“La Sagesse des lianes”: al PAV - Parco Arte Vivente di Torino il progetto di Binta Diaw

TORINO\ aise\ -La Sagesse des lianes”, ovvero “La saggezza delle liane” è il titolo della mostra personale dell’artista Binta Diaw che si è aperta venerdì, 31 ottobre, al PAV – Parco Arte Vivente di Torino dove sarà allestita sino al 4 marzo 2026.
Dopo le personali di Navjot Altaf, Arahmaiani e Regina José Galindo, il progetto di Diaw rappresenta un nuovo importante capitolo nell’indagine del PAV sui legami tra natura, corpo femminile e pensiero decoloniale.
Il titolo della mostra, a cura di Marco Scotini, prende spunto dalla liana, pianta rampicante capace di adattarsi e resistere, simbolo di alleanze vitali e resilienza collettiva. Attraverso installazioni ambientali, materiali organici e riferimenti storici, l’artista affronta le tematiche della memoria diasporica afrodiscendente, della sopravvivenza ecologica e della resistenza femminile.
Nata a Milano nel 1995 da genitori senegalesi, Binta Diaw porta avanti una ricerca che intreccia ecologia, femminismo e storia coloniale, indagando il rapporto tra corpo, natura e identità. La sua pratica artistica si nutre di materiali simbolici come la terra e i capelli sintetici, utilizzati come strumenti di trasmissione culturale e resistenza poetica.
Al centro della mostra, due opere fondamentali, Dïàspora (2021), installazione presentata alla Biennale di Berlino 2022, composta da una struttura sospesa simile a una ragnatela, realizzata con trecce di capelli. L’opera evoca la resistenza silenziosa delle donne schiavizzate, che nascondevano semi e mappe nei capelli, trasformando la materia in archivio vivente e luogo di sopravvivenza clandestina. Chorus of Soil (2019) installazione che riproduce la pianta della nave negriera Brooks, realizzata con terra e semi. Le sagome degli schiavi, simbolo di oppressione, diventano anche germinazioni vegetali, trasformando la nave in un giardino di memoria e rinascita.
Accanto a queste opere, la mostra include lavori come Paysage Corporel e Ritual, in cui il corpo dell’artista diventa paesaggio attraverso gessetti e materiali naturali, e Juroom ñaar, installazione composta da colonne di carbone e trecce annodate, dedicata al sacrificio delle donne del villaggio senegalese di Nder che, nel 1819, scelsero il suicidio collettivo per sfuggire alla schiavitù. L’opera è accompagnata da voci in lingua wolof, evocando la tradizione orale dei griot.
Completa il percorso l’opera video Essere corpo, che sintetizza le connessioni tra memoria, corpo e natura, trasformando lo spazio espositivo in un luogo di attraversamento e relazione con il vivente. Le opere si articolano in uno spazio immersivo fatto di tappeti di terra, installazioni sospese ed elementi tessili intrecciati, evocando i percorsi sinuosi delle liane nella foresta. La mostra si configura come un paesaggio corale in cui dimensione estetica e politica si intrecciano, offrendo nuove immagini di comunità e appartenenza.
Con La Sagesse des lianes, il PAV conferma il proprio impegno nella costruzione di una nuova ecologia politica, capace di ripensare i rapporti tra arte, natura e società globale.
Binta Diaw (Milano, 1995) è un’artista visiva italo-senegalese attiva a livello internazionale. Cresciuta tra Italia e Senegal, si è formata presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e all’École d’Art et de Design di Grenoble, in Francia. La sua pratica si sviluppa attraverso installazioni, sculture, video, fotografia e performance, ed è profondamente radicata in una riflessione filosofica sui fenomeni sociali che caratterizzano il mondo contemporaneo, come la migrazione, l’identità diasporica, il senso di appartenenza e le questioni di genere. Nei suoi lavori, materiali naturali e simbolici — terra, gesso, corde, capelli sintetici, ma anche bandiere arrotolate — compongono un linguaggio plastico che mette al centro l’esperienza fisica e sensoriale dello spettatore, invitandolo a confrontarsi con il proprio posizionamento nel mondo e di fronte all’opera. Il lavoro di Diaw si nutre di prospettive afro-diasporiche, intersezionali e femministe, e si propone come un atto critico nei confronti della visione eurocentrica dominante. Attraverso le sue opere, l’artista indaga i molteplici strati dell’identità — la propria, in quanto donna nera in un contesto europeizzato, e quella collettiva, di un continente segnato da storie e geografie in dialogo e in conflitto. Le sue creazioni danno voce a memorie marginalizzate, promuovendo una visione del presente più consapevole, inclusiva e plurale. Le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni private e sono state presentate in numerose mostre personali e collettive, così come presso istituzioni di rilievo come: MAXXI– Museo nazionale delle arti del XXI secolo (Roma, IT), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino, IT), Museo Madre (Napoli, IT), Liverpool Biennial (Liverpool, UK), Berlin Biennale (Berlino, GER), Istituto Svizzero, (Roma, IT), Istituto Italiano di Cultura di Dakar, (Dakar, SN), Express Newark, (Newark, US), Fondazione Nicola Trussardi (Milano,IT), Gwanju Biennale, (Gwanju, KR), Magasin CNAC (Grenoble, FR), Museo Novecento (Firenze, IT), Palazzo Grimani (Venezia, IT), Institut Culturel Italien de Paris (Parigi, FR), FRAC Alsace (Sélestat, FR), Castello di Rivoli (Rivoli, IT), Bamako Encounters (Mali, MLI), Murate Art District (Firenze, IT), Centrale Fies (Dro, IT), MUSEION (Bolzano, IT), Galerie Cécile Fakhoury (Parigi, Dakar, Abidjan), Prometeo Gallery (Milano, IT). (aise)