La stabilità politica del Messico non rassicura la qualità del suo sistema democratico – di Livio Zanotti

ROMA\ aise\ - “C’è qualcosa (…ovvero più d’una) che non va, nella messianica e festosa predizione dei sondaggi d’opinione per la grande giornata elettorale dell’imminente 2 giugno in Messico. Lasciano in penombra realtà crudeli, troppe. Oltre al presidente della nazione, la più numerosa folla di votanti della sua storia (cento milioni, in maggioranza giovani e donne) sceglie 20mila tra parlamentari nazionali, governatori e amministratori locali: un ricambio tanto esteso quanto immerso in verità oscurate. Sorprendono e generano perplessità le percentuali del 70 e fino all’80 per cento quasi unanimemente attribuite dai sondaggi alla candidata dell’attuale coalizione di governo, Claudia Sheinbaum. Non per lei, figura degnissima: docente d’ingegneria nucleare d’esperienza internazionale, sindaca della capitale, ambientalista, nata 61 anni fa da una famiglia ebraica originaria dell’Europa orientale. E neppure per l’esito personale di Andrès Manuel Lopez Obrador, 70, AMLO (lo chiamano tutti), che, impedito dalla Costituzione a ricandidarsi, se ne va con un favore superiore a quello con cui 6 anni fa è stato nominato al vertice dello stato e lascia un proprio delfino”. A scriverne è Livio Zanotti in questo pezzo pubblico sul suo blog dove si occupa di Italia e America Latina.
In questione è il contesto (avrebbe detto Leonardo Sciascia). Lontani, tanto da essere dimenticati, i tempi in cui da San Diego, Yuma, Maverick andare a cena oltre frontiera per gustare tacos, tortillas, ostriche o pesce alla basca era niente più d’una gita fuori porta. E l‘aguardiente un innocente brivido. Se a qualche americano della California, dell’Arizona o del Texas viene in mente adesso una fantasia del genere, è più probabile che sia per provare a metà prezzo l’anestesia farneticante del fentanilo o di altre droghe sintetiche, che da tempo hanno sostituito in gran misura mariguana e coca. I dati correnti disponibili dicono che il consumo clandestino di stupefacenti negli Stati Uniti è più che raddoppiato negli ultimi 20 anni (non dissimili sono quelli europei), gonfiando in pari misura portafogli e potere politico di produttori e narcotrafficanti sulla sponda opposta del rio Bravo. Tutti i governi li combattono o fingono di farlo, ma a vincere una battaglia dopo l’altra con migliaia di vittime è la corruzione. Che umilia i diritti dei singoli cittadini e marcisce lo stato di diritto. L’Economist ha declassificato il Messico da “democrazia difettosa” a “regime ibrido”.
È stata un’erosione violenta, sanguinosa, inarrestata. Determinante il continuismo del Partido Revolucionario Institucional (PRI), endemicamente corrotto. Josè Lopez Portillo negli anni Settanta, quando tuttavia il Messico era ancora terra di asilo per i perseguitati latinoamericani, Carlos Salina de Gortari fino al nuovo millennio e infine Enrique Peña Nieto, hanno presieduto le epoche più torbide. Non è cambiato molto con i tradizionalisti cattolici del PAN, Vicente Fox prima e poi Felipe Calderon, malgrado privatizzazioni e stimoli agli investimenti. Meglio AMLO, per l’economia; sebbene restino dubbi sulla reale entità del debito pubblico e più precisamente di quello accumulato dalle aziende di stato, in particolare della petrolifera Pemex. La sua retorica populista di “prima i poveri” non ha modernizzato il sistema produttivo. Ha però razionalizzato le gigantesche risorse pubbliche, migliorato le condizioni dei lavoratori agricoli; non la sicurezza nelle campagne e meno ancora nelle periferie urbane. Su queste ha fatto campagna la candidata dell’opposizione, la senatrice del PAM Xòchitl Galvez, 60, ingegnera elettronica. Ma i pronostici le danno pollice verso.
I social media mostrano un Messico convinto che il suo primo presidente donna (novità clamorosa per il paese più machista del continente) sarà Claudia Sheinbaum. L’interrogativo prevalente è come se la caverà con l’infida eredità del predecessore. AMLO ha convissuto abilmente con le contraddizioni ricevute, senza combatterne apertamente nessuna. Non ha intaccato l’egemonia delle elitès, non ha indicato una via di riscatto alle misere plebi che tumultuosamente premono per emigrare negli USA, ha patteggiato con i poteri forti in cambio d’un guardingo auto-contenimento. Emblematico il caso dell’Esercito, del quale ha potenziato ed esteso al massimo l’autorità: affidandogli anche il comando della Guardia Nazionale e facendolo diretto appaltatore delle infrastrutture pubbliche con un proprio bilancio finanziario. Pillole a dir poco avventurose di corporativismo. Con centinaia di omicidi e di desaparecidos, molte decine dei quali giornalisti, che restano impuniti. Pur rispettoso delle forme, AMLO non ha tuttavia mai mostrato di gradire le critiche della grande informazione. E con l’economia che rallenta all’1,6%, niente sarà meno difficile per chi gli succede”. (aise)