Il decennio dei divari: i super ricchi raddoppiano le fortune mentre i poveri aumentano

ROMA\ aise\ - Dal 2020 i 5 uomini più ricchi al mondo (Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett) hanno più che raddoppiato, in termini reali, le proprie fortune - da 405 a 869 miliardi di dollari - a un ritmo di 14 milioni di dollari all'ora, mentre la ricchezza complessiva di quasi 5 miliardi di persone più povere non ha mostrato barlume di crescita. Ai ritmi attuali, nel giro di un decennio potremmo avere il primo trilionario della storia dell’umanità, ma ci vorranno oltre due secoli (230 anni) per porre fine alla povertà.
È quanto emerge da "Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi", il nuovo rapporto pubblicato oggi da Oxfam, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos.
"Il rapporto ci dice che 7 delle 10 società più grandi al mondo hanno un miliardario come amministratore delegato o azionista di riferimento. Queste corporation hanno un valore di 10.200 miliardi di dollari, superiore al PIL combinato di tutti i Paesi dell'Africa e dell'America Latina – ha detto Amitabh Behar, direttore esecutivo di Oxfam International -. Sembra di vivere in un film distopico, di trovarci agli albori di un "decennio dei grandi divari", con miliardi di persone a sopportare il peso di epidemie, inflazione, guerre, e una manciata di super-ricchi che moltiplicano le proprie fortune a ritmi parossistici”.
"Il potere economico delle grandi aziende è oggi decisamente fuori controllo, una macchina che alimenta le disuguaglianze - ha aggiunto Behar -. Rendite monopolistiche, compressione dei costi e dei diritti dei lavoratori, elusione delle imposte che concorrono ad ampliare le fortune dei ricchi azionisti. L’estrema ricchezza è potere. Un potere spesso esercitato per condizionare le politiche pubbliche preservando le posizioni di privilegio di sparute minoranze a discapito dell’interesse collettivo e minando alla base l’essenza stessa della democrazia”.
L’aumento della ricchezza estrema nell’ultimo triennio è stato poderoso, mentre la povertà globale rimane inchiodata a livelli pre-pandemici. Oggi, i miliardari sono, in termini reali, più ricchi di 3.300 miliardi di dollari rispetto al 2020 e i loro patrimoni sono cresciuti tre volte più velocemente del tasso di inflazione.
L’incremento dei patrimoni dei miliardari rispecchia la straordinaria performance delle società che controllano. Il 2023 è destinato, in particolare, ad essere ricordato come l’anno più redditizio di sempre. Complessivamente, 148 tra le più grandi aziende al mondo hanno realizzato profitti per circa 1.800 miliardi di dollari tra giugno 2022 e giugno 2023, con un aumento del 52,5% degli utili rispetto alla media dei profitti nel quadriennio 2018-21. Per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 tra i maggiori colossi globali, 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari.
A non essere ricompensato adeguatamente è invece chi con il proprio duro lavoro, spesso precario e poco sicuro, contribuisce a rendere floride quelle stesse imprese.
L’analisi di Oxfam sui dati della World Benchmarking Alliance relativi a 1.600 tra le più grandi aziende del mondo rivela come solo lo 0,4% di esse si sia pubblicamente impegnato a corrispondere ai propri lavoratori un salario dignitoso e a supportarne l’introduzione, lungo le proprie catene di valore. In molti casi le più penalizzate sono le donne: basti pensare che a una lavoratrice del settore socio-sanitario servirebbero 1.200 anni per raggiungere la retribuzione annua percepita, in media, da un amministratore delegato delle 100 aziende più grandi di Fortune.
Inoltre, mentre durante la fase più acuta della crisi inflattiva le imprese sono riuscite a tutelare i propri margini di profitto, ampi segmenti della forza lavoro hanno perso potere d’acquisto. Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore.
"Esiste una via d’uscita da questo status quo: il potere pubblico deve riacquistare centralità, i governi devono usare il loro potere politico per promuovere società più eque, investendo in beni e servizi pubblici di qualità accessibili a tutti, ridando potere, dignità e valore al lavoro, agendo sulla leva fiscale per appianare le disuguaglianze - conclude Behar -. I governi devono anche ricondurre il potere economico a obiettivi che vadano a beneficio dell’intera collettività, spezzando i regimi monopolistici, tutelando la concorrenza, tassando gli enormi profitti aziendali, incoraggiando, anche per via normativa, il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità sociale ed ambientale”.
Italia
In Italia, il quadro distribuzionale tra il 2021 e il 2022 mostra quasi un dimezzamento della quota di ricchezza detenuta dal 20% più povero (passata dallo 0,51% allo 0,27%), a fronte di una sostanziale stabilità della quota del 10% più ricco degli italiani. La forbice si amplia: se a fine 2021 la ricchezza del top-10% era 6,3 volte superiore a quella detenuta dalla metà più povera della popolazione, il rapporto supera il valore 6,7 nel 2022. Ancor più al vertice della piramide distributiva, le consistenze patrimoniali nette dell’1% più ricco (titolare, a fine 2022, del 23,1% della ricchezza nazionale) erano oltre 84 volte superiori alla ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.
Dall’inizio della pandemia fino al mese di novembre 2023 il numero dei miliardari italiani è aumentato di 27 unità (passando da 36 a 63) e il valore dei patrimoni miliardari (pari a 217,6 miliardi di dollari a fine novembre 2023) è cresciuto in termini reali di oltre 68 miliardi di dollari (+46%). Nel corso del 2023 è cresciuto sensibilmente anche il numero dei multimilionari italiani: l’insieme dei titolari di patrimoni finanziari superiori a 5 milioni di dollari ha visto 11.830 nuovi ingressi su base annua. Il valore complessivo dei loro asset è lievitato nel corso dell’anno passato di 178 miliardi di dollari in termini reali.
Cresce l’incidenza della povertà assoluta nel 2022. Prospettive di peggioramento per il 2023
La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi netti equivalenti in Italia è rimasta pressoché stabile nel 2021 (ultimo anno per cui le stime distribuzionali sono accertate) rispetto al 2020, grazie a un ruolo incisivo dei trasferimenti pubblici emergenziali e del reddito di cittadinanza. Il profilo poco egalitario della distribuzione dei redditi colloca il nostro Paese in ventunesima posizione sui 27 Paesi membri dell’UE.
Nel 2022 il fenomeno della povertà assoluta mostrava in Italia una maggiore diffusione rispetto all’anno precedente. Poco più di 2 milioni e 180 mila famiglie per un totale di 5,6 milioni di individui versavano nel 2022 in condizioni di povertà assoluta, non disponendo di risorse mensili sufficienti ad acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per vivere in condizioni dignitose. L’incidenza della povertà a livello familiare è passata in un anno dal 7,7% all’8,3%, mentre quella individuale è cresciuta dal 9,1% al 9,7%. Un aggiornamento che si colloca in coerenza con il trend più che ventennale di crescita della povertà in Italia, sospinta da una perdurante stagnazione economica e dagli effetti non cicatrizzati delle crisi che nel nuovo millennio si sono abbattute sul nostro Paese.
“L’aumento tra il 2021 e 2022 dell’incidenza della povertà assoluta è attribuibile in larga parte e malgrado il buon andamento dell’economia italiana nel 2022, all’impennata dell’inflazione e ai suoi impatti più incisivi sulle famiglie a bassa spesa rispetto a quelle benestanti. – ha commentato Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia -. La dinamica del 2023 risentirà verosimilmente del rallentamento dell’economia nazionale e della minore capacità delle famiglie di fare affidamento sui propri risparmi. Peseranno anche la riduzione delle misure compensative contro l’impennata dei prezzi nella fase di rientro dall’inflazione, e la portata degli strumenti che hanno sostituito il reddito di cittadinanza. Misure che segmentano la platea dei poveri secondo discutibili criteri di meritevolezza, i cui beneficiari si stima potranno ridursi di 500.000 unità rispetto alle famiglie eleggibili per il reddito di cittadinanza. Misure destinate ad aumentare la disuguaglianza, l’indigenza e l’esclusione sociale”.
Mercato del lavoro: debolezze strutturali e marcate disuguaglianze
Alcuni segnali positivi, come il tasso di occupazione al 61,3% per le persone tra i 15 e i 64 anni di età, non devono distogliere l’attenzione dai problemi strutturali del mercato del lavoro nazionale. Persistono ampi squilibri territoriali tra aree ad alta e bassa occupazione, oltre che forti ritardi rispetto agli indicatori UE o di Paesi omologhi all’Italia, come Francia e Germania. Ancora, il miglioramento registrato dagli indicatori italiani risulta sempre più “agevolato” dalla dinamica demografica negativa.
Tanti nodi restano ancora irrisolti come la perdurante stagnazione salariale e la contenuta produttività del lavoro, o i forti ritardi occupazionali, la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico che determina marcate disuguaglianze retributive e amplia le fila dei working poor.
“Piuttosto che prendere di petto le debolezze strutturali del mercato del lavoro italiano gli interventi del governo rischiano di esacerbarle. L’assenza di una chiara politica industriale, orientata alla creazione di posti di lavoro di qualità, costituisce una rinuncia a contrastare l’indebolimento dell’economia nazionale e a riqualificare lo sviluppo del Paese in campo tecnologico e ambientale. – ha aggiunto Maslennikov – L’ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine e del lavoro occasionale rischia di rafforzare le trappole della saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa. L’opposizione al salario minimo legale è infine una scelta emblematica di un profondo disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti, impiegati in settori in cui la forza dei sindacati è minima”.
Un’agenda politica per l’uguaglianza e l’equità
La riduzione delle disuguaglianze rappresenta un tema cui nessun governo, al netto della retorica, ha finora attribuito centralità d’azione. Il Governo Meloni non fa eccezione e il suo primo anno è stato caratterizzato da politiche del lavoro incapaci di ridimensionare il fenomeno della povertà lavorativa, da una riforma fiscale che riduce l’equità e l’efficienza del sistema impositivo italiano e dall’abbandono dell’approccio universalistico alla lotta alla povertà in nome di una visione categoriale e in favore di interventi che, lungi dal correggere le note criticità del reddito di cittadinanza, inaridiscono lo schema di reddito minimo, negando dignità e speranza a troppi. Invertire la rotta e fare sì che il potere politico torni ad interessarsi del benessere economico e sociale dei più fragili è cruciale.
In Italia, Oxfam raccomanda al Governo di intervenire nei seguenti ambiti prioritari
Misure di contrasto alla povertà a vocazione universale; Misure in materia fiscale per una maggiore equità del sistema impositivo; Misure per contrastare il lavoro povero e promuovere un lavoro dignitoso per tutti; Estendere erga omnes l’efficacia dei principali contratti collettivi nazionali del lavoro; Disincentivare l’utilizzo dei contratti non standard, introdurre forti limitazioni all’esternalizzazione del lavoro e prevedere una drastica riduzione delle forme contrattuali a tempo determinato, ricorrendo a poche e stringenti causali; Introdurre condizionalità all’accesso agli incentivi per le imprese come il rinnovo dei contratti collettivi scaduti che agevolino il riconoscimento di aumenti salariali, condizionalità che assicurino la riduzione dell’impiego del lavoro atipico e una più equa condivisione, tra i fattori produttivi, dei benefici ricavati dalle attività finanziate dallo Stato. (aise)