Tajani a “La Stampa”: i soldati italiani con l’Onu a Gaza per costruire lo Stato di Palestina

ROMA\ aise\ - ““Lui mi ha chiesto: cosa proponete? E io gli ho detto: aspettate il vertice del 15 agosto e poi decidete. La chiave di tutto è il cessate il fuoco a Gaza. Se viene decretato, lo scenario potrebbe cambiare profondamente. Potrebbe essere più chiaro a tutti nella regione che è il momento di fermare questa continua escalation militare”. Il ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani ricostruisce con La Stampa la telefonata di quaranta minuti avuta l’altro ieri con il collega iraniano Ali Bagheri Kani. Mancano 24 ore al vertice che discuterà la proposta formalizzata da Qatar, Egitto e Stati Uniti: potrebbe esserci una svolta o tutto, invece, potrebbe precipitare irrimediabilmente. Tajani legge la notizia di un missile di Hamas lanciato su Tel Aviv mentre fuori dalla finestra di casa, a Fiuggi, guarda la tempesta di vento che minaccia di sradicare gli alberi: e sembra una perfetta immagine per raccontare quest’estate dei due fronti di guerra”. Ad intervistare il Ministro è stato Ilario Lombardo per “La Stampa”. Di seguito la versione integrale dell’intervista.
D. Ci racconti meglio la telefonata con il ministro iraniano.
R. Teheran rivendica il diritto di rispondere a Israele. Io ho messo in guardia Ali Bagheri Kani. Molto è nelle mani dell’Iran, che deve decidere se aspettare o meno. Gli ho suggerito, almeno, di non prendere decisioni prima del 15. Se attaccano prima salta l’accordo, e si rischierebbe il caos. Il cessate il fuoco a mio avviso farebbe venire meno le ragioni dell’attacco, se è vero che interesse degli iraniani è Gaza, e avviare una nuova dinamica politica in Medio Oriente.
D. Ali Bagheri Kani le è sembrato disponibile?
R. Insomma, non mi ha risposto.
D. Non proprio rassicurante.
R. Ma no, queste sono ore in cui può succedere di tutto. Siamo in contatto continuo con gli alleati e con le nostre ambasciate. Finché c’è spazio per le trattative, c’è speranza.
D. Nel comunicato rivolto all’Iran di Gran Bretagna, Germania e Francia, però l’Italia non era presente. Perché?
R. Ci sono tante iniziative, a diversi livelli. Quei tre Paesi fanno parte del blocco europeo che tratta sul nucleare iraniano. Non era una nota per escludere qualcuno. E comunque poche ore dopo Joe Biden ha chiamato anche Giorgia Meloni e la Casa Bianca ha diffuso un altro comunicato congiunto, ben più importante.
D. Perché non prendere l’iniziativa come presidenza italiana del G7?
R. Lo abbiamo fatto. Io ho presieduto una riunione straordinaria dei ministri del G7 il 4 agosto.
D. L’Italia ha un tradizionale canale di comunicazione con Teheran. Lo state sfruttando? Meloni lo ha attivato?
R. La premier ha sentito pochi giorni fa il presidente Masoud Pezeshkian. L’Italia mantiene sempre vive le relazioni con la Repubblica islamica, al punto che noi – con la nostra ambasciata – rappresentiamo anche il Canada. E gli americani si fidano molto della nostra capacità di dialogo.
D. Concretamente cosa può fare l’Italia?
R. A settembre, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, proporrò a livello G7 un progetto per la ricostruzione non solo umanitaria ma politica ed economica di Gaza. L’Italia è pronta a inviare un contingente per lavorare – nella transizione che dovrà essere gestita dall’Onu e guidata dai paesi arabi – alla nascita di uno Stato palestinese, unificando la Striscia e la Cisgiordania. Ma il nostro interlocutore può essere solo l’Anp, non Hamas. Nel frattempo, gli Stati Uniti ci hanno chiesto di usare i carabinieri per addestrare una forza di sicurezza palestinese adeguata.
D. Perché allora non cominciate riconoscendo lo Stato di Palestina, come hanno fatto altri Paesi, tra cui la Spagna?
R. Siamo favorevoli allo stato di Palestina. Ma bisogna offrire una prospettiva concreta al popolo palestinese. Come facciamo a riconoscere uno stato finché c’è Hamas che controlla una larga parte della Palestina e sostiene di voler distruggere Israele? Altri lo hanno riconosciuto, e cosa è cambiato?
D. È anche una forma di solidarietà morale e politica.
R. Ecco, noi non vogliamo dare uno schiaffo morale a Israele in questo momento, ma vogliamo portarli a un negoziato per rendere concreta la formula “due popoli, due Stati”.
D. Non siete troppo morbidi con il governo di destra di Netanyahu che parla di “vittoria totale a Gaza”?
R. La posizione italiana è chiara. Stiamo con Israele, ma come si fa con gli amici li abbiamo invitati a rispettare il diritto internazionale. Io stesso mi raccomandai con loro, durante il primo viaggio in Israele dopo il 7 ottobre, di avere una reazione proporzionata.
D. Non l’hanno ascoltata.
R. Io non condivido chi, nel governo israeliano, dice che bisogna affamare due milioni di palestinesi a Gaza. Ma ricordo che Hamas ha usato la popolazione civile in un gioco politico molto sporco. L’attacco combinato da Gaza e dal Libano, da parte di Hezbollah, è sempre stato finalizzato a boicottare gli accordi di pace tra Israele e i Paesi arabi.
D. Meloni ha sentito Netanyahu, e dalla sua nota par di capire che gli abbia chiesto di evitare un’escalation nella zona Sud del Libano dove ci sono i militari italiani.
R. Anche Hezbollah deve evitare il peggio, e smettere di lanciare missili. Comunque, se necessario saremo pronti all’evacuazione dei civili italiani.
D. L’altro fronte di guerra che preoccupa è quello in Ucraina. Kiev ha lanciato il contrattacco in territorio russo. Il ministro della Difesa Guido Crosetto e altri esponenti di primo piano della maggioranza, di FdI e Lega, hanno criticato questa scelta. C’è un disimpegno italiano?
R. Assolutamente no. La linea la dà il governo. E la posizione è sempre quella esposta in Parlamento: noi siamo dalla parte dell’Ucraina, che è l’aggredito, ma non siamo – né come Paese, né come Nato – in guerra contro la Russia. Mai manderemo truppe, per intenderci. Pur comprendendone le ragioni di difesa, le armi inviate dall’Italia non possono essere usate fuori dall’Ucraina.
D. Ma come fate a sapere se le usano?
R. Ci sono accordi e protocolli scritti che accompagnano queste forniture. È previsto, anche a livello di Ue, che ogni singolo Stato possa decidere autonomamente i limiti nell’utilizzo di queste armi. Servono delle specifiche autorizzazioni a un uso diverso, che è quello che infatti sta chiedendo il presidente Volodymyr Zelensky. Gli americani, per esempio, hanno dato un loro via libera ma limitato ad alcune operazioni. L’Italia invece non permette di usarle fuori dal territorio ucraino. Ce lo dovrebbero chiedere, e lo sanno.
D. Ma non è un po’ ipocrita sostenere la legittimità della difesa, considerando comprensibile il contrattacco, e poi non permettere l’uso delle armi?
R. Ma guardi che è la stessa tipologia di armamento – il sistema anti-missile Samp T- che è di natura difensiva.
D. Quindi l’Italia non invia anche altri missili, come gli Storm Shadow, prodotti assieme ai britannici?
R. Come sa, le dotazioni sono secretate. E le armi vanno usate dentro i confini dell’Ucraina. Il resto è solo polemica dei partiti di opposizione, utile a coprire le loro divisioni.
D. Be’, anche la maggioranza è divisa. E Meloni non ha detto una parola.
R. Ma non è che deve ribadire la nostra linea ogni giorno. Non abbiamo nessun tentennamento, come ho dimostrato durante l’incontro con il mio collega elvetico.
D. Ha chiesto che la prossima conferenza di pace, dopo quella organizzata dalla Svizzera, sia allargata anche a Russia e Cina.
R. Potrebbe toccare all’Arabia Saudita provarci. Sarebbe un passo in avanti. Lo ha chiesto anche Zelensky.
D. Vorrebbe dire aprire un canale con Vladimir Putin?
R. Nessun “canale”. Arrivare a uno stallo sul terreno militare potrebbe convincere la Russia a trattare seriamente. Non ci sarà nessun cedimento sul rispetto dell’integrità dell’Ucraina. Altrimenti, non si tratterebbe più di una conferenza di pace, ma di resa”. (aise)