A Bologna “L'album inedito di Giacomo Savini. La pittura di paesaggio”

BOLOGNA\ aise\ - Dal 18 ottobre scorso e sino al 23 marzo 2025 il Museo Davia Bargellini di Bologna ospita la mostra dossier “L’album inedito di Giacomo Savini. Pittura di paesaggio”, che, promossa dai Musei Civici d’Arte Antica del Settore Musei Civici Bologna, in collaborazione con la Fondazione Opera Pia Davia Bargellini, è allestita nella sede del Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, dove è conservato un importante nucleo di oli e tempere di Giacomo Savini (Bologna, 1768-1842).
Curata da Mark Gregory D’Apuzzo e Ilaria Chia, con Ilaria Negretti, la rassegna costituisce una preziosa occasione per far riemergere la consistenza qualitativa di un artista poco noto, la cui feconda produzione come pittore di quadri da cavalletto e decoratore di deliziose stanze paese può annoverarsi tra gli esiti più pregevoli della scuola dei paesisti felsinei tra Settecento e Ottocento.
Di questa gloriosa tradizione, nel clima neoclassico della seconda metà del Settecento, l’esponente più abile e ammirato fu Vincenzo Martinelli (Bologna, 1737-1807), il cui successo gli valse l’accesso ai più prestigiosi incarichi presso l’Accademia Clementina.
Nella sua frequentatissima bottega prese avvio il precoce impegno di Savini nel campo della decorazione in numerosi palazzi di città e ville di campagna delle nobili famiglie, al fianco di altri allievi destinati a distinguersi tra i più apprezzati pittori di paesaggio per originalità di stile e vivacità esecutiva: Giuseppe Termanini (Bologna, 1759-1850), Luigi Busatti (Bologna, 1763-1821), Gaetano Filippo Tambroni (Bologna, 1763-1841), Rodolfo Fantuzzi (Bologna, 1779-1832), Gaetano Burcher (Bologna, 1781-1828) e Ottavio Campedelli (Bologna, 1792-1862).
A ricollocare Giacomo Savini - già definito “il più intelligente e colto rappresentante della scuola martinelliana” - tra le personalità di primo piano nella storia bolognese del genere paesaggistico giunge il progetto di questa iniziativa espositiva, che scaturisce da una recente ricerca di Ilaria Chia, la prima organicamente condotta, su una cartella di 141 disegni, conservata nell’archivio storico della Fondazione Opera Pia Davia Bargellini e già ritenuta di grande interesse da esperti e studiosi.
Si tratta per lo più di studi originali dal vero di paesaggi visitati dall’autore nelle sue frequenti escursioni nel contado bolognese, giardini fantastici con monumenti di tipologia classica, riproduzioni di scene teatrali, schizzi per “boscherecce” e affreschi da interni, che attraversano tutti gli aspetti di una poliedrica attività sapientemente condotta tra scenografia, decorazione e vedutismo.
Può dunque configurarsi come esito di uno studio approfondito a lungo auspicato e ora compiutamente consolidato la presentazione, per la prima volta a un pubblico di non soli specialisti, di ventidue vedute a penna acquerellata selezionate da questo nucleo sostanzialmente inedito, se si eccettua la riproduzione di pochi esemplari su pubblicazioni di settore risalenti a diversi decenni fa.
I fogli esposti, “attenti e meticolosi”, testimoniano come Savini seppe interpretare il genere del paesaggio con una nuova attenzione al vero. L’interesse per il dato di natura trasfigurato in una composizione di impianto scenografico, in cui si coglie ancora viva l’incidenza della sensibilità neoclassica con particolare riferimento al tardo temperismo di Martinelli, evolve nel periodo della maturità verso la propensione per una rappresentazione della realtà contingente influenzata dalle prime esperienze di pittura en plein air dei più aggiornati paesaggisti europei, avvicinandone il timbro pittoresco a suggestioni protoromantiche.
Nel mutare del sentire artistico in un contesto sociale ed economico che viene lentamente modernizzandosi, la vocazione descrittiva della natura campestre di Savini è sostenuta da una assidua pratica di osservazione dell’Appennino bolognese - così come della campagna romana e del Centro Italia - che gli consente di cogliere in presa diretta borghi, pievi e luoghi abbandonati, riportando sulla carta una vasta gamma di suggestioni. Le impressioni ricavate dal vero, e affidate a uno schizzo realizzato sul momento, vengono riprese nelle composizioni da cavalletto o in imprese più impegnative come i cicli decorativi realizzati per illustri residenze.
Osserva Ilaria Chia, nel suo testo riprodotto nella pubblicazione che accompagna la mostra, come “la rappresentazione del quotidiano costituisce il punto di arrivo della poetica di Savini”. L’interesse per la dimensione locale porta l’artista a fissare lo sguardo sulla vita quotidiana e su soggetti all’epoca ritenuti troppo modesti per essere rappresentati. Un mondo povero ma descritto con sentimento attraverso dettagli e scorci umili che scandiscono il trascorrere monotono della vita di tutti i giorni: i muri sbrecciati e invasi dai rampicanti, i lavatoi dove le donne si recano per fare il bucato, i vasi alle finestre, i panni stesi ad asciugare al sole. L’orizzonte stilistico ormai privo di idealizzazione segna la fine del mito arcadico di ispirazione poetica del locus amoenus.
L’ordinamento del percorso espositivo si basa sulla suddivisione delle vedute in cinque tipologie tematiche: Luoghi di delizie, Bologna e dintorni, Appunti di viaggio, Scorci quotidiani e Confronti. Sono ricomprese in quest’ultimo raggruppamento anche dieci opere pittoriche di Savini (di cui due “paesaggi da camera” a pastelli, a lungo assegnati a Rodolfo Fantuzzi ma da attribuirsi alla mano di Savini secondo la tesi avvalorata da Vincenzo Nascetti), visibili nella sale 1 e 6 del museo, oltre che a un Paesaggio ideale da collezione privata.
Oltre alla rara opportunità di vedere opere diversamente inaccessibili, va rimarcato come un più ampio elemento di interesse dell’evento espositivo risieda nella valorizzazione delle testimonianze dello sviluppo della cultura artistica bolognese nel genere paesaggistico presenti nelle collezioni permanenti del Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini. Insieme allo stesso Giacomo Savini, vanno menzionati almeno Gaetano Termanini, Gaetano Tambroni, Rodolfo Fantuzzi, Giambattista Bassi e il maestro Vincenzo Martinelli, di cui sono segnalate, all’interno del percorso di mostra, sei tempere su tela, unitamente a due oli su rame attribuiti alla sua bottega.
Al centro dell’intreccio tra la Fondazione Opera Davia Bargellini, il Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini e Giacomo Savini si colloca da protagonista il marchese Giuseppe Davia Bargellini (Bologna, 1804 - ivi 1874), ultimo discendente di due importantissime famiglie senatorie bolognesi, nonché custode di un ingente patrimonio immobiliare e di una delle più prestigiose quadrerie cittadine, composta da dipinti dal XIV al XVIII secolo, che costituisce uno dei due nuclei patrimoniali originari del museo.
Alla sua disposizione testamentaria si deve la costituzione nel 1876 dell’istituto di beneficenza da cui prende il nome, con finalità di sostegno all’istruzione dei bambini bisognosi e di fruizione pubblica dei beni di interesse artistico. Egli fu legato a Savini da una reciproca stima e da una stretta consuetudine di frequentazione, come attesta la commissione della grandiosa stanza paese IN AGRESTIA PINGENDO NULLA SECUNDO realizzata nel 1834 nel Palazzo Davia Garagnani a Bologna.
Grande estimatore delle belle arti, il nobile bolognese è figura di spiccato interesse non solo in quanto collezionista che riflette il gusto ricercato di una committenza impegnata e colta ma anche come, egli stesso in età giovanile, pittore dilettante di vedute e paesaggi che attestano un’adesione ai modelli convenzionali della scuola bolognese, e in particolare proprio di Savini.
Oltre ad una raccolta di disegni e schizzi in fogli sparsi e taccuini, della sua produzione artistica si conservano quattro piccoli paesaggi realizzati su lastre di zinco e ottone, esposti nella sala 4 del museo, e alcune opere pittoriche di proprietà privata, tra le quali le due pregevoli miniature della collezione Vincenzo Nascetti che completano l’impaginazione dell’evento espositivo.
Destinato a diventare un riferimento bibliografico imprescindibile sull’opera di Giacomo Savini è il catalogo edito da White Book. e realizzato grazie al generoso contributo della Fondazione Opera Davia Bargellini, che contiene saggi critici di Mark Gregory D’Apuzzo, Ilaria Chia e Ilaria Negretti, le schede dei 22 disegni esposti e la riproduzione di tutti i 141 disegni inclusi nell’album inedito.
A suggellare la meritevole riconsiderazione della vicenda artistica di Giacomo Savini, nell'ambito della rassegna Il secolo dei Savini è inoltre previsto un ciclo di conferenze di approfondimento in collaborazione con il Museo Ottocento Bologna, dove dal 18 ottobre 2024 al 3 marzo 2025 è visibile la mostra Dinastia Savini. Giacomo (1768 - 1842), Alfonso (1838 - 1908), Alfredo (1868 - 1924), a cura di Francesca Sinigaglia e Ilaria Chia, che ripercorre le vicende artistiche dei membri della famiglia Savini, da Giacomo al nipote Alfonso (Bologna, 1836 - ivi, 1908) fino al figlio di quest’ultimo Alfredo (Bologna, 1868 - Verona, 1924). (aise)