“Il “divino” Guido Reni” alla Galleria Sabauda di Torino

TORINO\ aise\ - Si è aperta sabato, 11 ottobre, nello Spazio Scoperte, al secondo piano della Galleria Sabauda di Torino, la mostra “Il “divino” Guido Reni nelle collezioni sabaude e sugli altari del Piemonte”, che sino al 18 gennaio 2026 renderà omaggio al pittore emiliano, in occasione dei 450 anni dalla sua nascita.
La rassegna, curata da Annamaria Bava e Sofia Villano, presenta oltre venti opere tra dipinti, disegni e incisioni che documentano le diverse fasi della carriera del pittore, dagli anni giovanili alla piena maturità. Al nucleo di opere provenienti dalle collezioni dei Musei Reali, si aggiungono tre significativi prestiti dal territorio piemontese e dal Musée des Augustins di Tolosa.
L’esposizione illustra l’apprezzamento della corte sabauda, fin dalla nascita delle collezioni ducali, per la pittura classicista bolognese e nello specifico per l’arte di Guido Reni (1575-1642), che già i suoi contemporanei chiamavano “il divino Guido”.
Lo stile di Guido Reni, composto e luminoso, incentrato sull’armonia delle forme e sulla celebrazione di una bellezza ideale desunta dai modelli scultorei dell'antichità e dall’arte sublime dei grandi maestri del Rinascimento, doveva essere particolarmente congeniale alla ricerca di maestosità ed eleganza nella progettazione della decorazione e dell’arredo delle residenze sabaude e degli altari di corte.
Il percorso espositivo si apre con le opere del maestro entrate nelle collezioni ducali nel Seicento; tra queste, le due versioni di Marsia scorticato da Apollo: quella originariamente collocata nella “Camera delle Muse” del Palazzo Ducale, successivamente requisita dalle truppe napoleoniche nel 1799 e attualmente al Musée des Augustins di Tolosa, e la sua replica seicentesca conservata nella Galleria Sabauda. L’invenzione si distingue per la forza con cui Guido Reni traduce in immagine un celebre episodio tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, ovvero la punizione inflitta da Apollo al satiro Marsia, colpevole di aver osato sfidarlo in una gara musicale. La composizione è dominata dalla figura idealizzata di Apollo, incarnazione della bellezza classica e della razionalità divina, in netto contrasto con il corpo martoriato e il volto straziato di Marsia, simbolo della tracotanza punita.
Oltre che per la sua forza visiva, il dipinto si segnala per il valore simbolico: la vittoria dell’intelletto e dell’armonia apollinea sulla brutalità e sull’eccesso, un tema caro alla cultura dell’epoca e in linea con le riflessioni che dovevano svolgersi nell’Accademia romana dei Desiosi, fondata dal cardinale Maurizio di Savoia, che ricevette in dono l’opera originale dal cardinale Alessandro d’Este per legato testamentario.
Appassionato mecenate e raffinato collezionista, il principe cardinale Maurizio di Savoia, soggiornò per lunghi periodi a Roma, dove ebbe modo di frequentare gli ambienti culturali della corte di papa Urbano VIII Barberini. Grande estimatore della pittura classicista, a lui si devono importanti commissioni ad artisti bolognesi, spesso legate a sofisticate e complesse scene allegoriche.
Alla committenza del prelato sabaudo si può far risalire la tela con San Maurizio che riceve la palma del martirio, proveniente dal Santuario di Santa Maria dei Laghi di Avigliana (TO), luogo di antica devozione mariana e meta di pellegrinaggi, sostenuto dai Savoia con doni e offerte nel corso del Seicento come strumento di legittimazione religiosa e politica. L’impianto figurativo vede San Maurizio al centro della scena, in uniforme da legionario romano, con il volto circondato da un’aura luminosa che ne sottolinea la santità. Deposta la spada ai suoi piedi, riceve la palma del martirio da un cherubino, mentre sullo sfondo si scorge la drammatica battaglia della legione tebana da lui guidata. Nel percorso artistico di Guido Reni, il San Maurizio si colloca negli anni 1615 - 1618, in un momento di transizione nel linguaggio del maestro, dal rigore classicista del periodo precedente verso una pittura più morbida e pastosa.
Un piccolo olio su rame che ritrae un’allegoria della Fama, caratterizzato da una grande raffinatezza cromatica e formale, apparteneva invece agli averi personali della duchessa di Savoia Cristina di Francia, vedova di Vittorio Amedeo I, che forse lo aveva ricevuto in dono alla fine del 1638 dal marchese Filippo San Martino d’Agliè, suo intimo consigliere. Considerata opera autografa di Guido Reni nei primi inventari e cataloghi a stampa della Reale Galleria di Torino, La Fama sembrerebbe piuttosto attribuibile alla mano di Giovanni Giacomo Sementi, collaboratore del maestro bolognese.
Altre importanti tele di Guido Reni appartenevano alle raccolte di pittura del principe Eugenio di Savoia Soissons, abilissimo stratega, comandante in capo dell’esercito asburgico, ma anche raffinato bibliofilo e collezionista di opere d’arte, tra cui alte testimonianze della pittura bolognese di gusto classicista, conservate nelle sue dimore viennesi, il Palazzo di Città e la magnifica residenza extraurbana del Belvedere. Tra i dipinti confluiti nelle collezioni reali dopo la sua morte, grazie all’acquisto di re Carlo Emanuele III, e tuttora esposte in Galleria Sabauda, spiccano il San Giovanni Battista, capolavoro della tarda maturità dell’artista, il San Girolamo, collocabile anch’esso all'ultimo periodo della sua produzione e la Morte di Lucrezia, tema particolarmente frequentato dal pittore.
Giunge, invece, dalle raccolte del ramo cadetto dei Savoia Carignano e viene trasferito nel Palazzo Reale di Torino nel 1831 per volere del re Carlo Alberto, il quadro raffigurante una Lotta tra amorini e putti baccanti. L’opera è considerata una seconda versione, verosimilmente autografa, della tela di analogo soggetto eseguita da Guido Reni per il marchese Ludovico Facchinetti di Bologna, oggi conservata alla Galleria Doria Pamphilj di Roma.
Una parte della rassegna è dedicata a significativi esempi dell’attività incisoria di Guido Reni appartenenti al fondo di grafica della Galleria Sabauda, come una Madonna con Bambino e san Giovannino e una Sacra famiglia con due angeli in volo, composizioni ariose, di grande eleganza formale e dal segno sicuro e leggero, colme di un sentimento di devozione e tenerezza. I legami del maestro con l’editoria sono documentati dai Dissegni degl'apparati fatti in Bologna per la venuta di N.S. Papa Clemente VIII l’anno MDXCVIII intagliati da Guido Reni, pubblicati per la prima volta a Bologna nel 1598 da Vittorio Benacci, e di cui la Galleria Sabauda conserva il frontespizio e nove tavole dell’edizione senza data stampata sempre a Bologna presso Gioseffo Longhi.
A questi fogli, si aggiungono due raffinati disegni a carboncino e pietra rossa attribuiti a Guido Reni presenti nelle raccolte della Biblioteca Reale: uno Studio per una testa di frate in estasi e uno Studio di testa di giovane donna avente sul verso Studi di mani, che mostrano la straordinaria maestria e inventiva del pittore per il tratto delicato, attento alla grazia delle espressioni, all’equilibrio delle proporzioni e alla resa morbida e sfumata del chiaroscuro.
La mostra si completa con l’esposizione della maestosa pala raffigurante l’Assunzione della Vergine, appena riscoperta nella chiesa parrocchiale di Abbadia Alpina, frazione di Pinerolo (TO). La presenza del dipinto di Guido Reni fin dall’inizio del Seicento nell’antica e ricchissima abbazia benedettina intitolata a Santa Maria, riedificata nel XVIII secolo e oggi chiesa parrocchiale di San Verano, dà conto di un episodio di committenza di grande interesse. La tela giunse in Piemonte grazie al desiderio dell’abate Ruggero Tritonio di omaggiare la chiesa, di cui nel 1589 era divenuto abate commendatario, abbellendola con l’invio da Roma di un’opera appositamente richiesta a Guido Reni e da lui realizzata tra il 1605 e il 1606.
Il dipinto viene esposto al pubblico per la prima volta dopo un complesso intervento di restauro, eseguito dal Laboratorio di Cesare Pagliero sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Torino, con il sostegno del Ministero della Cultura e della Diocesi di Pinerolo. La tela costituisce un tassello importante della fortuna del maestro emiliano sul territorio piemontese e documenta una preziosa testimonianza della prima attività romana dell’artista, quando il giovane pittore entra in contatto anche con la moderna pittura di Caravaggio. (aise)