ITALIANI E ITALICI, SE CHI VIVE ALL’ESTERO SI SENTE CITTADINO DI SERIE B – di Riccardo Giumelli

NEW YORK\ aise\ - “Negli Stati Uniti c’è la Major League e la USL Championship. In Inghilterra c’è la Premier League e la Football Championship. In Italia abbiamo la serie A e la serie B. Prendiamo in prestito le denominazioni delle categorie superiori ed inferiori di calcio perché sembrano ben adattarsi a una percezione diffusa sugli italiani d’Italia e quelli fuori d’Italia. Cerchiamo di chiarire. Nei campionati anglosassoni se sei nella categoria inferiore sei comunque nella Championship, in Italia, invece, sei in serie B, appunto. Sei chiaramente inferiore. Sentirsi italiani di serie B è percezione diffusa e un sentimento molto sentito da chi in Italia non sta, pur essendo italiano”. A sostenerlo è Riccardo Giumelli che firma questo articolo per “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Stefano Vaccara.
“Gli altri, quelli veri, solo perché stanno in Italia credono di essere di serie A. L’argomento ha radici profonde: chi se ne è andato durante la grande emigrazione di massa rappresentava un’onta da nascondere, politicamente, di fronte alle altre potenze, Stati-nazioni che andavano via via rafforzandosi e crescendo. Insomma, come si poteva costruire un’immagine di un’Italia moderna e internazionale se dentro di sé aveva un’emorragia di persone che lasciavano ciò che avevano di più caro: famiglia e casa, per trovare condizioni di vita migliore? Meglio nascondere e mettere tutto a tacere.
Ma l’idea di appartenere alla serie B, e non alla Championship, è continuata anche successivamente. Le rimesse non hanno scalfito questa immagine profonda e diffusa. Vi ricordate i libri di storia delle scuole medie e superiori italiane?
All’emigrazione viene, ancora, dedicata una paginetta al massimo, accompagnata quasi sempre dalla stessa foto. Il professore sbrigava velocemente il tema: nessun approfondimento, nessuna spiegazione ulteriore, nessuna comprensione del fenomeno. L’emigrazione è nell’immaginario storico degli italiani un fatto residuale, lasciato quasi esclusivamente alla memoria familiare, alle lettere, ai ricordi, alla meraviglia di scoprire di avere qualche parente in New Jersey, San Paolo o Rosario.
Ma la memoria non può essere solo di persone sensibili e attente al tema. Non può essere solo familiare, deve diventare collettiva affinché agisca sul nostro immaginario.
E arriviamo a due recenti episodi per capire questa appartenenza di serie B.
Il primo è l’acquisto della Fiorentina da parte di Rocco Commisso. Sembra che arrivi uno straniero con lontane origini italiane e invece è italianissimo. È nato in Italia, ci ha vissuto fino ai dodici anni e adesso dopo aver fatto fortuna negli States investe sulla squadra di Firenze, su consiglio, si dice, della moglie Catherine Commisso, anche lei nata in Italia e che ama la città toscana. È lo zio d’America, ma molti si lamentano, basta farsi un giro sui social, di squadre di calcio in mani sempre meno “italiane”.
I tifosi viola sognano, come è giusto che sia, ma a noi, in questo caso, non interessa il fatto sportivo ma il ritorno di italicità, intriso di amore e business. Dovremmo ricordarcelo e sapere quanto gli italici potranno essere risorsa per l’Italia e gli Italiani.
Ma c’è un altro caso che ci ha sorpreso negativamente e ci ha fatto pensare a questi italiani di serie B. Il riferimento è alle recenti elezioni europee. Chi risiede fuori dall’Europa, seppur in diritto di votare, non ha potuto farlo. In altre parole non esiste una circoscrizione estero per il voto europeo perché l’Italia, insieme a Cipro, Slovacchia, Rep. Ceca, Malta, Grecia e Irlanda, non permette le votazioni fuori dai confini europei. Olandesi, britannici, spagnoli, portoghesi, belgi, lituani, austriaci ecc., possono farlo secondo modalità diverse.
Senza voler entrare negli spinosi risvolti amministrativi e legislativi, mi chiedo se tutto questo non faccia pensare ancor più a quel mondo degli italiani all’estero come cittadini di serie B, un po’ traditori perché se ne sono andati, un po’ presuntuosi se hanno fatto qualche soldo, fanciullescamente e scioccamente nostalgici di un’Italia che non esiste più, grotteschi nelle loro espressioni linguistiche.
Fin quando esisterà questa dicotomia, serie A e serie B, nei diritti, nelle possibilità ma soprattutto nell’immaginario non saremo in grado di cogliere quelle opportunità che possono nascere e svilupparsi da una rete italica globale. Non dimentichiamolo come italiani, 60 milioni, valiamo tot ma come italici, 250 milioni, valiamo molto di più. Allora impariamo a trattarci tutti come cittadini di serie A”. (aise)