Cabinet de curiosités: l'omaggio di Tornabuoni Roma ad Alighiero Boetti
Alighiero Boetti - Foto Giorgio Colombo, Milano
ROMA\ aise\ - A trent’anni dalla scomparsa, la galleria Tornabuoni Arte Roma rende omaggio ad Alighiero Boetti presentando un progetto di mostra che si configura come un inedito e privilegiato punto di accesso al suo mondo. “Alighiero Boetti. Cabinet de curiosités”, questo il titolo della mostra, è stata inaugurata mercoledì scorso, 6 novembre, e sarà aperta al pubblico sino al 22 febbraio 2025 nella sede di via Bocca di Leone.
Al centro del percorso espositivo non ci sono solo opere, ma anche Boetti stesso, con la sua vita, i suoi processi mentali, matematici, combinatori, di gioco: da qui il titolo “Cabinet de curiosités”. Non è un caso che questa mostra intrinsecamente diversa dalle precedenti avvenga nella sede di Roma, città chiave nella vita di Boetti, che lo ospita dal 1972 fino al 1994, prima a Trastevere, poi vicino al Pantheon.
In questa idea di narrazione di Boetti come persona, piuttosto che come personaggio, la proiezione del video “Giovedì ventiquattro settembre 1970” introduce al percorso espositivo e ai venti scatti di Giorgio Colombo che aprono la mostra: una raccolta di fotografie fatte a Boetti, fatte ai Boetti. Realizzate tra il 1966 e il 1993 e pubblicate tra le altre nel volume Vita di Alighiero Boetti edito da Forma Edizioni, presentato l’indomani, giovedì 7 novembre, al MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, ritraggono momenti e protagonisti che con Boetti hanno condiviso uno spaccato storico.
In mostra sono poi esposti documenti inediti, appunti, schizzi, cartoline, progetti, lettere, provenienti dalla collezione di Agata Boetti; dettagli apparentemente marginali, ma che concorrono invece assieme al resto a “ricomporre con tante schegge sparse lo specchio rotto della memoria” (Gabriel Garcia Marquez, 1981).
Soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, Boetti prende appunti, realizza studi e schizzi; riflette scrivendo e disegnando. Osserva la realtà e la elabora con una modalità quasi scientifica. Stila elenchi di parole, frasi e concetti mischiandoli alle liste del quotidiano di spese, telefonate e cose da fare.
Il corpus di documenti, disposto sulle pareti secondo quell’idea di “caso” propriamente boettiana, propone tra gli altri gli studi per Cimento dell’armonia e dell’invenzione e per Lavoro Postale, entrambi del 1969, l’unico bozzetto esistente per le Mappe del 1970, e appunti anche scherzosi come una cartolina inviata alla moglie Annemarie a cui scrive: “I love you baby, Frank Sinatra”.
Questi fogli liberi, come pure i taccuini, sono chiavi di lettura del processo creativo che ha dato origine alle sue opere tra cui Piano Inclinato (1981), Aerei (1977-78) e San Bernardino (Uno uno due due tre tre…), esposte alla Tornabuoni.
Come dice Agata Boetti: “nessun ordine, nessuna gerarchia. Un bozzetto, una foto, un invito, una cartolina, un ricamo. Solo cose belle di Boetti e su Boetti, per capire forse meglio il suo lavoro e il suo pensiero”.
Due sale della galleria sono dedicate a due presenze straordinarie: il Muro, opera privata, in costante evoluzione tra il 1972 e il 1993, e lo Zoo, “safari domestico”, gioco serio, qui accompagnato dalla lettera dattiloscritta da Agata, Matteo e Alighiero Boetti.
Quest’ultimo è un'installazione composta da centinaia di animali di plastica, “fortuita e senza fine, ordinata quanto disordinata” (Annemarie Sauzeau Boetti). Inizialmente pensato per essere un gioco tra l’artista e i suoi figli, nell’autunno del 1979 viene fotografato da Giorgio Colombo e pubblicato su Casa Vogue, divenendo così un’opera d’arte per il pubblico.
Il Muro “progressivo” che “egli accumulò in un ventennio non era un’impresa artistica in senso stretto: era nato come iconostasi privata della sua esistenza e del suo dialetto, nonché come taccuino di appunti, di progetti da sviluppare” (Annemarie Sauzeau Boetti). Ricordi e pagine di giornali, appunti e progetti, lettere di amici e disegni della figlia Agata: 75 elementi bidimensionali incorniciati e appesi secondo il principio “della mutevolezza e del suddividersi nel muro, disposto come una costellazione, in opere di altri” (Agata Boetti).
Due teche espongono I Quindici libri rossi-111, quattro Libri annuali (due del 1984, 1986, 1988) e altri due menabò ad essi legati, ma opere uniche e a sé stanti.
I Quindici libri rossi (1993-1994) vengono ideati a partire dal volume unico 111 realizzato per la mostra a Bonn La Sincronicità come principio non-casuale di eventi nel 1992. Sono una serie di diari fotografici d’archivio in cui Boetti raccoglie fotocopie in bianco e nero di articoli, schizzi, telegrammi, cartoline e mappe.
I Libri annuali traspongono in "opere tascabili" e più accessibili le grandi opere su carta Copertine, sottolineando ulteriormente il sempre maggiore interesse per l’idea di “diffusione”.
Una terza teca espone Classifying, the thousand longest rivers in the world, pubblicato nel 1977, in cui Boetti raccoglie la classificazione compiuta dal 1970 al 1973 insieme ad Annemarie Sauzeau Boetti dei 1000 fiumi più lunghi al mondo. Qui viene mostrato nella sua completa genesi: l’insieme della documentazione e corrispondenze che la realizzazione del libro ha necessitato, il menabò e due esemplari, uno con la con la copertina ricamata e uno in tela rossa.
In questa alternanza di presenze si articola il percorso della mostra. Si parla di Boetti andando oltre le sue opere e proprio attraverso questa ricerca di ridefinizione della memoria il senso dell’opera di Boetti appare in tutta la sua meravigliosa, straziante bellezza. (aise)