Cnr e INGV analizzano il “motore” del bradisismo flegreo

Veduta panoramica del cratere della Solfatara (Credits: Claudia Principe, Cnr-Igg).
ROMA\ aise\ - Uno studio frutto della pluriennale collaborazione fra l’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Igg), l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (sedi di Napoli e Pisa), e la società Steam srl, specializzata nello sviluppo delle tecnologie energetiche geotermiche, ha aggiunto nuovi elementi alla comprensione del bradisismo in atto nella zona dei Campi Flegrei. La ricerca, pubblicata sulla rivista Solid Earth, ha preso in esame, in particolare, i fluidi fumarolici della Solfatara assieme a diverse tipologie di informazioni geo-scientifiche, portando all’elaborazione del modello concettuale del sistema magmatico-idrotermale della Solfatara, e dimostrando che nell’acquifero intermedio, situato a 2,7 – 4,0 km di profondità, si genera la crisi bradisismica, dovuta ai fenomeni di riscaldamento e pressurizzazione graduale dell’acquifero stesso.
“Ci siamo concentrati sullo studio dei fluidi fumarolici in quanto proprio questi gas sono i ‘messaggeri’ che portano in superficie le informazioni relative alle proprie sorgenti presenti in profondità e alle reazioni chimiche che li producono o consumano”, spiega Matteo Lelli, ricercatore del Cnr-Igg tra gli autori dello studio, e associato a INGV. “Questo è stato possibile avvalendoci di particolari geotermometri e geobarometri messi a punto nell’ambito di precedenti indagini, e calibrati per calcolare la temperatura e la pressione dei tre acquiferi presenti a diverse profondità nel sottosuolo flegreo, nel corso degli ultimi 40 anni, in base alle caratteristiche chimiche dei fluidi fumarolici della Solfatara. Per ricostruire il modello concettuale del sistema magmatico-idrotermale della Solfatara abbiamo incrociato le informazioni geo-scientifiche acquisite sia dalle indagini di superficie, sia dai pozzi geotermici che vennero perforati dalla Joint-Venture Agip-Enel già negli anni ‘70-‘80 raggiungendo profondità massime di circa 3 km”.
È stato, così, dimostrato che il riscaldamento e la pressurizzazione graduale dell’acquifero intermedio, posizionato a circa 2.7 – 4.0 km di profondità, sono il motore diretto della crisi bradisismica positiva in atto: tali fattori sono, a loro volta, controllati dal degassamento magmatico, come già dimostrato analizzando le variazioni degli isotopi dello zolfo dell’idrogeno solforato contenuto nei fluidi fumarolici della Solfatara.
“Per quanto concerne le implicazioni di pericolosità, va sottolineato che fino a quando l’acquifero intermedio sarà pressurizzato, potrebbero verificarsi esplosioni idrotermali o freatiche, cioè dovute alla vaporizzazione dell’acqua e all’espansione praticamente istantanea del vapore prodotto che causerebbero lo sgretolamento delle rocce della copertura dell’acquifero intermedio: è importante sottolineare che questo tipo di fenomenologia non implica il coinvolgimento diretto di una massa magmatica”, aggiunge Claudia Principe, ex-dirigente di ricerca del Cnr-Igg e associato a INGV, “Qualora un evento di questo tipo si verificasse, esso determinerebbe la formazione di colate di fango bollente e detriti che si riverserebbero rapidamente al di fuori dell’area sorgente, percorrerebbero i bassi morfologici e si dirigerebbero verso la linea di costa, come già successo in passato alla Solfatara. La condizione che renderebbe possibile questa tipologia di eventi è il superamento della soglia di resistenza delle rocce che coprono l’acquifero intermedio, che a sua volta è favorito dal progressivo indebolimento di queste rocce a causa dei sempre più frequenti eventi sismici concentrati in quest’area”.
Lo studio fornisce anche elementi per monitorare l’evoluzione del fenomeno, comprendere gli scenari futuri e i rischi ad esso associati. “Se la previsione delle esplosioni idrotermali rimane un’operazione complessa - dato che in molti casi tali eventi non sono preceduti da precursori, oppure i precursori sono pochi e troppo vicini all'evento- è comunque possibile mitigare il rischio di esplosione idrotermale tenendo sotto controllo la temperatura e la pressione dell’acquifero intermedio usando i nostri geotermometri e geobarometri a gas”, prosegue Luigi Marini.
“Inoltre, se si potessero analizzare i fluidi di pozzi geotermici che raggiungono l’acquifero intermedio questo monitoraggio sarebbe ancora più semplice: inoltre, questi pozzi geotermici avrebbero come obbiettivo principale la riduzione della pressione dell’acquifero intermedio e quindi il controllo del bradisismo e la mitigazione del pericolo rappresentato dalle esplosioni idrotermali. Certamente questo approccio richiederebbe un notevole investimento, ma avrebbe un ampio ritorno economico grazie alla produzione di energia geotermoelettrica e al recupero di materie prime di estremo interesse, come il litio, contenute nei fluidi geotermici. Le potenzialità geotermiche dei Campi Flegrei furono dimostrate da Agip-Enel negli anni 70 e 80. Gli ostacoli che esistevano allora per lo sfruttamento dei fluidi geotermici oggi non sussistono più grazie ai miglioramenti dei materiali e delle tecnologie di perforazione”. (aise)