Tajani al Corriere della sera: “La politica estera? La fa la premier con me”

ROMA\ aise\ - “Forza Italia è stata, è e sarà “sempre europeista”, e se ci fossero tentazioni contrarie nel governo “noi non ne faremmo parte. Perché siamo leali, ma sui nostri principi nessun cedimento”. Antonio Tajani non alza la voce perché non è sua abitudine, ma è fermissimo nel rimarcare il posizionamento del suo partito in una fase in cui le divisioni nella maggioranza sulla politica estera ed europea sono ben visibili”. Così scrive Paola Di Caro che, all’indomani delle dichiarazioni di Salvini sul suo prossimo incontro con il vicepresidente Usa, Vance, ha intervistato il Ministro per il “Corriere della sera” che l’ha pubblicata nell’edizione di ieri.
D. Votate allo stesso modo in Parlamento ma continuate a parlare lingue diverse, soprattutto FI e Lega. Come fate a dare al mondo una posizione chiara
R. L’ho detto e lo ribadisco: la politica estera la fanno il presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri, non i partiti. Il governo, in quanto tale, ha sempre deliberato assieme e la maggioranza ha votato unita, a differenza dell’opposizione che si è divisa con cinque mozioni diverse.
D. Ma se la politica estera la fate voi, perché Salvini andrà a incontrare il vicepresidente Usa Vance?
R. Ognuno è libero di parlare con chi vuole, ma questo non significa che non ci sia una linea di governo. E ripeto, al di là delle dichiarazioni di alcuni esponenti, che restano tali, la linea di questo governo è chiarissima. Non contano gli slogan ma i contenuti.
D. Quindi lei e la premier siete in perfetto accordo?
R. Se ci fossero problemi ne parlerei con lei, ma come abbiamo detto FI le ha dato pieno mandato di decidere in Europa sul piano di difesa europea di von der Leyene infatti la presidente Meloni ha votato sì, sostenendo una linea pienamente europeista. Quella che è la nostra. Se così non fosse, non potremmo governare assieme. Conta che si stanno facendo i primi passi per quello che era il grande sogno di Berlusconi: una difesa unica europea e riforme istituzionali dell’Unione.
D. Con molti distinguo…
R. Il piano non è qualcosa che si attua in 30 giorni: prevede passaggi, tempi di mesi, per arrivare a un ipotetico esercito europeo di molti anni. E ci sono ancora parecchi punti da definire, come i finanziamenti. Noi abbiamo detto con nettezza che non utilizzeremo i fondi di coesione e le spese saranno scorporate dal rapporto deficit/Pil, così come abbiamo assicurato che arriveremo al 2% del Pil per finanziare gli obblighi Nato. Altri Paesi ci sono arrivati, noi dovremmo arrivarci.
D. Salvini, M5S, Avs dicono che i soldi che dovrebbero andare alla difesa potrebbero benissimo essere usati per far star meglio gli italiani.
R. Si deve spiegare bene cosa si intende per difesa: quando le nostre navi militari difendono il Mar Rosso e permettono il libero transito dei mercantili, e che quindi il commercio e il nostro export funzionino regolarmente, cosa stanno facendo se non il bene degli italiani? E quando si spende in cybersicurezza, ovvero nella difesa di aziende, produzione, commercio e anche dello Stato, questo non è fare il bene dei cittadini? Non compreremmo armi per collezionarle, la difesa è una cosa seria. E bisogna prendere atto della realtà.
D. Quale sarebbe?
R. Che il mondo sta cambiando, che i due pilastri su cui si fonda la Nato, europeo e americano, devono continuare a collaborare con uno sforzo maggiore dell’Europa. Se non ci prepariamo a difenderci anche da soli, in futuro nessuno lo farà per noi. Se non avessimo aiutato l’Ucraina, avremmo fatto molto male ai nostri cittadini europei, esponendoli a pericoli. Facile dire “anziché spendere in porte blindate e grate alle finestre, spendiamo in bende e medicine”. Ma se ti rubano in casa poi si prendono anche le bende e le medicine. Non usiamo argomenti semplicistici, il tema è molto serio.
D. Come l’europeismo: perché Meloni ha attaccato il Manifesto di Ventotene?
R. Veramente la premier non ha attaccato Spinelli, al quale va tutto il nostro rispetto. Ha detto che quella non è la sua Europa. Considero quel manifesto un contributo per l’Europa, anche se poi dico che il mio riferimento è l’esempio di De Gasperi, Adenauer, Schuman. Ma per favore, chiudiamo questa parentesi, non utilizziamo i padri dell’Europa per uno scontro che oggi non ha nessuna ragione di essere rispetto alle sfide poderose e alle decisioni che dovremo prendere insieme per l’Italia e per l’Europa.
D. Tema dazi: lei è stato accusato dal capogruppo del Pd al Parlamento europeo Zingaretti di dire cose da “campo della psichiatria”.
R. Sono stato molto colpito. Io non ho mai attaccato un avversario politico dicendo che è “matto”, mai insultato nessuno. Sembrano davvero metodi da Urss stalinista, dove finivi nei gulag o in manicomio se sostenevi tesi diverse dal partito. Tutto è contestabile, ma sul piano dei contenuti, non della persona.
D. Lei sostiene che non si deve per forza boicottare o alzare dazi sulle merci americane per rispondere alle azioni ostili di Trump. Un po’ debole come proposta?
R. Non dobbiamo essere aggressivi, a parole, preventivamente. Le “armi” che vanno usate su questo terreno non devono essere tali da esploderci in mano. Io non faccio la guerra a Trump o Biden, sono concreto, penso agli interessi dei nostri imprenditori. Mettere dazi, ad esempio, sul whisky Usa sarebbe sbagliato perché a catena porterebbe gli americani a metterli sui nostri vini, il cui export in proporzione è notevolmente più alto. Che senso avrebbe? Bisogna essere intelligenti e cauti su queste materie. Vedremo come l’Europa saprà rispondere, e bene ha fatto il commissario al commercio Sefcovic, che ho incontrato due volte in questi giorni, a dire che dopo il 2 aprile ci prenderemo due settimane per decidere sui dazi Usa. E abbiamo inviato una nostra missione tecnica a Washington. Questo è il metodo. E sono pronto a confrontarmi con tutti, di maggioranza e opposizione, su questi temi, perché li conosco e credo di sostenere tesi equilibrate. Ma sul piano degli insulti non scendo e scenderò mai”. (aise)