“Body of Evidence”: l’omaggio del PAC di Milano all’artista iraniana Shirin Neshat

Shirin Neshat, BODY OF EVIDENCE. PAC Padiglione d'Arte Contemporanea, Milan, 2024. Photo Nico Covre

MILANO\ aise\ - “Body of Evidence” è l’ampia personale dell’artista iraniana Shirin Neshat (Qazvin, 1957), vincitrice del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999, del Leone d’Argento per la Miglior Regia al Film Festival di Venezia nel 2009 e del Praemium Imperiale a Tokyo nel 2017, in mostra a Milano.
L’esposizione, promossa da Comune di Milano – Cultura, prodotta e ospitata dal PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea, con Silvana Editoriale, sarà aperta al pubblico sino all’8 giugno.
“La mostra dedicata a Shirin Neshat rappresenta un’occasione unica per esplorare l’opera di un’artista che, attraverso un linguaggio visivo potente e stratificato, ha saputo raccontare le complesse tensioni tra identità, memoria e appartenenza”, ha dichiarato Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura del Comune di Milano. “Body of Evidence”, ha aggiunto, “ci invita a riflettere sul rapporto tra individuo e collettività, tra storia e contemporaneità, offrendo una lettura puntuale delle sfide del nostro tempo. Con questo progetto, il PAC si conferma lo spazio privilegiato per il confronto sui grandi temi della contemporaneità e la mostra, tra gli eventi centrali dell’edizione 2025 di Milano Art Week, stimola una riflessione profonda sulle identità in trasformazione, sulle contraddizioni della modernità e sul potere dell’arte di farsi veicolo di cambiamento e consapevolezza”.
Curata da Diego Sileo e Beatrice Benedetti, la mostra al PAC ripercorre oltre trent’anni di carriera dell’artista, attraverso una decina di video-installazioni e quasi duecento opere fotografiche, entrate a far parte delle maggiori collezioni museali al mondo, come quelle del Whitney Museum, del MoMA, del Guggenheim di New York e della Tate Modern.
Artista multidisciplinare, Shirin Neshat si è confrontata con la fotografia, il video, il cinema e il teatro, creando narrazioni altamente liriche, oltre a visioni politicamente cariche, che mettono in discussione questioni di potere, religione, razza e relazioni tra passato e presente, Oriente e Occidente, individuo e collettività. La lente attraverso cui Neshat interpreta la Storia e la Contemporaneità non solo del suo Paese d'origine, l'Iran, ma del mondo intero, è lo sguardo delle donne: dagli esordi nei primi anni Novanta con la serie fotografica Women of Allah, i celebri corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, fino a The Fury, video-installazione che anticipa il movimento “Woman, Life, Freedom”.
La ricerca di Shirin Neshat travalica il tema di genere e, partendo dal dualismo uomo-donna, indaga le tensioni tra appartenenza ed esilio, salute e disagio mentale, sogno e realtà.
Il percorso espositivo si apre con il video a due canali affiancanti Fervor (2000), storico lavoro appartenente alla prima trilogia dell’artista. L’opera racconta l’incontro di un uomo e una donna, focalizzando l’attenzione sugli elementi che li uniscono.
La seconda sala accoglie gli altri capitoli della trilogia, per contrasto caratterizzati dalla restituzione di un’evidente opposizione tra i generi. Rapture (1999) cattura il visitatore al centro di due schermi contrapposti per seguire il dialogo silenzioso tra un gruppo di uomini, che attraversa le strade acciottolate di un’antica città, e una schiera di donne, che emergono dal paesaggio desertico e si dirigono verso il mare, pronte a imbarcarsi. Turbulent (1998), opera che porterà Shirin Neshat a vincere il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1999, propone un altro punto di vista sul principio di dualismo su cui si fonda l’universo. Il video restituisce su due palchi opposti la voce maschile di Shoja Azari che intona un poema del mistico Rumi (1207-73) e la voce femminile della vocalist e compositrice iraniana Sussan Deyhim.
L'ambientazione teatrale di Turbulent riappare all'inizio della più recente opera video Roja (2016) proiettata nella terza galleria, con una forte atmosfera onirica. L’opera infatti è la riproduzione visiva di un sogno di Shirin Neshat e ha per protagonista l’alter ego dell’artista, interpretato dalla scrittrice Roja Heydarpour. L’opera mostra il cortocircuito per cui, nelle fantasie di Neshat, sia la cultura statunitense sia quella iraniana possono trasformarsi da ambienti rassicuranti ad atmosfere inquietanti e ostili.
Segue Land of Dreams (2019), che comprende una serie di 111 ritratti fotografici e un video a due canali focalizzati sulla narrazione della dicotomia tra Oriente e Occidente, sogno e veglia, realtà e rappresentazione. Il video rintraccia i movimenti di una fotografa che sta apparentemente lavorando a un reportage sull’America rurale, ma che in realtà fa parte della “Colonia” (The Colony), una società segreta i cui membri ricevono, selezionano e analizzano i sogni dei cittadini statunitensi.
Il video The Fury (2023), preceduto da tre scatti dell’omonimo ciclo, fornisce un resoconto del trauma sofferto da una immaginaria prigioniera politica, ponendo il visitatore di fronte all’ingiustizia e alla condizione mentale che ne può derivare come forma estrema di ribellione.
Il parterre del PAC accoglie The Book of Kings (2012), installazione concepita in seguito alla nascita del Green Movement iraniano, il movimento sorto in reazione ai brogli elettorali che nel 2009 hanno visto prevalere Ahmadinejad in Iran. L’opera include una selezione di ritratti i cui corpi riportano a inchiostro illustrazioni e testi calligrafici tratti sia dal poema epico Shahnameh (Il libro dei Re) scritto dal poeta persiano Ferdowsi (1000 d. C.) sia da composizioni poetiche di scrittori contemporanei e prigionieri in Iran, portando in luce parallelismi visivi e allegorici tra passato e presente dell’Iran, oltre a trattare la concezione iraniana di “eroismo”.
Domina visivamente la mostra la celebre serie Women of Allah (1993-1997), presentata lungo la balconata. Le iconiche opere vedono la sovrapposizione di versi poetici e motivi decorativi sui corpi velati delle donne, trascritti con inchiostro calligrafico sull’immagine fotografica. Alcune fotografie coinvolgono armi e riportano testi di scrittrici iraniane contemporanee che presentano visioni politico-ideologiche diametralmente opposte, da citazioni coraniche sul martirio, fino a riflessioni femministe o puramente poetiche.
Concludono il percorso espositivo due video a colori. Soliloquy (1999), unico lavoro in cui Shirin Neshat appare come protagonista, vede l’artista compiere due viaggi paralleli in due contesti differenti, una città mediorientale e una metropoli occidentale, in una rappresentazione del proprio stato oscillante tra origini e nuova realtà nomadica. Passage (2001) esplora il tema della morte e della condizione ciclica che riavvolge il tempo a ogni evento di rinascita, ripercorrendo le diverse fasi di una sepoltura nel deserto.
Ad accompagnare il pubblico tra le opere una guida gratuita alla mostra a cura di Angela Maderna.
Il catalogo della mostra, che sarà disponibile successivamente, è pubblicato da Silvana Editoriale in italiano e in inglese e costituisce la più aggiornata monografia dedicata all’opera di Shirin Neshat, con opere dal 1993 a oggi. Il volume comprende i testi dei curatori e i contributi critici di Negar Azimi, Adam Geczy, Chrissie Iles e Venetia Porter.
Shirin Neshat è un'artista e regista di origine iraniana che vive a New York. Neshat lavora e continua a sperimentare con diversi mezzi espressivi, tra cui fotografia, video, cinema e opera, che arricchisce con immagini e narrazioni altamente poetiche e politicamente cariche. Le sue opere affrontano questioni di potere, religione, razza, genere e il rapporto tra passato e presente, Oriente e Occidente, individuo e collettività, attraverso la lente della sua esperienza personale come donna iraniana in esilio.
Neshat ha tenuto numerose mostre personali in musei internazionali, tra cui la Pinakothek der Moderne di Monaco, il Modern Art Museum di Fort Worth, The Broad di Los Angeles, il Museo Correr di Venezia, l'Hirshhorn Museum di Washington D.C. e il Detroit Institute of Arts.
Ha diretto tre lungometraggi: Donne senza uomini (2009), vincitore del Leone d’Argento per la Miglior Regia alla 66ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Looking for Oum Kulthum (2017) e più recentemente Land of Dreams, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2021.
Nel 2017 ha debuttato come regista d'opera con Aida di Verdi al Festival di Salisburgo, riproposta nuovamente nel 2022 e che verrà messa in scena all’Opéra di Parigi nel 2025.
Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, Neshat è stata insignita del Leone d’Oro, Primo Premio Internazionale alla 48ª Biennale di Venezia (1999), del Premio Hiroshima per la Libertà (2005), del Dorothy and Lillian Gish Prize (2006) e nel 2017 ha ricevuto il prestigioso Praemium Imperiale a Tokyo. (aise)