Liturgia per carillon: a Venezia la personale di Emanuele Sartori

VENEZIA\ aise\ - Inaugura oggi negli spazi della Blue Gallery, galleria indipendente di Venezia (Sestiere Dorsoduro 3061), “Liturgia per carillon” personale di Emanuele Sartori, a cura di Silvio Pasqualini visitabile fino al 12 ottobre. In mostra opere, collage interamente dipinti a mano, rielaborano ricordi d’infanzia e immagini del passato in un percorso tra memoria e immaginazione.
Con “Liturgia per carillon”, scrive Giada Allegro nel testo che accompagna la mostra, “Emanuele Sartori apre le porte a un mondo sospeso tra gioco e malinconia, dove l’infanzia riaffiora in frammenti lucidi e taglienti come vetro. È un carosello fatto di bambole, pupazzi e balocchi segnati dal tempo, custodi di emozioni che oscillano tra tenerezza e inquietudine. Sartori è un poeta silenzioso che lavora come un artigiano dell’immagine. Nelle sue opere, il ricordo diventa materia concreta: fotografie, oggetti e figure del passato sono prima scelti e ancorati alla tela, poi interamente ridipinti a mano. Una tecnica lenta, quasi rituale, che rifiuta ogni scorciatoia digitale. In un’epoca di esecuzione rapida e automatizzata, il suo gesto manuale è un atto di resistenza, un sabotaggio gentile alla velocità e all’oblio.
La “liturgia” di Sartori è un rito laico che si compie davanti a uno scrigno aperto: dentro, accanto ai ricordi dell’infanzia, si trovano i primi esercizi dell’immaginazione”, continua Allegro. “È un teatro dello stupore e della meraviglia, ma anche della ferita e del segreto. Le tinte pastello possono ingannare: dietro il rosa e l’azzurro, affiora l’amarezza delle mandorle e la fragilità della porcellana. Come scrive Giada Allegro, l’artista è “un chirurgo di infanzia che non concede anestesia”, capace di riportarci a momenti che credevamo sepolti, mettendoci di fronte a un passato che è anche radice del presente.
Vicentino classe 1970, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, Sartori costruisce con lentezza chirurgica i suoi collage dipinti. Non si affida alla velocità del digitale: ogni immagine viene recuperata, trasposta e ridipinta a mano, fino a trasformarsi in una “simulazione del reale”, come osserva Pasqualini, un atto che “ribalta i piani della percezione e sposta indietro l’orologio della vita”.
Il suo è un ritorno a casa, un viaggio tra ricordi che tutti abbiamo nascosto in una soffitta o in una cantina: “un teatro dello stupore e della meraviglia – continua Pasqualini – che sputa in faccia all’intelligenza artificiale e al post umano”. Così le tinte pastello di Sartori, ingannevoli come un sole di marzo, celano il sapore amaro dei confetti e il sangue che cola dai lineamenti delle bambole. Perché, come nota ancora Allegro, “l’invito a restare dentro i bordi è una disciplina che all’artista non appartiene”.
Con Liturgia per carillon Sartori mette in scena una liturgia poetica, fragile e perturbante, dove il tempo rallenta, il ricordo brucia e l’infanzia ritorna come un rito collettivo da attraversare senza difese”. (aise)