GLI ITALIANI? NON ESISTONO, SIAMO SOLO UN AGGREGAZIONE GEOGRAFICA

ROMA / focus/aise / - Gli Italiani? Non esistono. Non come categoria antropologica . “Si tratta solo di un’aggregazione di tipo geografico” , precisa Luigi Ripamonti sul Corriere della Sera , aggiungendo che “abbiamo identità genetiche differenti, legate a storie e provenienze diverse e non solo a quelle”, come emerge da uno studio dell’antropologo Davide Pettener. Gli unici italiani che possono vantare un’identità genetica stabile, pertanto, sono i sardi, che Pettener ha inserito tra le “popolazioni isolate”, quelle, cioè, che “si differenziano da tutte le popolazioni italiane ed europee”. Secondo lo studioso, la Sardegna conserva le più antiche tracce poiché non ha subito invasioni e si è, quindi, differenziata da tutte le popolazioni europee al pari di Baschi e Lapponi. Allo stesso modo delle Arbëreshë, le popolazioni di lingua albanese stanziate in alcune zone del Sud Italia; o come i Ladini, sparsi nelle valli delle Dolomiti, i Cimbri dell’Altopiano di Asiago o i Grichi e i Grecanici del Salento e della Calabria, che rappresentano, oggi, per gli studiosi una sorte archivio genomico, che ci permette di vedere come eravamo, presumendo che ci siano stati, nel tempo, pochi innesti di Dna differente. Archivio che funziona come una vera e propria macchina del tempo, che sposta le indagini scientifiche in contesti genetici d’altri tempi.
D’altra parte, la singolarità delle caratteristiche genetiche dei sardi è emersa più volte e sotto diversi aspetti. L’aspettativa di vita per esempio. La rivista americana TIME , di recente, ha definito la Sardegna “l’Isola L’isola dei centenari”. E l’ha descritta come una terra di longevità, posta al centro della “Blue Zone”, quel mix tra aree demografiche e geografiche del mondo in cui la speranza di vita è notevolmente più alta rispetto al resto del mondo.
Tornando allo studio sulla diversità geo-genetica degli italiani, il professor Pettener ha potuto trarne alcune constatazioni di fondo. La prima di queste è che, in generale, mentre la variabilità genetica in Italia segue un cambiamento graduale secondo un asse Nord-Sud, dal punto di vista del cromosoma Y (linea paterna), emerge invece, a parte la Sardegna, un’Italia divisa secondo una linea più longitudinale, che separa una zona nord-occidentale da una sud-orientale. Ciò che non si osserva, però, con il Dna mitocondriale (linea materna), che ha, invece, una distribuzione più omogenea, spiegabile con la maggiore mobilità femminile legata a pratiche matrimoniali che prevedevano lo spostamento della donna.
Ne viene fuori che il quadro complessivo è frutto di spostamenti, lungo due traiettorie diverse, iniziati nel neolitico con l’avvento delle tecnologie agricole e dell’allevamento. “Nei periodi successivi- si legge nello studio - è successo di tutto: Germani, Greci, Longobardi, Normanni, Svevi, Arabi sono passati lasciando i loro geni”.
Tuttavia, la storia genomica degli Italiani, non è stata influenzata solo dalle migrazioni. Anche l’adattamento alle diverse pressioni selettive è stato determinante, influenzato la suscettibilità a malattie diverse. Tra queste il clima e la dieta. L’evoluzione delle popolazioni dell’Italia settentrionale, per esempio, è stata condizionata da un clima freddo, che ha reso necessaria una dieta molto calorica e grassa. La selezione naturale, spiega il ricercatore Marco Sazzini del BiGeA dell’Università di Bologna, ha favorito la diffusione di varianti genetiche in grado di modulare il metabolismo di trigliceridi e colesterolo e la sensibilità all’insulina, riducendo il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete. Così come il clima diverso e il contributo genetico di altre popolazioni mediterranee hanno fatto sì che gli abitanti dell’Italia centro-meridionale mantenessero più diffusamente varianti genetiche responsabili di una maggiore vulnerabilità a tali malattie.
Si tratta, comunque , solo di alcuni degli aspetti della storia genomica degli italiani, di cui hanno diffusamente parlato Donata Luiselli e Davide Pettener, nel corso della conferenza tenuta venerdi 4 maggio nell’ambito della quarta edizione del Festival della Scienza Medica di Bologna. (focus/aise)