Si pregano gli italiani all’estero di porgere l’altra guancia – di Carmelo Vaccaro

GINEVRA\ aise\ - Viviamo in un periodo in cui, se non si presta attenzione al flusso di informazioni provenienti dall’Italia, si rischia di rimanere tagliati fuori da decisioni che, pur essendo prese nel silenzio generale, incidono profondamente sulla vita degli italiani all’estero. Chi vive fuori dal Paese spesso non ha accesso a un’informazione completa: i telegiornali e i programmi televisivi di approfondimento raramente dedicano spazio alle questioni che riguardano i quasi 8 milioni di cittadini italiani residenti oltre confine. E così, mentre l’opinione pubblica resta concentrata sui temi interni, si compongono mosaici legislativi e riforme che riguardano direttamente la diaspora, ma di cui si parla poco o nulla.
Alcune mie considerazioni mi portano ad avere dubbi su procedure pronte a essere adottate o già imposte, come il voto in presenza nei consolati: un ostacolo mascherato da riforma.
In questo contesto, circola insistentemente la notizia che, per il referendum sulla riforma costituzionale relativa alla giustizia, previsto, secondo diverse indiscrezioni, per marzo 2026, il Governo italiano stia valutando di reintrodurre il voto esclusivamente in presenza presso i consolati.
Una simile scelta sarebbe devastante per milioni di italiani che vivono a centinaia o migliaia di chilometri dal consolato più vicino. In molti Paesi le strutture consolari sono poche e insufficienti per accogliere flussi massivi; molti lavoratori non potrebbero assentarsi e gli anziani, i disabili e le famiglie con bambini non avrebbero alternative.
Un diritto costituzionale fondamentale, il voto, diventerebbe di fatto un privilegio per pochi.
Ed è difficile non intravedere in questa proposta un possibile “esperimento generale”, un test preliminare per valutare la reazione della comunità italiana all’estero in vista della riforma considerata dal Governo la madre di tutte le riforme: il Premierato (o “Presidenzialismo di fatto”). In una fase politica tanto delicata, limitare la partecipazione elettorale degli italiani all’estero equivarrebbe a escludere una parte significativa del corpo elettorale, che spesso vota diversamente rispetto al trend interno.
Da maggio abbiamo segnalato l’impatto della nuova legge sulla cittadinanza italiana per i nati all’estero. Essa stabilisce che chi nasce fuori dall’Italia e possiede un’altra cittadinanza non acquisisce automaticamente quella italiana, e che la cittadinanza potrà essere riconosciuta solo attraverso una procedura di richiesta legata alla discendenza e a determinati requisiti.
Ma la legge introduce anche alcune eccezioni: viene prevista infatti la possibilità dell’acquisto della cittadinanza “per beneficio di legge” per i figli minori nati all’estero, purché almeno uno dei genitori sia cittadino italiano per nascita.
Da anni si registrano interventi che riducono o limitano progressivamente le risorse per gli iscritti AIRE. Dai corsi d’italiano alle attività culturali, passando per le carenze dei servizi in alcuni consolati nel mondo, dovute soprattutto alla mancanza di personale, il quadro è quello di un progressivo disinvestimento. Anche le istituzioni elette, come i Comitati degli Italiani all’Estero (Com.It.Es.) e il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), patiscono profondamente questo incomprensibile comportamento del Governo verso gli italiani che vivono oltre confine.
Le istituzioni rappresentative, come Com.It.Es. e CGIE, denunciano da anni questa deriva, ma spesso vengono ignorate o consultate solo formalmente, senza un reale ascolto politico.
Il messaggio implicito sembra essere chiaro: gli italiani all’estero contano quando servono, ma diventano invisibili quando bisogna investire su di loro.
Dei piccoli passi avanti, seppur insufficienti, si sono registrati grazie all’impegno di alcuni parlamentari eletti nella circoscrizione Estero, in primis l’On. Toni Ricciardi: l’esenzione IMU per circa 100.000 italiani iscritti AIRE proprietari di una casa in Italia e la possibilità di richiedere o rinnovare la Carta d’Identità Elettronica (CIE) nei comuni italiani durante i rientri temporanei. Sono passi positivi, ma incapaci di compensare la generale linea di disinvestimento e disinteresse.
L’Italia sembra dimenticare che gli italiani all’estero iscritti all’AIRE sono più di 7 milioni e 300 mila e continuano a crescere. Essi rappresentano una delle più grandi comunità transnazionali del mondo e generano ricchezza economica, culturale e diplomatica per il Paese. Promuovono l’Italia ovunque, spesso più efficacemente di molte politiche istituzionali.
Eppure, dalle scelte recenti appare come se fossero un peso, un problema, un capitolo trascurabile della vita nazionale. Questa percezione alimenta frustrazione, distacco emotivo, senso di abbandono e perfino un indebolimento dell’identità italiana all’estero.
L’Italia celebra la sua cucina, ma dimentica chi l’ha resa globale.
Oggi esultiamo per l’ingresso della cucina italiana nel Patrimonio Immateriale dell’UNESCO, un traguardo straordinario. Ma raramente viene riconosciuto che la diffusione planetaria della cucina italiana non è merito della politica italiana, bensì del lavoro degli italiani all’estero: ristoratori, imprenditori, commercianti, associazioni regionali, famiglie di emigrati che per decenni hanno portato, difeso e valorizzato la nostra cultura gastronomica nei cinque continenti. Se la cucina italiana è conosciuta ovunque, è soprattutto grazie a loro.
Mi auguro sinceramente che le mie riflessioni siano solo supposizioni e non anticipazioni di ciò che verrà. Ma una cosa la so: gli italiani all’estero non staranno a guardare.
Difenderanno i propri diritti, la propria identità e il proprio legame con la Nazione Italia. Perché essere italiani non è solo una questione di geografia, ma di appartenenza, memoria e continuità culturale. (carmelo vaccaro*\aise)
* consigliere Cgie