Il Baseball come metafora dei successi italoamericani: Mucci (We the Italians) intervista Lawrence Baldassaro

ROMA\ aise\ - “Ho sempre pensato, forse spinto dal mio amore per la comunità italoamericana e la storia dei suoi successi, che il più grande atleta americano di tutti i tempi sia stato Joe DiMaggio, che a quella comunità apparteneva. Non c’è ovviamente una classifica ufficiale, ognuno ne ha una tutta sua, la mia vede lì in cima un grandissimo italoamericano. Qualcuno che ne sa molto, ma molto più di me è il Prof. Lawrence Baldassaro, che sul baseball e gli italoamericani ha scritto volumi imbattibili per stile, dettagli e contenuti”. Così inizia l’intervista che Umberto Mucci, fondatore e direttore del portale bilingue “We the Italians”, ha realizzato al professor Baldassaro.
D. Ci parla delle sue origini italiane e della sua passione per il baseball?
R. Sono appassionato di baseball da sempre, ma un tempo non avrei mai immaginato di scrivere un libro sui giocatori di baseball italoamericani, o addirittura su qualcosa di italiano.
Ho avuto la fortuna di crescere in una casa con un padre italoamericano di seconda generazione e una madre e una nonna di origine italiana. Ma da bambino non apprezzavo appieno le mie origini italiane. Per quelli di noi che sono cresciuti negli anni Cinquanta, c'erano pochi incentivi a essere etnici. Volevamo tutti assimilarci, anche se non sapevamo cosa significasse. Ecco perché quando mia nonna mi parlava nel suo dialetto abruzzese, che io capivo, rispondevo in inglese.
Ma poi sono andato in Italia nell'estate tra il terzo e l'ultimo anno di università e questo ha cambiato tutto. Innanzitutto, ho scoperto le mie radici culturali quando ho visto la magnifica arte e architettura di Firenze e Roma. Poi ho scoperto le mie radici personali quando ho visitato la famiglia di mia madre in Abruzzo, la maggior parte della quale viveva ancora nella fattoria dove mia madre era nata 55 anni prima. Tutto ciò che sapevano di me era che ero il figlio di mia madre, ma mi hanno accolto non come un estraneo, ma come un figlio perduto da tempo che tornava a casa.
È stato allora che ho finalmente capito e abbracciato le mie radici. Ed è stato allora che ho deciso di dedicare la mia vita professionale allo studio e all'insegnamento della lingua e della letteratura italiana.
D. Il primo libro di cui vorrei chiederle è del 2011: "Beyond DiMaggio: Italian Americans in Baseball". Tralasciando per un momento il protagonista del suo ultimo libro e di una domanda successiva, quali sono i nomi italoamericani più importanti che rappresentano questa eredità?
R. Beyond DiMaggio è la prima storia approfondita degli italoamericani nel baseball. Ho scritto questo libro per preservare l'eredità di coloro che non solo hanno dato un grande contributo al baseball, ma il cui successo e la cui dignità hanno contrastato gli stereotipi negativi e migliorato la percezione pubblica degli italoamericani.
Gli atleti di origine italiana si sono distinti in quasi tutti gli sport americani. Ma in nessuno sport il loro successo è stato più duraturo e socialmente più significativo come nel baseball. Durante le ricerche per Beyond DiMaggio ho scoperto che, per molti versi, la storia del coinvolgimento degli italoamericani nel baseball rispecchia l'esperienza degli americani di origine italiana. I primi giocatori hanno incontrato pregiudizi, espressi principalmente attraverso insulti etnici e ritratti stereotipati da parte dei media. In seguito è arrivata una maggiore accettazione, soprattutto negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. Nei decenni successivi i giocatori di origine italiana sono diminuiti, ma c'è stata una mobilità verso l'alto dal lavoro ai dirigenti.
D. Gli italoamericani del baseball si sono fatti notare anche fuori dal campo…
R. Sì. Se è vero che negli ultimi decenni del XX secolo un numero minore di giocatori di origine italiana entrava in serie A, allo stesso tempo si assisteva a una mobilità ascendente nel baseball, con l'ingresso in posizioni dirigenziali, come manager sul campo, dirigenti del front office e proprietari. Dal 1981, ad esempio, dieci manager, tre dei quali (Tommy Lasorda, Tony La Russa e Joe Torre) sono nella Hall of Fame, hanno portato le loro squadre a un totale di 24 World Series, vincendone 15. Torre è stato anche nove volte All-Star come giocatore e ha ricoperto il ruolo di direttore operativo della Major League Baseball dal 2011 al 2020. Inoltre, nel 1989, un italoamericano è stato nominato alla massima carica del gioco, quella di Commissario del Baseball”.
L’intervista completa è disponibile a questo link. (aise)