A Brescia la mostra diffusa di Giuseppe Bergomi

BRESCIA\ aise\ - Dal 12 luglio scorso e sino al 1° dicembre Brescia celebra Giuseppe Bergomi (1953), artista bresciano tra i maggiori esponenti della scultura figurativa contemporanea, con una retrospettiva diffusa tra i chiostri di San Salvatore e di Santa Maria in Solario del Museo di Santa Giulia e le sale del Grande miglio in Castello.
Giuseppe Bergomi. Sculture 1982 / 2024”, curata da Fondazione Brescia Musei, si compone di 84 opere in terracotta e in bronzo, realizzate lungo l’arco di tutta la carriera dell’artista.
La mostra si inserisce nel più ampio progetto dedicato alla scultura negli spazi del Castello di Brescia che Fondazione Brescia Musei ha inaugurato con la mostra “Davide Rivalta. Sogni di gloria”, individuando proprio in questo luogo iconico uno spazio da riservare alla valorizzazione dell’arte plastica, in vista della prossima inaugurazione di un itinerario di sculture all’aperto dedicato a Bruno Romeda e al suo compagno e collega Robert Courtright.
In Santa Giulia, invece, il dialogo con gli spazi del Corridoio Unesco si pone in ideale continuità con l’esperienza di Palcoscenici archeologici, che ha portato negli ultimi tre anni artisti quali Francesco Vezzoli, Emilio Isgrò e Fabrizio Plessi a confrontarsi con le architetture del complesso monumentale di Santa Giulia e del Parco Archeologico.
Incipit e premessa del percorso, ordinato cronologicamente, è il 1978, anno in cui Bergomi, fresco di diploma all’accademia di Brera, esordisce alla Galleria dell’Incisione di Brescia con una mostra di soli dipinti, uno dei quali, Lione 1958, un quadro quasi iperrealista che cristallizza tre generazioni - l’artista da bambino, il padre e la nonna -, apre anche l’attuale rassegna.
Il momento cruciale, capace di dare una svolta alla sua storia professionale e di convincerlo a lasciare la pittura per la terza dimensione fu la mostra Les realismes 1919-1939 al Centre Beaubourg di Parigi, che, com’ebbe modo di dire lo stesso Bergomi, “mi permise di capire che ero caduto in un equivoco”.
La sua parabola nell’ambito della scultura ebbe quindi inizio nel 1982, con una personale ancora alla Galleria dell’Incisione, dove propose la prima serie di terrecotte policrome, composta da lavori intellettualmente maturi, ma tecnicamente ancora bisognosi di studio e di approfondimento. In mostra, oggi, si possono ammirare alcune di queste opere, caratterizzate dalla ricorrente presenza come modella di Alma Tancredi, moglie, musa e collega artista, soggetto che diventerà una costante – come le figlie Valentina e Ilaria – della sua ricerca fino ai giorni recenti, e che sottolinea l’importanza dell’aspetto biografico in ogni creazione di Bergomi.
L’esposizione prosegue con la fase in cui, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta del secolo scorso, le terrecotte di Bergomi perdono il colore. L’artista riprende in questo modo la tradizione scultorea millenaria che affonda le sue radici nella plastica antica, in particolare quella etrusca, nel tentativo di ricostruire, attraverso la plasticità della terra, una forma organica. Appartengono a questo periodo opere come Bagnante addormentata (1991), Grande nudo di adolescente (1991) o alcuni ritratti delle figlie Valentina e Ilaria, dove la figura umana è in bilico fra il realismo della rappresentazione e la proiezione dei soggetti in una dimensione astratta, densa di rimandi simbolici.
Nella sua pratica creativa, Bergomi, che lavora sempre dal vivo, annota plasticamente tutti i dettagli anatomici e personali delle sue modelle e modelli con una precisione quasi ossessiva, cogliendone ogni difetto, ma anche la loro fragile bellezza.
Tra i soggetti più frequentati, le figure di adolescenti sono quelle che forse più di tutti nascondono in sé un mistero impenetrabile, fatto di sguardi lontani e densi di attese, che portano in sé tutta la sacralità di una nuova fase della vita che si sta schiudendo, fra speranze e paure.
Negli anni Duemila, Bergomi passa dalla terracotta al bronzo, dando inizio a una nuova fase del suo lavoro. Opere esemplari di questo momento sono Interno di bagno con figura femminile (2001), i busti di Ilaria con cappelli dalle differenti fogge, due bassorilievi della moglie, o ancora un suo Autoritratto (2004), in cui il colore, seppur su un nuovo supporto materico, torna a essere elemento caratterizzante.
Le creazioni di questi anni, allestite in una suggestiva sezione ospitata negli spazi esterni del museo di Santa Giulia, stupiscono per l’intenso dialogo tra i volumi e le architetture del monastero. In queste opere, specialmente quelle in cui anche le basi diventano parte integrante delle sculture, il ritmo dei corpi si articola nello spazio con un andamento architettonico e quasi astratto di puri rapporti formali. È il caso di Valentina accovacciata (2004), Grande Ellisse (2012), Geometrie descrittive (2012), Cronografia di un corpo (2012), con la base in acciaio inox e smalto che diventa un tunnel percorribile, o ancora di Angelica che fugge (2014), caratterizzata da una tensione dinamica innescata dalle correnti opposte dei lunghi capelli, da una parte, e delle braccia in piena estensione, dall’altra, che raggiungono un ipnotico equilibrio.
Molte sculture di Bergomi, fra cui alcuni mirabili ritratti della moglie, da Alma con collana (1998) ad Alma nuda su tavolo da cucina (2003) e Alma in poltrona déco (2009), sembrano guardare il visitatore direttamente negli occhi, frontalmente, quasi per chiamarlo in causa come testimone della loro fragile esistenza, ma al tempo stesso vanno con lo sguardo lontano, forse verso l’infinito.
È quello che accade con Grande ellisse (2013), esposta alla Biennale Internazionale di Scultura nel Parco del Castello di Racconigi a Torino, sinfonia plastica che diventa metafora della vita stessa, con quei corpi nudi in equilibrio instabile su una piattaforma inclinata e volti a dispensare un’esemplare antologia gestuale di stati d’animo, fra i quali spicca quella tensione dello sguardo di alcune figure verso l’alto, verso qualcosa che non si vede e che si può solo immaginare.
Negli anni più recenti Bergomi accetta la sfida di confrontarsi con la statuaria pubblica: da Uomini, delfini, parallelepipedi realizzata nel 2000 per l’acquario di Nagoya in Giappone, al monumento dedicato a Cristina Trivulzio di Belgiojoso, la prima scultura pubblica mai dedicata a Milano a una donna, fino al monumento per le vittime del Covid, Cacciata dal Paradiso, per il cimitero Vantiniano di Brescia, di cui è presentato un bozzetto in gesso.
La mostra si conclude con Africa con violoncello, esposta alla Biennale di Venezia del 2011, e l’opera inedita Colazione a letto (2024), serena oasi domenicale, sospesa in un’attesa quotidiana, dove si riuniscono tre generazioni – lo stesso Bergomi con la moglie, una figlia e due giovani nipoti – a condividere a letto il primo pasto della giornata, che rende omaggio alla storia della sua famiglia e che chiude idealmente il cerchio aperto con il quadro del 1978 che raffigurava le origini familiari dell’artista.
La mostra è stata ideata, progettata e allestita insieme all’artista con il progetto di allestimento di Maria Repossi, secondo il principio di una vera e propria installazione a tutto tondo, sia nella dimensione più tradizionale della galleria espositiva in Grande Miglio che, soprattutto, nella collocazione delle installazioni site-specific nei chiostri del Museo di Santa Giulia.
Il risultato di questa simbiosi tra artista e istituzione promotrice è culminata nel desiderio di Giuseppe Bergomi di donare due delle opere esposte alle Collezioni civiche bresciane, Figura distesa (1991) e Cubo e figure (2002); presenti in mostra, al termine dell’evento saranno collocate negli spazi monumentali dedicati alla scultura contemporanea nel Parco del Viridarium.
“La grande mostra dedicata a Giuseppe Bergomi da Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia si inserisce, con un risultato che ci pare particolarmente brillante, all’interno degli interventi che la nostra istituzione ha promosso negli ultimi anni con la proposta a Brescia della grande scultura contemporanea, da Paladino a Vezzoli, da Isgrò a Plessi, fino a Rivalta”, afferma Francesca Bazoli, presidente Fondazione Brescia Musei. “La nostra Fondazione ha presentato in città il meglio della produzione italiana, dall’espressività figurativa di Rivalta e Bergomi a quella concettuale di Isgrò, al postmoderno di Plessi, al metafisico di Vezzoli. Inoltre, nella mostra che presentiamo, come negli interventi dedicati a Francesco Vezzoli, a Daniele Lievi o a Bruno Romeda – attualmente in corso a Sale Marasino – ma anche nel sostegno editoriale alle monografie di Maurizio Donzelli o a quelle in pubblicazione nei nostri tipi editoriali per Max Uberti e Bonomo Faita, Brescia Musei conferma la necessità di presentare al pubblico nazionale e internazionale la grande creatività artistica di origine bresciana, che vede in Giuseppe Bergomi uno dei suoi esponenti più brillanti e consolidati, come la mostra indiscutibilmente dimostra”.
“Tre concetti chiave emergono da questa strepitosa mostra monografica dedicata a Giuseppe Bergomi, il suo punto di sintesi più efficace in 45 anni di carriera”, spiega Stefano Karadjov, direttore Fondazione Brescia Musei: “l’affermarsi della scultura come linguaggio artistico del Castello – dopo Davide Rivalta (2023), ora Giuseppe Bergomi, in vista della passeggiata di sculture dedicata Bruno Romeda in corso di realizzazione; la definitiva affermazione degli spazi del secondo piano del Grande Miglio, saggiamente riqualificato a luogo delle temporanee grazie all’emblematico ed epocale intervento di riallestimento del Museo del Risorgimento; la vocazione identitaria delle politiche culturali di Brescia Musei, proiettate all’internazionale, vocate al patrimonio culturale identitario, un’istituzione culturale “molla e trivella”, per dirla con Aldo Bonomi, che scava nei fondamentali della cultura bresciana antica o contemporanea e li proietta al meritato livello internazionale che meritano”.
“Questa mostra ha reso possibile riunire e documentare il percorso di oltre 40 anni di lavoro esponendolo nelle due sedi di santa Giulia e Grande Miglio, che ospitano la componente più intima della mia scultura, che richiede uno spazio racchiuso e quella non meno intima che dialoga con la luce, lo spazio e l’architettura”, afferma l’artista. “L’invito di Brescia Musei mi è stato anche di sprono ad affrontare e portare a termine due opere in terracotta di difficile, lunga e faticosa realizzazione, nelle quali ho cercato di racchiudere il meglio della mia esperienza e del mio mondo creativo”.
La mostra è realizzata grazie al prezioso Fondo Romeda per l’arte contemporanea ed è accompagnata dal catalogo Skira Arte. (aise)