Giornata intensa all’Onu: l’Italia tra diplomazia e aspettative – di Gabriella Ferrero

NEW YORK\ aise\ - Nel suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente statunitense Donald Trump ha riservato dure critiche contro l’Europa, in particolare sul tema dell’immigrazione, della politica energetica e del rispetto della sovranità nazionale; la retorica di Trump è risultata un monito per molti leader europei.
Trump ha criticato le politiche migratorie europee, sostenendo che indeboliscono la stabilità del continente; ha contestato l’impegno verso l’energia verde definendolo un azzardo che espone i Paesi a crisi energetiche; e ha puntato il dito contro l’importazione di gas e petrolio russo. Affermazioni che hanno suscitato reazioni immediate tra i diplomatici e delegati presenti, alcuni visibilmente sorpresi, altri già pronti a rispondere nei propri interventi.
Il tono di Trump ha confermato – ancora una volta – la volontà di immaginare un’Europa sotto pressione, e vulnerabile alle sue critiche.
Tra i capi delegazione e gli osservatori stranieri, non tutti hanno preso parola: alcuni Stati si sono mantenuti silenti, evitando di entrare direttamente in polemica, preferendo attendere il proprio spazio d’intervento. Tuttavia, si è percepita una certa irritazione per il tono “imperativo” con cui il presidente Trump ha rivolto richieste generiche, senza distinguere tra realtà nazionali così diverse come Grecia, Italia, Spagna, Polonia o Germania.
È inevitabile che, in questo contesto, molti occhi si volgeranno all’Italia e alla premier Giorgia Meloni, che in questi mesi ha coltivato relazioni diplomatiche importanti con l’amministrazione statunitense. Meloni dovrà ora trovare un equilibrio delicato: da un lato, proteggere gli interessi nazionali italiani (in particolare sul fronte energetico e commerciale), dall’altro evitare di presentarsi come un tramite subalterno tra Washington e Bruxelles.
Ieri, sul tavolo dell’ONU, è emersa con forza anche la questione palestinese, con sviluppi che mettono in luce divergenze tra i Paesi europei e la linea seguita da Giorgia Meloni.
Alcuni Stati europei (tra cui Francia, Regno Unito, Canada, Australia) hanno recentemente riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina. Nel frattempo, l’Italia – per voce della Premier Meloni – ha dichiarato che non è contraria al riconoscimento, ma che esso dovrebbe essere subordinato a due condizioni: il rilascio degli ostaggi e l’esclusione di Hamas da qualsiasi forma di governo in Palestina. Meloni ha spiegato che riconoscere uno Stato che “non esiste concretamente” potrebbe essere “controproducente”, sostenendo che un riconoscimento fine a se stesso rischi di dare l’impressione che il problema sia risolto quando non lo è.
Altri rappresentanti europei, come Macron, difendono il riconoscimento affermando che non significa ignorare gli attacchi di Hamas, ma che deve essere parte di una soluzione politica più ampia, con impegni concreti per la pace.
La giornata all’ONU ha confermato che, sul palcoscenico globale, il rapporto tra Stati Uniti ed Europa resta in bilico, oscillando tra accuse, richieste e tensioni. La questione palestinese, in particolare, appare come uno specchio delle fratture attuali: tra chi spinge per azioni simboliche forti, tra chi chiede garanzie reali, e tra chi ritiene che il riconoscimento debba venire con condizioni precise.
L’Italia è chiamata a pronunciarsi con maggiore chiarezza: non solo per difendere i propri interessi, ma anche per essere parte credibile di un’Europa che vuole apparire unita, e coerente nelle sue scelte internazionali. (gabriella ferrero\aise)