“Revoir Cimabue”: al Louvre le origini della pittura italiana
PARIGI\ aise\ - Gli anni 1280–1290 furono testimoni di uno sviluppo fondamentale, addirittura rivoluzionario, nella storia della pittura occidentale: per la prima volta un pittore cercò di rappresentare il mondo, gli oggetti e le figure che lo circondavano così come realmente esistevano. Questo artista visionario, di cui non sappiamo quasi nulla e di cui ci sono pervenute solo una quindicina di opere, era Cimabue (Firenze, 1240 circa – Pisa [?], 1301/1302).
Il Museo del Louvre dedica per la prima volta una eccezionale esposizione al maestro fiorentino che anticipò il rinnovamento dell’arte italiana e occidentale. “Revoir Cimabue. Aux Origines de la Peinture Italienne” è il titolo della prestigiosa mostra inaugurata ieri, 20 gennaio, alla presenza dell’ambasciatrice d’Italia in Francia, Emanuela D’Alessandro, della presidente e direttrice del Museo del Louvre, Laurence des Cars, e del curatore Thomas Bohl del Dipartimento di Pittura del Louvre.
La mostra aprirà al pubblico domani, 21 gennaio, e sarà visitabile sino al 12 maggio.
“Revoir Cimabue” è il risultato di due eventi di grande importanza per il museo parigino: il lavoro di conservazione della “Maestà”, spesso definita “l'atto fondatore della pittura occidentale”, e l'acquisizione di un pannello finora inedito di Cimabue, riscoperto in Francia nel 2019 e classificato come tesoro nazionale francese: “La Derisione di Cristo”.
Questi due dipinti, il cui lavoro di restauro e conservazione si è concluso nel 2024, costituiscono il punto di partenza della mostra che, riunendo una quarantina di opere, mira a mettere in luce il modo innovativo e la sorprendente invenzione con cui Cimabue rinnovò l'arte della pittura. Racconta così l’inizio di una affascinante storia.
Cimabue ha aperto la strada al naturalismo nella pittura occidentale. Con lui, le convenzioni di rappresentazione ereditate dall'arte orientale, in particolare dalle icone bizantine, così apprezzate fino a quel tempo, lasciarono il posto a un'arte pittorica inventiva che cercava di evocare uno spazio tridimensionale; corpi in volume, plasmati da sottili ombreggiature; braccia e gambe articolati; posture naturali ed emozioni umane. Cimabue sviluppò anche una verve narrativa che fino ad ora si pensava avesse avuto origine dai suoi fiammeggianti successori, Giotto e Duccio.
Di Cimabue, al secolo Cenni di Pepo, abbiamo pochissime notizie: non conosciamo nemmeno il significato del suo soprannome. Solo pochi documenti d'archivio permettono di identificare l'artista e alcuni momenti di svolta nella sua carriera. Fu Dante, in un passo della Divina Commedia, a dare origine al mito dell’artista agli inizi del XIV secolo: stabilendo l’importanza di questo pittore, il poeta accese il fascino che il nome Cimabue ha esercitato dall’età dei Medici sino a oggi.
La sezione introduttiva, dedicata al contesto della pittura a Firenze, Pisa e Assisi nella metà del XIII secolo, delinea la scena artistica in cui emerse Cimabue. A quel tempo, un'opera d'arte era apprezzata per la sua conformità ai grandi prototipi delle icone orientali, che si pensava derivassero fedelmente da achiropita, icone “non fatte da mano”. In queste immagini, ritenute miracolose, le figure venivano rappresentate come appartenenti al mondo sacro e non destinate ad assomigliare a esseri umani. Ciò spiega le loro deformazioni anatomiche convenzionali, come si vede nella Croce di San Ranieri di Giunta Pisano, la figura artistica dominante di quest'epoca (Pisa, Museo di San Matteo), o nella Madonna Kahn (Washington D.C., National Gallery of Art), una delle icone più affascinanti del periodo. Cimabue mirava a rompere con questa modalità di rappresentazione.
Il percorso prosegue poi concentrandosi sulla “Maestà” del Louvre, cuore della mostra: le innovazioni manifestate in questo dipinto hanno portato alcuni storici dell'arte a considerarlo “l'atto fondatore della pittura occidentale”. Quest'opera monumentale (4,27 x 2,8 m) illustra le aspirazioni di Cimabue: umanizzare le figure sacre e creare l'illusione della realtà, in particolare nella sua resa dello spazio, con il trono visto ad angolo. Il lavoro di conservazione ha reso visibile non solo la varietà e la finezza dei colori dell’opera, come nella luminosità straordinariamente brillante dei suoi blu, tutti dipinti in lapislazzuli, ma anche i molti dettagli che erano stati mascherati dalla ridipintura. Sono infatti emersi elementi che dimostrano il fascino che l'Oriente, Bizantino e Islamico, ha evocato in Cimabue e nei suoi committenti: ad esempio, il bordo rosso ricoperto di iscrizioni pseudo-arabe e il tessuto orientale che drappeggia la spalliera del trono.
La produzione di un dipinto monumentale come la “Maestà” solleva la questione della bottega di Cimabue, di cui si sa ben poco. Tuttavia, si ritiene che Cimabue sia stato il maestro di Giotto e gli storici dell’arte ritengono che il grande pittore senese Duccio di Buoninsegna debba essere stato influenzato dalle creazioni del grande pittore fiorentino. E come lui molti altri artisti, le cui opere sono qui in mostra giustapposte alla Maestà di Cimabue. Eloquente è la vicinanza stilistica tra quest’ultima e la Madonna Crevole di Duccio (Siena, Museo dell'Opera del Duomo), evidente nella delicata modellatura del volto della Vergine e nei giochi di trasparenze.
Con Cimabue si affermò la convinzione che ogni artista dovesse stabilire il proprio stile, che stimolò una straordinaria creatività artistica.
La mostra prosegue con una sezione costruita attorno al dittico di otto pannelli di Cimabue “La Derisione di Cristo”, di cui il Louvre ha riunito per la prima volta gli unici tre pannelli oggi conosciuti. La vitalità narrativa e la libertà dispiegate da Cimabue in quest'opera dai colori cangianti, in particolare nel Cristo deriso, ne fanno un importante e finora insospettabile precedente della Maestà di Duccio, capolavoro della pittura senese del XIV secolo. In questo piccolo pannello, Cimabue dimostra un'inventiva prodigiosa, radicando la sua composizione nella vita quotidiana dell’epoca e osando vestire le sue figure con gli abiti del suo tempo. In questo modo riecheggia la prospettiva dei francescani, promotori di una spiritualità più interiorizzata e immediata.
La mostra si conclude con la presentazione del grande “San Francesco che riceve le stimmate” di Giotto, tavola originariamente realizzata per la chiesa di San Francesco a Pisa, come la Maestà di Cimabue e come questa ora di proprietà del Louvre.
Agli albori del XIV secolo, Duccio e Giotto, entrambi profondamente influenzati dall'arte del grande Cimabue, morto nel 1302, avrebbero incarnato le nuove possibilità dell'arte della pittura. (r.a.\aise)