A Torino la mostra dei finalisti della quinta edizione del Mario Merz Prize - settore arte

TORINO\ aise\ - Mercoledì scorso, 11 giugno, la Fondazione Merz di Torino ha festeggiando 20 anni con l’inaugurazione della la mostra collettiva che sino al 21 settembre presenterà i finalisti della quinta edizione del Mario Merz Prize, settore arte, a cura di Giulia Turconi.
I protagonisti dell’esposizione sono Elena Bellantoni (Vibo Valentia, 1975), Mohamed Bourouissa (Algeria, 1978), Anna Franceschini (Pavia, 1979), Voluspa Jarpa (Rancagua, Cile, 1971) e Agnes Questionmark (Roma, 1995).
La mostra si sviluppa in un percorso che spazia tra i differenti lavori presentati dai cinque finalisti, che si distinguono nella ricerca artistica e nella scelta dei materiali, condividendo tuttavia alcuni temi, come l’attenzione al corpo e a importanti questioni sociali attuali. I lavori presentati offrono un’immersione totalizzante da parte del visitatore, il quale viene invitato a mettersi in gioco alla ricerca di una propria interpretazione della società contemporanea, che per ogni artista si concentra su uno specifico aspetto e sfumatura diversa.
L’esplorazione parte con l’installazione video di Elena Bellantoni, On The Breadline, 2019, un progetto itinerante che ripercorre la “strada del pane” attraverso quattro paesi: Italia, Grecia, Serbia e Turchia. La breadline che l’artista segue fa riferimento alla linea di povertà che collega storie e narrazioni dei paesi in cui hanno trovato spazio le “rivolte del pane”. Il pane non rappresenta infatti solo il momento del convivio e del confronto tra genti diverse, ma è legato alle rivolte popolari, movimenti di protesta che hanno unito popolazioni diverse nel nome della giustizia e dell’uguaglianza sociale. La farina, la polvere di grano, infatti, è un valore e rappresenta culture millenarie e tradizioni diverse. Esalta e completa il lavoro una performance corale in cui viene vocalizzato il canto di protesta Bread & Roses, il cui testo, tradotto in lingua per ognuno dei quattro paesi, trae origine dal discorso del 1912 di Rose Schneiderman, leader femminista socialista statunitense, declamato durante un importante sciopero di lavoratrici. Il coro e il pane costituiscono due elementi essenziali, divenendo lo strumento attraverso cui vengono raccontate le rivolte sociali e politiche che appartengono a ogni paese, soprattutto in quelli legati storicamente e geograficamente al Mediterraneo.
Si prosegue con l’installazione di Agnes Questionmark, in cui l’artista si presenta come un nuovo essere ibrido, la cui genesi è ancora da definire. CHM13hTERT è una linea cellulare che ha permesso di assemblare la prima sequenza completa del genoma umano in laboratorio. Per la prima volta nella storia, gli esseri umani sono in grado di leggere e modificare la loro composizione genetica, attraverso tecniche di editing genomico, che consentirebbe di effettuare specifiche alterazioni al genoma di una cellula. Sospesa e sostenuta da una struttura metallica tramite una serie di cavi e cinghie mediche, il suo corpo diventa un veicolo politico che sfida i rapporti di potere inerenti alle nostre attuali strutture socio-economiche normative. Diventando oggetto e soggetto di un nuovo esperimento interspecie, l’artista prende possesso della propria evoluzione trasformandosi in un essere mostruoso dalle forme disumane che evoca elementi della biologia marina: pinne, code, spade e vele. Nel complesso, l’immagine presentata è avvolta da un mistero non dichiarando apertamente se stiamo assistendo a un esperimento, un’operazione o se siamo coinvolti in un istante di evoluzione complessa.
Voluspa Jarpa accoglie il pubblico in una esperienza sinestetica alla scoperta dei diversi elementi che costituiscono il suo lavoro, in cui la vista, insieme all’udito, evocano gli eventi e il loro riverberare tra il passato, il presente e il futuro. The Extinction project, 2025, è una continuazione del lavoro “Sindemia” (2022-24) che esplorava i conflitti sociali avvenuti in America Latina tra il 2018 e il 2023, derivanti dal deterioramento delle istituzioni democratiche, spesso compromesse da politiche legate allo sfruttamento delle risorse naturali e dai gravi effetti sociali che ne derivano. Da questo progetto è nata una riflessione sull’esistenza di una memoria territoriale che intrecci questi processi sociali e che li metta in relazione tra passato, presente e futuro. Quest’opera costituisce un’esperienza sinestetica, in cui la vista, l’udito, il movimento e lo spazio stesso evocano gli eventi e il loro riverberare dal passato al presente, alterando l’ordine del tempo e il modo in cui si concatenano, coinvolgendo lo spettatore in un nuovo spazio-tempo per testimoniare come alcuni processi del passato continuino a risuonare nel presente. Da qui la volontà di utilizzare la metafora dell’idea di estinzione, intesa non solo in senso biologico, ma anche culturale e sociale, e collegata a un pensiero coloniale occidentale. L’opera infatti invita a riflettere su come possiamo pensare a problemi complessi, non separandoli ma osservando le loro connessioni. Per descrivere questa totalità nella sua complessità, il lavoro si struttura in tre momenti storici, rappresentati nell’opera come tre livelli di immagine e informazione: Estinzione dei popoli originari (XVI-XVII sec.), dittature e interventi politici (anni ’50-’80), conflitti legati all’estrattivismo (anni recenti).
Anna Franceschini presenta un’installazione, che parte dall’immagine in movimento intesa nella sua natura cinematografica e che si apre a un orizzonte scultoreo confermando l’idea che il cinema e la sua illusione di vita si possano ritrovare anche altrove, nel mondo. L’opera è composta da sette macchine per la stiratura automatica, definite dressmen che, modificate e rieducate grazie a un algoritmo, eseguono ciclicamente una partitura attraverso l’aria. Il titolo, All Those Stuffed Shirts, 2023, allude a un modo di dire anglosassone che indica qualcuno pieno di sé, presuntuoso, conservatore e reazionario: un vero e proprio “pallone gonfiato” ponendo l’accento sull’abito per denigrare chi lo indossa, che, a sua volta, diventa semplice riempimento. Queste macchine con i loro movimenti, riunite in una danza senza fine, si impossessano dello spazio espositivo reclamando la loro presenza e suggeriscono inoltre una riflessione sulla capacità di divenire immagine dell’oggetto tecnico, collegandosi così all’illusione cinematografica. Il robot da stiro, infatti, produce l’illusione della vita in maniera prevedibile, rimettendola ciclicamente in scena. L’aria spinge i sacchi di tessuto sintetico al limite e li fa quasi esplodere prima di un arresto cardiaco che li porta al collasso, rifacendosi alla tecnologia di sopravvivenza del corpo umano. L’installazione ci restituisce una riflessione sul rapporto tra la macchina e i suoi creatori, tra umano e artificiale, sulle politiche identitarie e sulla valenza del corpo come dispositivo desiderante. Nel video WHAT TIME IS LOVE?, 2017, invece, le macchine presentate sono specializzate nell’esame di giocattoli e prodotti per l’infanzia che vengono sottoposti a test di resistenza. Qui, si indaga il concetto di “idoneità” riflettendo su quanto sia alto il prezzo per essere accettati da una comunità.
Infine, Mohamed Bourouissa conferma l’attenzione al corpo e ai temi sociali come protagonisti indiscussi dell’esposizione. Nell’opera-video Généalogie de la Violence, 2024, l’artista esplora la nozione di controllo, l’espropriazione del corpo e le relazioni di dominio all’interno dello stato. È un film che riflette sulla brutalità della polizia, senza tradurla in immagine. La rappresentazione di una violenza invisibile, mascherata da umiliazione legale. Una forma di dominio avvolta da protocolli cortesi. L’artista, fermato costantemente dalla polizia per dei “controlli d’identità casuali” ha sentito l’urgenza di raccontare una storia molto personale. Un giovane ragazzo, seduto in macchina con un’amica, viene fermato per un controllo e perquisito metodicamente da un agente. Le immagini restituiscono l’esperienza di disconnessione dal proprio corpo: quando veniamo fermati e controllati non siamo più soggetti ma diventiamo oggetti pericolosi. Attraverso le sculture in alluminio fuso, l’artista cerca di trasmettere le sensazioni intime che può provocare una procedura formale, le tracce che una pratica giudiziaria sistematica può lasciare, sia sulla superficie del corpo che dentro di esso. Le sculture vogliono sottolineare i momenti di palpazione durante le perquisizioni corporee, evocando una tensione tra il corpo e le mani che lo toccano, rivelando un punto di contatto tra i corpi sociali e il corpo dello Stato. Attraverso la messa in scena di due corpi, Bourouissa non solo rappresenta la dinamica emotiva coinvolta, ma evidenzia anche le dinamiche di potere e la dominazione di un corpo sull’altro.
Attraverso forme ed espressioni differenti, la mostra diviene un fulcro da cui nascono e si rinnovano riflessioni e critiche sulla società contemporanea, un luogo di confronto e di dialogo aperto.
I cinque finalisti del Mario Merz Prize, proclamati a maggio 2024, sono stati selezionati da Samuel Gross, special project manager del Musée d’Art e d’Histoire di Ginevra, e Claudia Gioia, curatrice indipendente.
Al termine dell’esposizione, una giuria composta da Manuel Borja-Villel, autore e curatore indipendente, Caroline Bourgeois, curatrice della Collezione Pinault di Parigi, Massimiliano Gioni, capo curatore del New Museum di New York e direttore artistico della Fondazione Trussardi di Milano, e Beatrice Merz, insieme al voto del pubblico, designerà il vincitore della quarta edizione del prestigioso premio. L’annuncio dell’esito avverrà a conclusione della mostra. Il vincitore avrà la possibilità di dare forma a un progetto espositivo personale commissionato e prodotto da Fondazione Merz.
Il pubblico può partecipare attivamente alla selezione dell’artista vincitore esprimendo la propria preferenza attraverso il portale dedicato www.mariomerzprize.org.
Per la sezione musicale del premio, il concerto della compositrice e dei compositori della quinta edizione del Mario Merz Prize, Arturo Corrales, Natalia Domínguez Rangel e Luigi Morleo, è in programma per domenica 29 giugno presso la Cantina Ulmo, a Sambuca di Sicili.
Il Mario Merz Prize, a cadenza biennale, nasce con l’intenzione di individuare e segnalare, attraverso la competenza di una fitta rete internazionale di esperti, personalità nel campo dell’arte e che, parallelamente, consenta a giovani compositori di proporsi per un progetto innovativo di musica contemporanea. Con la ferma certezza che l’arte rappresenta la libertà di pensiero senza confini e che attraverso di essa si rafforza l’autodeterminazione e la libera circolazione della cultura e delle idee, il premio sarà dedicato a coloro che nutrono la giusta volontà di perseguire le proprie ricerche al di là delle opposizioni derivanti dall’appartenenza politica, sociale, geografica. I processi artistici degli ultimi due decenni sono stati fortemente caratterizzati dalla particolare attenzione ai mutamenti storici, sociali e politici per questo e per le tragedie che ancora vedono l’umanità protagonista, il Premio intende rintracciare nell’opera e nel percorso individuale degli artisti e dei compositori, caratteristiche di internazionalità, generosità di pensiero, attenzione sociale oltre alla ricerca dell’innovazione.
Il Premio è indirizzato ad artisti e compositori di media carriera. Non sono previsti limiti di età, nazionalità o media. Artisti e compositori non possono autonominarsi ma sono indicati attraverso un sistema di candidature via web da parte di curatori, direttori di museo, critici, galleristi, membri di altre associazioni culturali, istituzioni musicali, interpreti, critici e personalità del mondo della musica e dell’arte. Superata una fase eliminatoria, le composizioni dei concorrenti finalisti sono eseguite in un concerto e le opere degli artisti allestite in una mostra collettiva. Infine ai vincitori scelti dalle giurie internazionali e dal voto del pubblico, sono commissionate all’artista una produzione da presentare nell’ambito di una mostra personale e al compositore un brano per orchestra d'archi e un intervento musicale per uno spazio museale, legando in questo modo le diverse arti fra loro. (aise)