“This is not a fairytale”: a Bologna la prima personale italiana di Mons Jorgensen

BOLOGNA\ aise\ - Vernacolare e universale, arcaica e multimediale. È l’opera di Mons Jorgensen (Rotterdam, 1968), artista multidisciplinare olandese di base a Londra che arriva per la prima volta in Italia in occasione di ART CITY Bologna 2024 e della 50° edizione di ARTEFIERA.
A ospitare la personale dal titolo “This is not a fairytale”, dal 31 gennaio scorso e sino al 24 febbraio, è lo Spazio b5 Studio Store Creativo, curato dall’architetto Lorena Zuniga Aguilera e dal fotografo Michele Levis. Opere pittoriche in grande formato, fotografie in bianco e nero, cortometraggi, sculture e performance conquisteranno lo spazio espositivo che costituisce la porta di accesso fisica e metaforica al meta-mondo con cui Jorgensen scava il quotidiano, in profondità ma sempre con grazia e leggerezza.
L’artista dalla formazione internazionale – Graduate Art Prize alla Central Saint Martins di Londra nel 2019, già selezionata da Saatchi Art London per The Other Art Fair – ha tuttavia scelto di esprimersi in un linguaggio “minore”, quasi dialettale, felicemente marginale, come spiega Marcello Tedesco nel testo critico della mostra, unendo una spiccata fluidità linguistica a forme refrattarie a rigide definizioni.
Il mito, la fiaba di tradizione nord-europea e la maschera, filo conduttore di questa prima esposizione italiana realizzata grazie alla collaborazione di Laboratorio delle Idee, sono il terreno che Jorgensen scandaglia nel suo lavoro: una memoria collettiva filtrata dalla sensibilità personale dell’artista e tradotta in immagini spesso bidimensionali, frontali e dalla composizione ipnoticamente rivolta al centro. Icone contemporanee generate da una concezione sacrale e insieme popolare del mondo, soglie di una dimensione ‘altra’ in cui le identità fluttuano in perpetua metamorfosi. Da qui derivano l’interazione sensuale tra mondo vegetale, animale e umano, l’indagine sull’alter-ego e il mascheramento. In una dimensione che si avvale del significato originario del mito come veicolo di contenuti altrimenti inesprimibili.
Il percorso espositivo presenta sette acrilici e pastello su tela di grande formato, sette fotografie in bianco e nero, tre cortometraggi che saranno proiettati all’interno di particolari dispositivi costruiti per attivare una visione consapevole dell’opera, e una scultura di argilla polimerica e corda. Mezzi espressivi diversi esplorano il potere trasformativo della maschera che nella poetica di Jorgensen non è mai finzione, ma supporto catalizzatore, rivelatore, amplificatore di identità e di percezioni.
“Questa serie di opere nasce in un bosco antico dove mi sono trovata a indossare una maschera cieca”, racconta l’artista stessa. “Una volta perso il contatto visivo con l’esterno, la mia immaginazione ha preso il volo: chi si avvicina? È un uomo o un cervo venuto a investigare? Sono dei pappagalli quelli appena atterrati sull'albero sopra di me, o è la foresta intorno che si sta trasformando in una giungla? Ero lì per un progetto di registrazione, ma ho capito che ciò che stava accadendo nella mia mente, accesa da quella maschera che mi copriva il volto, era molto più interessante di tutto il resto. Ed è questo che vorrei restituire a chi verrà a trovarmi a Bologna”.
Due delle opere in esposizione – la fotografia Schembart Miro del 2018 e Merfish, acrilico e pastello su tela del 2023 – faranno parte di un’asta silenziosa: il ricavato sarà devoluto all’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza Onlus, fondato a Bologna nel 1881, è attivo in tutta Italia sui temi dell’integrazione, della formazione, della riabilitazione e dell’autonomia delle persone non vedenti e ipovedenti.
Mons Jorgensen si laurea in Pittura presso il Camberwell College of Arts nel 2010 e consegue la laurea magistrale in Belle Arti presso il Central Saint Martins di Londra, dove vince il Graduate Art Prize nel 2019. Sempre nel 2019, viene selezionata da Saatchi Art London per essere esposta presso The Other Art Fair. Partecipa a mostre collettive a Londra, Atene e Seoul; il suo lavoro è conservato in collezioni private in tutto il mondo. Radicata in miti, leggende e fiabe, Mons fonde narrazioni quotidiane con temi sociali più ampi. Le immagini che la mitologia europea evoca nella sua mente influenzano il suo lavoro. Dipinge, stampa, disegna e fa uso di oggetti, maschere e del suo corpo per creare forma fisse e in movimento. Tocca contemporaneamente la tradizione delle Belle Arti, così come le scorciatoie dell'iconografia vernacolare per sviluppare il suo linguaggio visivo. Le sue idee si confrontano costantemente con i vari media bidimensionali e tridimensionali, ed è attraverso questo continuo processo di auto-riferimento che l’artista articola visivamente i propri pensieri. Vede l'arte come un linguaggio con il potere di impregnare il mondo fisico di significato, sovrapponendo uno strato culturale e creando uno spazio alternativo per il dibattito. (aise)