IL COSMOPOLITISMO DI GIUSEPPE UNGARETTI

ROMA – focus/aise – Tra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento, certamente Ungaretti occupa un posto d’onore.
Particolarmente apprezzato dagli studenti per la sua (apparente) facilità di linguaggio, la sua poetica nasconde al contrario significati profondi che, come in un gioco di specchi, offrono al lettore molteplici possibilità d’interpretazione, che talvolta, proprio per questo motivo, rischiano di azzerarsi nella banalizzazione.
Esponente di spicco dell’Ermetismo, visse il suo periodo più buio al termine della Seconda guerra mondiale quando, essendo stato accademico d’Italia durante il Fascismo e tra i firmatari del Manifesto degli Intellettuali Fascisti del 1925, venne estromesso dall’insegnamento e relegato ai margini del panorama culturale, salvo poi essere riabilitato ufficialmente per innegabili meriti poetici.
La biografia di Ungaretti è particolarmente interessante perché, sin da giovanissimo, il poeta si trovò a viaggiare molto, entrando in contatto con alcuni tra i maggiori esponenti internazionali della cultura primo novecentesca.
Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888, mentre il padre, operaio, era impegnato nello scavo del Canale di Suez (lavoro che lo porterà alla morte dopo due anni dalla nascita del figlio), da giovane frequentò, grazie ai sacrifici della madre, la scuola svizzera dove cominciò a manifestare interesse per la poesia.
Sin da bambino ebbe una grande predisposizione per le lingue straniere e in particolar modo per il francese. E difatti, al momento di doversi iscrivere all’università, scelse di trasferirsi a Parigi nel 1912.
Durante quel viaggio vide per la prima volta l’Italia, dove in seguito sarebbe tornato.
Alla Sorbona e al College de France seguì le lezioni di Herni Bergson ed entrò in contatto con il vivace ambiente culturale della città, stringendo una solida amicizia con Apollinaire, Picasso, De Chirico, Modigliani, Palazzeschi e altri.
Cominciò a collaborare alla rivista Lacerba, di Papini, Soffici e Palazzeschi, e nel 1915 si arruolò volontario per combattere la Grande Guerra come fante sul sanguinoso fronte del Carso.
In questo scenario apocalittico, fatto di miseria e morte, Ungaretti iniziò a tenere un taccuino di poesie, che confluiranno successivamente nella sua prima opera poetica, “Allegria di Naufragi”.
Terminata la guerra, restò a Parigi come corrispondente de Il Popolo d’Italia, il quotidiano socialista diretto da Mussolini.
Sposatosi con Jeanne Dupoix, dalla quale ebbe tre figli, nel 1921 si trasferì’ in Italia, a Marino, iniziando a collaborare con il Ministero degli Esteri.
Dopo aver aderito al Fascismo, a partire dal 1931 cominciò a lavorare come inviato speciale per La Gazzetta del Popolo, viaggiando tra Egitto, Paesi Bassi e Corsica. Nel 1936 approdò in Argentina su invito del Pen Club e rimase in Sud America a insegnare letteratura italiana presso l’Università di San Paolo, in Brasile, dove nel 1939 morirà di appendicite suo figlio Antonietto e da dove tornerà nel 1942.
I suoi viaggi all’estero terminano dopo questa data, ma le esperienze maturate in tutti gli anni di continuo spostamento caratterizzeranno la ricchezza espressiva che ancora oggi rende Ungaretti uno tra i più grandi poeti italiani. (focus\ aise)