segnano il suo cammino”.
Un cammino lungo e pieno di ostacoli, quello di Raffaele Aprile che, partendo da una remota Tripoli coloniale – un mondo che oramai non esiste più – è arrivato ad essere l’uomo e l’artista realizzato di oggi. Un uomo che ama dedicarsi alla sua famiglia e alle sue passioni, con l’arte a scandire ogni istante della sua giornata:
“Sono uno sportivo, pratico ciclismo e corsa ma mi affascina molto anche la cultura. Siamo circondati da talmente tanta bellezza che a volte ce ne dimentichiamo, perché la vita corre troppo in fretta. Mi piace leggere, informarmi di tanti settori, ma il mio preferito rimane l’arte. Ogni volta che possiamo, insieme a mio figlio Matteo, andiamo a visitare mostre e musei e puntualmente, di ritorno a casa, la mia creatività esplode. Spesso mi ritrovo a disegnare e dipingere fino a notte fonda, immergendomi nel buio e nel silenzio, in una dimensione soltanto mia, in cui non esistono confini””. (aise)