Cittadinanza: i pareri “non ostativi” delle Commissioni Giustizia e Bilancio del Senato

ROMA\ aise\ - Assegnato alla Commissione Affari Costituzionali, il decreto – cittadinanza del 28 marzo è stato esaminato, in sede consultiva, anche dalle Commissioni Giustizia e Bilancio del Senato che, nelle rispettive sedute, hanno approvato un parere non ostativo al provvedimento.
Il via libera della Commissione Bilancio è giunto dopo una breve relazione del senatore Gelmetti (FdI) che – alla presenza della sottosegretaria al Mef Savino – si è limitato a riferire che il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Più strutturato il passaggio in Commissione Giustizia dove il relatore Rapani (Fdi) ha illustrato il testo ai colleghi soffermandosi in particolare sulle disposizioni che dovrebbero alleggerire il lavoro dei tribunali italiani, alcuni dei quali “intasati” dalle pratiche di riconoscimento di cittadinanza.
La novella, ha spiegato, “interviene su taluni profili della vigente disciplina dei mezzi di prova e dell'onere della prova, con riferimento alle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana. Il vigente articolo 19-bis, rubricato "controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia", assoggetta le controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia e di cittadinanza italiana al rito semplificato di cognizione. Attribuisce, inoltre, la competenza in materia al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del luogo in cui il ricorrente abbia la dimora. Il decreto-legge prevede che siano aggiunti al richiamato articolo 19-bis i commi 2-bis e 2-ter. Il comma 2-bis stabilisce che, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, nelle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana non siano ammessi, quali mezzi di prova, il giuramento e la prova testimoniale”. Al riguardo, il senatore ha ricordato che “nel processo civile il giuramento (decisorio, suppletorio o estimatorio) costituisce un mezzo di prova legale; la testimonianza costituisce invece un mezzo di prova liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell'articolo 116 del Codice di procedura civile. Il comma 2-ter prevede quindi una specifica disciplina dell'onere della prova nell'ambito delle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana, stabilendo che colui il quale chieda l'accertamento dello stato di cittadino sia tenuto ad allegare e a provare l'insussistenza delle cause di mancato acquisto o di perdita della cittadinanza previste dalla legge. Dalla relazione illustrativa al disegno di legge di conversione si evince che l'introduzione di tale disciplina – ha chiarito il relatore – intende superare il principio di diritto affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 25317/2022, in forza del quale chi reclami possesso della cittadinanza iure sanguinis è soggetto esclusivamente all'onere di provare il vincolo di discendenza, essendo assegnato allo Stato l'onere di provare la sussistenza di eventuali cause interruttive ostative all'acquisto o al mantenimento della cittadinanza. Secondo la relazione illustrativa, tale distribuzione dell'onere della prova non sarebbe adeguata alla realtà concreta delle controversie in materia di cittadinanza, dal momento che coloro che chiedono l'accertamento sarebbero gli unici ad avere accesso ai fatti e ai documenti rilevanti. Sicché “la distribuzione dell'onere della prova delineata dalla suddetta pronuncia stabilisce un indebito vantaggio nei confronti dei ricorrenti e un irragionevole onere finanziario a carico dello Stato italiano, premiando in maniera irragionevole situazioni di prolungata inerzia degli interessati”.
La commissione ha quindi votato il parere non ostativo con i voti contrari di Pd e M5S. (aise)