STORIE DI ITALIANI DI NORVEGIA E ISLANDA

ROMA – focus\aise - Gli italiani di Norvegia e Islanda chi sono? Cosa fanno? L’Ambasciata d’Italia a Oslo ha raccolto alcune delle loro storie e le ha pubblicate on line sul proprio sito Internet. Per il momento ce ne sono tre, due in Norvegia con lo chef Francesco De Palma ed il musicista Martino Cambursano, e una in Islanda, con Sofia Nannini, dottoranda in storia dell’architettura al Politecnico di Torino.
Ecco qui le loro storie.
Madre Matera, cucina e vita in Norvegia: la storia di Francesco De Palma
Di pizza, sperimentazioni e vita in Norvegia l’Ambasciata ha parlato con Francesco De Palma, chef e pizzaiolo originario della Basilicata che, dopo anni in Toscana, si è trasferito ad Oslo. Quest’anno Francesco ha partecipato al Campionato Mondiale della Pizza e ha presentato la sua creazione, "Madre Matera", in onore della sua terra d’origine, Matera, eletta Capitale Europea della Cultura 2019. Madre Matera ha tutti i colori dell’Italia ed è un connubio tra prodotti tipici italiani e norvegesi, tra italianità e nordicità, in quanto è una pizza a base bianca, con mozzarella di bufala, parmigiano, pomodorini confit e che una volta uscita dal forno viene condita con il peperone crusco (prodotto lucano IGP), il bergamotto (l’oro verde della Calabria), petto di anatra, rabarbaro (usato soprattutto nel Nord Europa), semi di girasole tostati e basilico fresco.
Francesco viveva con sua moglie e suo figlio nella campagna senese e aveva avviato un ristorante, che ha gestito per nove anni. Tra i clienti abituali del ristorante c’era una famiglia norvegese amante della Toscana e della cucina di Francesco, che consigliava spesso allo chef di trasferirsi in Norvegia, paese che avrebbe potuto offrire molte possibilità per la sua attività e la sua famiglia. Ad un certo punto, complice la crisi economica, Francesco e la sua famiglia hanno deciso di trasferirsi ad Oslo.
Come racconta Francesco, "non si può fare niente senza sofferenza: perché se tutto va bene e quest’ultima manca, la spinta al cambiamento non arriva". Ecco perché, quando gli viene chiesto quali consigli darebbe a chi stesse pensando di trasferirsi in Norvegia, risponde "pazienza, coraggio e impegno": è importante uscire dalla comfort zone, per scoprire di riuscire a fare cose che mai si sarebbe pensato di riuscire a fare.
Una volta arrivato ad Oslo, Francesco è stato aiutato dai suoi amici norvegesi, che lo hanno incanalato nella realtà di Oslo.
Parlando delle differenze tra i settori turistico-gastronomici italiano e norvegese e tra lo stile di vita che Francesco svolgeva in Italia e quello che svolge qui, alcune lo hanno colpito in modo particolare. Da una parte è importante per Francesco non stravolgere le ricette italiane ed "educare" i palati norvegesi alla nostra cucina, che è anche uno stile di vita. I norvegesi infatti stanno sempre più scoprendo le prelibatezze gastronomiche italiane ma spesso chiedono a Francesco di modificarle, come ad esempio togliendo il bordo alla pizza. Dall’altra Francesco ha dovuto cercare qualche stratagemma per insaporire i prodotti trovati in Norvegia, essendo molto più insipidi di quelli italiani, utilizzando accostamenti che mai avrebbe immaginato.
In Norvegia ha cambiato il suo stile di vita e della sua famiglia. Francesco infatti non ha la preoccupazione del "produrre il più possibile" propria del libero professionista. Inoltre è rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che i datori di lavoro norvegesi, consapevoli del valore del capitale umano, hanno la buona abitudine di ringraziare sempre i propri lavoratori a fine giornata per il lavoro svolto.
Pensando al futuro Francesco si immagina a Oslo, ma vuole comunque tenersi aperta la possibilità di tornare un giorno in Italia, perché "l’Italia è sempre l’Italia".
Martino Cambursano, l’italiano che ha portato i suoni orientali ad Oslo
Se siete appassionati di musica e siete alla ricerca di nuovi ritmi e suoni dai sapori orientali, abbiamo trovato lo strumento che fa per voi: l’handpan (letteralmente, in italiano, "padella a mano"). Siamo andati alla scoperta della storia di questo particolare strumento e ne abbiamo parlato con Martino Cambursano, il primo insegnante italiano di handpan a Oslo.
La storia dell’handpan inizia nel 2000 ad una conferenza in un posto esotico, Port of Spain, a Trinidad e Tobago. Due artigiani svizzeri, Felix Rohner e Sabina Schärer, presentano la loro creazione, l’handpan, frutto di quasi vent’anni di ricerca, studio della fisica dei materiali e dell’acustica e degli strumenti del Medio e dell’Estremo oriente. Oggi l’handpan è diffuso in tutto il mondo e da strumento di nicchia negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede in vari ambienti, da quelli dello yoga e della meditazione ai vari festival musicali internazionali.
L’handpan appartiene alla categoria degli strumenti "idiofoni", il cui suono cioè è prodotto dalla vibrazione del corpo stesso; è composto da due semisfere di metallo unite tra di loro che gli danno una forma "a UFO". La parte superiore ha una protuberanza (la stessa che hanno i gong) mentre sulle parti laterali sono presenti sette incavature, che vanno a comporre ben tre ottave tonali. È uno strumento fatto a mano e molto delicato: bisogna infatti evitare l’esposizione al sole e all’acqua, usare custodie ad hoc per proteggerlo da cadute e colpi. La sua delicatezza, il lungo procedimento per costruirlo e il fatto che ce ne siano ancora pochi sul mercato, rendono l’handpan uno strumento ancora molto costoso.
Martino Cambursano è un ragazzo astigiano, di ventotto anni; è arrivato a Oslo nel 2017. Ha scoperto l’handpan tramite dei video Youtube dodici anni fa e se n’è innamorato. È riuscito a procurarsi un handpan solo due anni dopo, a Torino, non essendo ancora uno strumento molto diffuso in Italia. Con grande impegno ha imparato a suonare lo strumento da autodidatta: avendo già una base in percussioni, Martino non ha avuto grandi difficoltà.
Martino ha trovato ad Oslo un ambiente molto accogliente per il suo strumento e la sua arte: suona in diverse sessioni di yoga e meditazione, ma anche per eventi privati o per festival di musica, in collaborazione con altri musicisti, classici ed elettronici, e insegna a diverse persone. Ad oggi non ci sono molti suonatori di handpan in Norvegia e Martino è per fortuna molto richiesto. Quando gli si chiede delle difficoltà dell’essere un musicista, risponde: "l’importante è avere sempre del sentimento quando suono". Il sogno di Martino è quello di "poter suonare insieme a qualcuno" questo strumento, ancora di nicchia. Ha aperto una scuola in Norvegia e vorrebbe un giorno organizzare anche un laboratorio di costruzione di handpan, con lo scopo di rendere lo strumento più accessibile a tutti gli appassionati.
Sofia Nannini e il calcestruzzo islandese. Fare ricerca in storia dell’architettura tra Torino e Reykjavík
Alzi la mano chi conosce l’architettura islandese, o chi pensa che addirittura esista un’architettura in Islanda. La risposta l’aveva già data il poeta Wystan Hugh Auden, scrivendo nelle sue Letters from Iceland nel 1937: "There is no architecture here". Ma nonostante la scarsa popolazione – poco oltre le trecentocinquantamila persone – e la lontananza dai centri del panorama internazionale, l’architettura islandese esiste, eccome. E la studia una brillante ragazza di Bologna, che sta svolgendo il suo dottorato in storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino.
La storia dell’architettura islandese, come in fondo tutta la storia dell’isola, è un’affascinante storia di sopravvivenza, lotta contro gli elementi, autodeterminazione culturale e indipendenza.
Sofia Nannini vive tra Bologna, Torino e Reykjavík, e si è laureata nel marzo 2017 in Ingegneria Edile/Architettura presso l’Università di Bologna. Da novembre 2017 frequenta il corso di dottorato in "Architettura. Storia e Progetto" del Politecnico di Torino, dove sta svolgendo le sue ricerche per una tesi intitolata "The Role of Concrete in Icelandic Architecture (1847–1958)". Il suo principale oggetto di studio è il calcestruzzo, declinato in tutte le sue forme e caratteristiche, e il ruolo che esso ha avuto nella storia dell’architettura islandese.
In Islanda già lavorano due architetti italiani, Massimo Santanicchia (che insegna presso Listaháskóli Íslands) e Paolo Gianfrancesco (THG Arkitektar); Sofia è invece la prima studiosa italiana a svolgere ricerche sulla storia dell’architettura dell’isola. Al termine del dottorato, Sofia vorrebbe continuare a svolgere ricerche in questo ambito, magari allargando il campo d’indagine a ulteriori storie dell’architettura nei Paesi scandinavi. (focus\aise)