Trump contro i Brics: un boomerang - di Mario Lettieri e Paolo Raimondi
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ROMA\ aise\ - "Chiederemo ai paesi Brics, apparentemente ostili, di impegnarsi a non creare una loro nuova valuta, né a sostenerne un'altra per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti dovranno affrontare dazi del 100%", è la grave affermazione più volte ripetuta da Donald Trump dal momento del suo insediamento.
Il presidente americano sta inanellando una serie di errori di valutazione geopolitica. Se nelle sue intenzioni c’è l’idea di affrontare i singoli Stati per indebolire e rompere le alleanze tra diversi paesi, come i Brics, allora la sua strategia è destinata al fallimento. Non solo, li sta spingendo a raggrupparsi più strettamente per meglio proteggersi e difendersi.
Oggi i Brics, tra membri e partner, rappresentano il 41% del pil globale, se calcolato in parità di potere d’acquisto (ppp), il 55% della popolazione mondiale e oltre il 50% della capacità energetica totale. In ppp gli Usa rappresentano il 15,5% del pil globale e il G7 il 29%. Dati da non sottovalutare.
Infatti, per valutare il pil i valori ppp sono più realistici di quelli nominali. Nel calcolo ppp si tiene conto del costo dei beni e dei servizi prodotti in loco e dei tassi d’inflazione. Si considera che uno stesso bene venduto in paesi diversi deve essere valutato con lo stesso prezzo in una valuta comune. Con il valore nominale, invece, si utilizzano i tassi di cambio del mercato internazionale e si rischia di distorcere anche le differenze reali nel reddito pro capite.
"Non c'è alcuna possibilità che i Brics sostituiscano il dollaro statunitense nel commercio internazionale,", ha ribadito Trump. In verità, non è questa l’intenzione dei Brics o di altri gruppi di paesi come l’Ue. Di fatto, il dollaro rappresenta ancora quasi il 60% delle riserve monetarie mondiali. Il 48% dei pagamenti internazionali attraverso lo SWIFT, la piattaforma dominante per i pagamenti internazionali, è in dollari, così come il 90% di tutte le operazioni di cambio.
Il fatto che ci siano delle sperequazioni tra la forza dell’economia statunitense e il ruolo del dollaro a livello globale o che l’economia Usa perda dei punti percentuali rispetto al pil globale non può essere una colpa da imputare al resto del mondo.
Il problema si pone quando alcuni paesi sono sottoposti a sanzioni talmente forti da escluderli quasi totalmente dai commerci internazionali. Oppure quando simili sanzioni sono ventilate come minaccia nei confronti di altri paesi che semplicemente non vogliono essere trattati come dei sudditi o delle colonie. Spesso sono gli stessi paesi che si sono da poco liberati dal giogo coloniale inglese o francese.
Soprattutto dopo la grande crisi finanziaria del 2007-9, i paesi emergenti, le cui economie sono state colpite duramente per cause a loro non imputabili, hanno cercato pragmaticamente di creare dei percorsi monetari e finanziari alternativi. I paesi Brics, ma non solo, hanno iniziato a utilizzare le monete nazionali nella gestione dei propri commerci internazionali. A volte si utilizzano persino accordi di baratto, lo scambio di merce contro merce, per limitare l’uso del dollaro o dell’euro soltanto per saldare la differenza di valore rimasta. In gioco c’è anche l’eventuale utilizzo dell’oro come moneta di scambio e di riserva a sostegno delle proprie valute.
I Brics e altri paesi emergenti stanno lavorando anche per la creazione di piattaforme indipendenti condivise e anche decentralizzate per le transazioni finanziarie. Non sono contro lo SWIFT, ma sono delle alternative qualora rimanessero esclusi dal sistema dominante. Si tratta di un inevitabile atto di difesa, non di attacco.
Al riguardo, all’interno dei Brics l'India ha evidenziato la sua piattaforma per i pagamenti, la Unified Payment Initiative (Upi), che è già stata adottata da diverse nazioni in tutto il mondo come Francia, Emirati Arabi Uniti, Malesia, Singapore, Bhutan e Sri Lanka.
Stanno pensando anche a una moneta di conto per agevolare le transazioni commerciali e finanziarie interne al gruppo. Non a una valuta alternativa. Si tratta di una soluzione come quella che noi in Europa abbiamo fatto con l’ecu, prima della realizzazione dell’euro.
L’euro è stato possibile perché per cinquant’anni i paesi europei avevano lavorato intensamente per creare il mercato economico comune e la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali. E’ qualcosa che non esiste in nessun’altra parte del mondo. Al riguardo non possiamo dimenticare che gli Usa non hanno mai visto di buon occhio la creazione dell’euro. Si ricordi, per esempio, anche l’aperta ostilità americana nei confronti di alcuni paesi arabi dell’Opec che avrebbero voluto valutare e commerciare in euro il petrolio e il gas da loro prodotti.
Valga per tutti la recente dichiarazione del Ministero degli Esteri dell’India: "I Brics prendono decisioni attraverso il metodo del consenso e per quanto riguarda il dollaro, la questione della de-dollarizzazione, non abbiamo una politica o una strategia del genere".
Minacce, ricatti e dazi non fanno parte di una corretta relazione politica e commerciale tra gli Stati! (mario lettieri*-paolo raimondi**\aise)
*già sottosegretario all’Economia
**economista