Eduardo Chillida: la personale al Cervantes di Roma

ROMA\ aise\ - In occasione del centenario della nascita del grande scultore spagnolo, è stata inaugurata ieri a Roma la mostra personale “Eduardo Chillida” (1924 – 2002) ospitata nella sede dell’Instituto Cervantes nella Sala Dalí fino all’11 gennaio 2025.
Organizzata dall’Instituto Cervantes di Roma e promossa dal Museo Chillida Leku con la collaborazione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, a cura di Javier Molins, la mostra propone, per la prima volta nella capitale dopo trentadue anni, quarantuno opere dell’artista tra disegni, sculture e “gravitazioni” datate dal 1948 al 1997. Un’occasione veramente unica per ripercorrere l’evoluzione dell’opera dello scultore basco dalla figurazione all’astrazione.
“Questa mostra rappresenta anche un'opportunità irripetibile per vedere l'opera di questo maestro del XX secolo in dialogo con quella di un maestro del Barocco, Gian Lorenzo Bernini, poiché la posizione privilegiata della sala dell’Instituto Cervantes a Piazza Navona consentirà di ammirare le due opere in un gioco di rimandi. Non dobbiamo dimenticare che l’arte è sempre un dialogo con il passato”, le parole del curatore, Molins.
Eccezionalmente esposte le quattro opere che valsero all’artista il Premio per la scultura alla Biennale di Venezia del 1958, tra le quali Gesto, proveniente dalla collezione della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
“Sono uno di quelli che ritengono, per me è molto importante, che noi esseri umani apparteniamo sempre a qualche luogo”, diceva da sé Chillida. “L’ideale è essere ed avere le radici in un luogo ma, contemporaneamente, penso che le nostre braccia devono stringere il mondo intero e che qualsiasi cultura è perfetta per colui che riesce ad adattarcisi. Io nel mio paese basco mi sento al mio posto, come un albero adatto al suo territorio. Un albero sul suo terreno ma con le braccia rivolte al mondo intero. Tento di realizzare l’opera di un uomo, la mia. Poiché sono io, quest’opera avrà sfumature particolari, una luce nera, che però è anche la nostra. Sono come un albero, con le radici in un solo paese e i rami che si aprono sul mondo”.
LA MOSTRA
Da quando si è fatto conoscere sulla scena internazionale negli anni Cinquanta, il lavoro di Chillida è stato ospitato nei principali musei e collezioni d'arte in Europa e negli Stati Uniti. Le sue opere sono state commentate e analizzate da insigni storici e critici d'arte, oltre che da poeti e filosofi. Vincitore di innumerevoli premi ed esposto in numerosi musei e retrospettive, il suo lavoro costituisce un patrimonio di riferimento ineludibile nel panorama artistico contemporaneo. È considerato uno dei più grandi scultori del Novecento. Le sue opere sono presenti in più di 20 musei in tutto il mondo. Le sue sculture sono collocate di fronte al mare, come a San Sebastián il celebre Pettine del vento (1977), formato da tre monumentali ganci in acciaio massiccio inseriti tra le rocce della costa quasi a raccogliere il vento e i flutti dell’oceano, in un angolo magico che fonde elementi naturali con materiali industriali creando un potente dialogo tra l’artificiale e l’organico.
Altre sculture sono collocate in montagna, come in Giappone, e in città come Washington, Parigi, Lund, Munster, Madrid, Palma di Maiorca, Guernica, Berlino e Monaco di Baviera. Sulla sua opera hanno scritto architetti e filosofi come Martin Heidegger, Emil Cioran, Félix Duque e poeti come Octavio Paz.
La mostra romana vuole essere una retrospettiva della carriera artistica di Chillida attraverso i due principali mezzi con cui lavorò: il disegno e la scultura.
Il percorso dell’esposizione inizia con una serie di disegni figurativi del primo periodo dove già emergono quelle forme e linee curve che caratterizzeranno il suo lavoro successivo. Colpiscono i disegni che si concentrano sulle mani, uno dei temi che ossessiona Chillida. Non bisogna dimenticare, infatti, che l'artista in gioventù è il portiere della squadra di calcio della Real Sociedad, attività caratterizzata dall'uso delle mani e sport che deve abbandonare a causa di un infortunio al ginocchio.
Chillida una volta disse “quello che so fare l'ho sicuramente già fatto, quindi devo sempre fare quello che non so fare. [...] Non sarà forse l'arte la conseguenza di una necessità, bella e difficile, che ci porta a tentare di fare quello che non sappiamo fare?” Ecco perché molte di queste opere sono disegnate con la mano sinistra, pur essendo destrimano: Chillida vuole rivivere l'avventura di imparare con la mano sinistra qualcosa che sapeva fare solo con la mano destra.
In mostra 17 “gravitazioni”, rilievi di diversi strati di carte, tagliate e in parte dipinte a china nera, legate e appese mediante delle corde. Chillida espone per la prima volta Gravitazioni nel 1988 alla Galleria Theo di Madrid. Sono delicate opere bidimensionali in bianco e nero, che esplorano le qualità e i limiti dello spazio, sovrapponendo strati di carta uniti da fili e sospesi per consentire la circolazione dell’aria.
La stratificazione e la diversa densità dei piani bidimensionali rimanda ad una profondità e ad una articolazione spaziale altra che fornisce una fortissima suggestione per definire un’articolazione plastica dell’architettura che alterna volumi in rilievo e campi scavati.
Il rapporto di Chillida con l'Italia è stato molto intenso. Alla Biennale di Venezia del 1958 vince il premio come miglior scultore all'età di 34 anni e la mostra all’Instituto Cervantes di Roma vuole rendere omaggio a questo importante riconoscimento riunendo quattro opere presenti in quella Biennale. Si tratta di un rilievo del 1951 e di tre sculture in ferro che hanno segnato il percorso che la scultura di Chillida avrebbe avuto in seguito. Una di queste sculture, Gesto (1957), proviene dalla collezione della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che l'ha eccezionalmente prestata per l'occasione, mentre le altre provengono dal Museo Chillida Leku.
Una caratteristica di queste sculture e dell'opera scultorea di Chillida è l'assenza dell'angolo retto. È lo stesso artista ad affermare “l’angolo retto mi è sembrato il più bello di tutti gli angoli, ma è un po’ intollerante, non ammette dialogo se non con i suoi pari”. Chillida non utilizzerà mai angoli retti, bensì angoli dati dall'ombra.
Le sculture di Chillida evocano spesso tensione ed equilibrio, invitando gli spettatori a contemplare il rapporto tra massa e vuoto. La sua padronanza del materiale e della forma gli permette di creare composizioni dinamiche che sfidano la percezione dello spazio. Ogni scultura diventa, infatti, una meditazione sulla presenza e l'assenza, invitando gli spettatori a sperimentare l'interazione tra luce e ombra. Le sculture di Chillida non sono semplicemente oggetti statici ma piuttosto entità dinamiche che interagiscono con l'ambiente circostante ed evocano un senso di dialogo con chi le osserva.
EDUARDO CHILLIDA
Eduardo Chillida, di origine basca, nasce a San Sebastián il 10 gennaio 1924. Il padre, militare, ha grandi inclinazioni artistiche ed ama il disegno e la pittura. Il senso del ritmo e la musicalità, nel suo lavoro, li eredita dalla madre, la soprano Carmen Juantegui: “quando entrai per la prima volta nello spazio dell’Hagia Sofia di Istanbul, ebbi l’impressione di entrare nei polmoni di Bach, perché avvertii la stessa forza espansiva. Bach è un architetto, come Masaccio e Mantegna. Lavora con il tempo e gli accordi; sono come elementi di un’architettura. La musica occupa uno spazio importante nel mio lavoro, si stabilisce un rapporto dialettico attraverso una particolare sensibilità che mi permette di rimanere in comunicazione con l’opera mentre creo.”
Dopo gli studi in architettura all'Università di Madrid, che lasciano in lui la capacità di modellare lo spazio attraverso linee e segni architettonici trattandoli quasi come materia concreta, inizia a concentrarsi sul disegno e la scultura. Trasferitosi a Parigi nel 1948, stringe amicizia con Pablo Palazuelo, con il quale espone al Salon de Mai del 1949. Nel 1950 sposa Pilar Belzunce, suo punto di riferimento dall’età di 15 anni, dalla quale avrà otto figli e alla quale rimane legato tutta la vita autodefinendosi “un solitario, un solitario con Pili”. Nel 1955 la città di San Sebastián gli commissiona un monumento ad Alexander Fleming. Vince il Premio per la scultura alla Biennale di Venezia del 1958 e, nello stesso anno, compie la sua prima visita negli Stati Uniti, dove incontra James Johnson Sweeney, Mies van der Rohe e il compositore Edgar Varèse. Nel 1960 gli viene assegnato il Premio Kandinsky. Nel 1966 incontra il filosofo Martin Heidegger, del quale illustrerà il libro Der Kunst und der Raum. Due anni dopo inizia una scultura per il palazzo dell’UNESCO a Parigi. Nel 1971 è Visiting professor al Carpenter Centre di Cambridge, Massachusetts. Nel 1979 condivide con Willem de Kooning il Premio Andrew W. Mellon, a cui fa seguito un’importante mostra al Museum of Art del Carnegie Institute di Pittsburgh. Nel 1980 espone al Museo Solomon R. Guggenheim, New York. Nel 1990 la Biennale di Venezia gli dedica una personale a Ca’ Pesaro. L’anno successivo riceve il Praemium Imperiale dalla Japan Art Association.
Nel 2000 viene inaugurato il Museo Chillida Leku ad Hernani, vicino a San Sebastián. “Un giorno ho sognato un’utopia: trovare uno spazio dove le mie sculture potessero riposare e le persone potessero camminare tra di esse come in una foresta.” Chillida Leku è un museo unico, fatto di per sé come una grande opera d'arte, ospita il corpus più completo di opere dell'artista e comprende un parco di sculture e uno spazio espositivo all'interno del caserío Zabalaga, una tradizionale casa di campagna basca risalente al XVI secolo. La casa e il terreno adiacente sono stati acquistati negli anni ‘80 da Chillida e sua moglie, che hanno dedicato i successivi quindici anni a restaurarlo con sensibilità. A Chillida Leku l'artista ha creato un luogo ("Leku" si traduce come "luogo" in lingua basca) dove le generazioni future potranno vivere il suo lavoro come lui lo intendeva, e in una cornice senza pari. In esso, la fusione tra arte e natura avviene in modo naturale. Le sculture sono integrate nel paesaggio come se ne avessero sempre fatto parte. Nel giardino faggi, querce e magnolie convivono con le monumentali sculture in acciaio e granito poste in perfetto dialogo con l'ambiente circostante. Sebbene le opere presentino un aspetto di monumentalità, il luogo è realizzato a misura d'uomo, che è la scala con cui l'artista ha sempre lavorato, ponendo la persona come misura del suo lavoro.
Muore a 78 anni nella sua residenza sul monte Igueldo il 19 agosto del 2002. (aise)