A Bologna “Ludovico e Annibale Carracci. Storie antiche per due camini bolognesi nella collezione Michelangelo Poletti”

Bottega di Ludovico Carracci (Bologna, 1555 – 1619), Diana e Apollo, 1605-1606, Affresco staccato - Provenienza: Palazzo Montecalvi (già Paleotti), Bologna - Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, inv. P540

BOLOGNA\ aise\ - È stata inaugurata sabato, 18 maggio, la mostra-dossier “Ludovico e Annibale Carracci. Storie antiche per due camini bolognesi nella collezione Michelangelo Poletti”, organizzata dai Musei Civici d'Arte Antica del Settore Musei Civici Bologna e curata da Angelo Mazza. Allestita nella Sala Urbana delle Collezioni Comunali d'Arte a Palazzo d'Accursio, l'esposizione rimarrà aperta al pubblico sino al 22 settembre.
Nucleo centrale del progetto espositivo sono due affreschi raffiguranti Alessandro Magno e Taide incendiano Persepoli di Ludovico Carracci (Bologna, 1555 - 1619) e Morte di Didone di Annibale Carracci (Bologna, 1560 - Roma, 1609), che furono eseguiti intorno al 1592 per due camini di Palazzo Lucchini, in Piazza Calderini a Bologna, poi passato alle famiglie Angelelli, Zambeccari e infine Francia Comi.
Nota agli studi carracceschi anche se mai ammirata dal vero, la pittura Morte di Didone è citata per la prima volta nella Felsina pittrice. Vite de’ Pittori bolognesi (1678) e ne Le pitture di Bologna (1686) da Carlo Cesare Malvasia, che ricorda “in casa Luchini, ora Angelelli, in un camino, la bella Didone di Annibale” oltre all’affresco di Ludovico qui affiancato. In seguito, la menzione delle opere ricorre in tutte le guide sulla città di Bologna scritte tra Settecento e Ottocento.
“Strappato” attorno al 1911, pochi anni dopo l’acquisto del palazzo da parte di Filippo Comi, e spostato in una sala diversa, il dipinto illustra il noto passo dell’Eneide di Virgilio (libro IV, 662-705) cui alludono anche i versi trascritti alla base dell’ara marmorea su cui è costruita la pira. Abbandonata da Enea che si allontana da Cartagine con le imbarcazioni dei troiani alla volta del Lazio, Didone si suicida ferendosi al petto con la spada dell’amato e si dispone sul rogo, mentre Iris, inviata da Giunone, le taglia una ciocca di capelli favorendo il suo trapasso.
Realizzato nelle medesime circostanze del camino di Annibale, l’affresco di Ludovico, con il soggetto estremamente raro in pittura Alessandro Magno e Taide incendiano Persepoli, ne ha condiviso le vicende e la storia critica. Ad esso si riferiscono due disegni preparatori, uno dei quali esposto a Bologna nel 1956. Si tratta di un foglio conservato alla National Gallery di Washington (B 28 209), variato nella composizione, e di un altro all’Albertina di Vienna (inv. 2088) che si avvicina alla scena dipinta.
Gli affreschi sono stati dichiarati opere di eccezionale valore storico e artistico dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio centrale per i Beni Archeologici, Architettonici, Artistici e Storici con decreto del 9/9/1996.
Posti in vendita presso una casa di aste di Firenze nel settembre 2022, sono stati aggiudicati dall'imprenditore Michelangelo Poletti, la cui collezione specializzata nella pittura bolognese ed emiliana tra Cinque e Settecento arreda il castello di San Martino in Soverzano nel Comune di Minerbio.
Conservati gelosamente dalla precedente proprietà, l'affresco di Annibale Carracci non è mai stato esposto in pubblico, mentre quello di Ludovico Carracci ha fatto apparizione un’unica volta, nel 1993, nella mostra monografica sull’artista curata da Andrea Emiliani e allestita tra il Museo Civico Archeologico e la Pinacoteca nazionale di Bologna.
Grazie alla generosità dell’attuale proprietario è ora possibile presentare al pubblico queste straordinarie testimonianze della civiltà artistica bolognese, dopo il lungo intervento conservativo eseguito tra il 2023 e il 2024 da Giovanni Giannelli del Laboratorio di Restauro Ottorino Nonfarmale che le ha restituite a condizioni ottimali di leggibilità.
Accanto agli affreschi sono esposte due incisioni ad acquaforte di Carlo Antonio Pisarri (Bologna, 1706 - 1790) tratte da essi, concesse in prestito dalle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. Le stampe che riproponevano queste opere circolarono numerose nel XVII secolo e contribuirono alla fama di questi dipinti.
Queste due incisioni facevano originariamente parte di un album di Pisarri contenente 18 tavole Raccolta de’ Cammini di Bologna… dipinti da Lodovico, d’Annibale e d’Agostino Carracci, cui furono probabilmente aggiunte due stampe sciolte una volta entrato nella collezione della Cassa di Risparmio.
In mostra sono inoltre presenti alcuni dipinti dei celeberrimi cugini e delle loro botteghe, realizzati per contesti diversi e su vari supporti, conservati alle Collezioni Comunali d’Arte.
Il composito patrimonio artistico, confluito nelle raccolte del museo a partire dalla sua apertura nel 1936, testimonia l’interesse collezionistico sviluppatosi nei secoli a Bologna, grazie a generazioni di appassionati committenti veri cultori delle belle arti. Questo interesse fu particolarmente vivo intorno all’Accademia degli Incamminati dei cugini Carracci e agli artisti e allievi che si trovarono ad operare nella loro orbita. Le vicende che determinarono l’ingresso in museo di queste opere sono le stesse condivise da buona parte della collezione: soppressioni, donazioni, depositi da parte di privati e acquisti sul mercato antiquario, dove solitamente nella seconda metà del XX secolo l’assegnazione a Ludovico o ad Annibale era data come cosa certa, lasciando al successivo lavoro della critica il compito di ridefinirne i contorni.
I soggetti mitologici erano prediletti per la decorazione di soffitti, sopracamini e fregi nei palazzi privati, come documenta l’affresco, staccato e applicato su tela, parte di un ciclo con Storie di Diana e Apollo realizzato da Ludovico e dalla sua equipe nei primi anni del XVII secolo, solitamente conservato nei depositi del museo. La pittura a fresco, insieme ad altri tre frammenti - raffiguranti la Caduta di Fetonte, Apollo e altre divinità dell'Olimpo, Apollo sul carro del sole preceduto da Diana - proviene da Palazzo Paleotti, (successivamente di proprietà Montecalvi, poi Benati), demolita nel 1864 per la realizzazione di Piazza Cavour. Il ciclo decorativo è ricordato da Marcello Oretti che lo riferisce a Ludovico Carracci e alla sua scuola. Oggi la critica è concorde nell'attribuire a Ludovico solo la scena della Caduta di Fetonte (oggi conservata all'Archiginnasio); e unanime è anche il riferimento alla bottega dell'affresco in esame (Feigenbaum, 1993). La studiosa colloca l'intero ciclo tra il 1596 e il 1599. Brogi (2001) ne posticipa invece la cronologia al 1605-1606, in base al confronto con i dipinti murali di San Michele in Bosco e soprattutto con le opere eseguite nel duomo di Piacenza (1606).
La figura virile (Ercole o Paride) dipinta a olio su tela, già riferita al giovane Annibale Carracci per le affinità con alcune figure del fregio con Storie di Giasone in Palazzo Fava, in seguito fu attribuita al più eccentrico allievo Pietro Faccini (Bologna, 1562 ca. - 1602) in considerazione dell’enfatizzazione anatomica del nudo. La figura maschile dalla vigorosa muscolatura è vista in piedi, di sotto in su, collocata in primo piano all'ombra di un loggiato, che si apre a destra su un paesaggio appena abbozzato. Con la mano destra regge un bastone; con la sinistra, appoggiata al fianco, tiene il velo che copre appena le parti intime. La figura virile è da mettere in relazione ad una tela rappresentante una giovane donna conservata in collezione privata che - lette insieme - avvalorano la paternità di Annibale. Secondo Mazza (1989) le due tele, insieme ad una terza perduta, avrebbero composto un dipinto dedicato al tema di Ercole al bivio.
Dipinta con la medesima tecnica è la grande pala d’altare Santa Caterina d'Alessandria riceve in carcere la visita dell'imperatrice Faustina che rappresenta Santa Caterina in carcere, con la corona in mano, mentre due angeli le curano le ferite; in alto una colomba le porta cibo celeste. Ella accoglie Faustina, moglie dell'imperatore Massenzio che le fa visita, accompagnata da Porfirio, capitano della guardia (raffigurati a figura intera sulla destra). Nel trovare la cella inondata di luce e alle parole della santa, l'imperatrice si inginocchia e si converte al Cristianesimo, assieme a Porfirio. La pala d'altare, già indicata da fonti seicentesche come opera di Ludovico Carracci, si trovava nella chiesa di San Leonardo e fu ritirata dal Comune di Bologna in seguito al bombardamento del 1945. Per l'altare maggiore della stessa chiesa Ludovico aveva eseguito il Martirio di Sant'Orsola, nel 1592. Il tema iconografico, piuttosto raro nel Seicento, si collega all'intitolazione della chiesa di provenienza, in quanto San Leonardo era patrono dei carcerati. L'ambiente del carcere in cui si svolge la scena è suggerito dall'inferriata sulla destra e dalla presenza di Porfirio che, oltre ad essere un personaggio ricordato dalla leggenda, assume qui la funzione di commento emotivo-sentimentale all'interno della rappresentazione. La tela è stata dipinta da Ludovico Carracci nella sua fase matura, agli inizi del Seicento, come appare dalla delicata gamma cromatica e dallo schema compositivo con le grandi figure in primo piano, sulle quali il pittore si concentra per coglierne la “metamorfosi spirituale“ dell’esperienza mistica.
Il piccolo rame San Francesco d'Assisi in preghiera davanti al Crocefisso è stato acquistato sul mercato antiquario nel 1965 con attribuzione ad Annibale Carracci. Da tempo però è ritenuto copia di un dipinto perduto di Annibale, realizzata da un seguace intorno al 1600. A conferma dell'esistenza di un prototipo illustre interverrebbe anche la presenza a Roma, nella Galleria Doria Pamphilj, di una variante del medesimo soggetto, copia da un originale del Domenichino.
La negata attribuzione del dipinto alla mano di Annibale Carracci dipende soprattutto dalle incertezze nella resa della figura di San Francesco e dagli angeli, mentre di qualità superiore appare il paesaggio, reso con pennellate veloci ma sicure.
Completano l’allestimento lo sportello ligneo di tabernacolo, dipinto a olio su tavola e rame, con Annunciazione, Dio Padre in gloria e il Prezioso Sangue di Cristo, probabilmente prodotto nella bottega di Ludovico intorno al 1600, proveniente anch’esso dalla chiesa di San Leonardo, e l’intensa Testa di vecchia, dipinta a olio su carta realizzata da un pittore di cultura carraccesca ancora alla fine del Cinquecento, studio preparatorio per un ritratto o forse per i tratti di un personaggio di una pala. Comunque una “testa di carattere”, indagata con quell’attenzione fisiognomica mai fine a se stessa, bensì volta a descrivere un’attitudine dell’animo.
L'esposizione è accompagnata da una pubblicazione, a cura di Angelo Mazza con la collaborazione di Silvia Battistini, che rievoca la storia dei due affreschi confluiti nella collezione di Michelangelo Poletti, ne approfondisce l'iconografia e rende conto della travagliata vicenda conservativa, oltre che del più recente intervento di restauro (Bologna, Bologna University Press, 2024). Il volume è arricchito dalle prefazioni di Elena Di Gioia, Eva Degl’Innocenti e Michelangelo Poletti e dai contributi di Silvia Battistini, Angelo Mazza, Giovanni Brizzi, Paola Bressan e Giovanni Giannelli, con le immagini di Carlo Vannini. (aise)