Cittadinanza: l’esame in Commissione Affari Esteri

ROMA\ aise\ - Nella seduta di ieri la Commissione Affari Esteri del Senato ha avviato, in sede consultiva, l’esame del decreto legge in materia di cittadinanza emanato il 28 marzo scorso dal Governo. Assegnato alla Commissione Affari Costituzionali – che ieri ha avviato un ciclo di audizioni – il testo verrà esaminato anche in terza Commissione che dovrà rendere parere ai senatori della I Commissione.
Ad illustrare il testo ai colleghi è stato ieri il relatore Roberto Menia (FdI): la riforma della cittadinanza, ha detto il senatore, è “tema di particolare rilievo e complessità, come evidenziato anche in occasione del recente incontro della Commissione con una delegazione del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero”. L'intervento normativo “consente l'immediata entrata in vigore di alcune delle norme previste nel disegno di legge sulla cittadinanza” relative “alla limitazione nella trasmissione automatica della cittadinanza iure sanguinis”. Le nuove norme “rafforzano la necessità di un vincolo effettivo con l'Italia da parte dei figli nati all'estero da cittadini italiani”. Le disposizioni adottate finora in Italia in materia di cittadinanza “sono state interpretate nel senso di accordare alle persone nate all'estero una facoltà di chiedere il riconoscimento della cittadinanza senza alcun limite temporale o generazionale, né oneri finalizzati a dimostrare la sussistenza o il mantenimento di vincoli effettivi con la Repubblica”. Un assetto, ha riportato Menia, che “ha di fatto determinato, in particolare negli ultimi anni, la crescita continua ed esponenziale della platea di potenziali cittadini italiani che risiedono al di fuori del territorio nazionale e che, anche in ragione del possesso di una o più cittadinanze diverse da quella italiana, sono prevalentemente legati ad altri Stati da vincoli profondi di cultura, identità e fedeltà. La possibile assenza di vincoli effettivi con la Repubblica in capo a un crescente numero di cittadini potrebbe, in prospettiva, raggiungere una consistenza pari o superiore alla popolazione residente nel territorio nazionale, aspetto questo che – ha sottolineato il senatore ricalcando quanto riportato dalla relazione di Governo che accompagna il decreto – costituisce un fattore di rischio serio ed attuale per la sicurezza nazionale e, in virtù dell'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, degli altri Stati membri della stessa e dello Spazio Schengen”.
“Anche per una esigenza di allineamento con gli ordinamenti di altri Paesi europei e per garantire la libera circolazione nell'Unione Europea, - ha spiegato Menia – gli interventi normativi proposti intendono riservare tale prerogativa solo a chi mantenga un legame effettivo col Paese di origine. Le nuove norme prevedono che i discendenti di cittadini italiani, nati all'estero, saranno automaticamente cittadini solo per due generazioni, stabilendo quindi che solo chi abbia almeno un genitore o un nonno nato in Italia sia cittadino dalla nascita. I figli di italiani acquisteranno automaticamente la cittadinanza se nascono in Italia oppure se, prima della loro nascita, uno dei loro genitori cittadini abbia risieduto almeno due anni continuativi in Italia. I nuovi limiti valgono solo per chi abbia un'altra cittadinanza (in modo da non creare apolidi) e si applicano a prescindere dalla data di nascita (prima o dopo l'entrata in vigore del decreto-legge). Resterà ovviamente cittadino chi in precedenza sia già stato riconosciuto come tale da un tribunale, da un comune o da un consolato. Saranno comunque processate secondo le regole previgenti le richieste di riconoscimento della cittadinanza documentate e presentate entro le 23.59 (ora di Roma) del 27 marzo 2025”.
Obiettivo del testo è quello di “rendere più stringente un principio di effettività del vincolo con l'Italia del richiedente la cittadinanza, introducendo una previsione volta a far venir meno l'automatismo dell'acquisto della titolarità del diritto alla cittadinanza per discendenza (o adozione o altra causa di legge) e ponendo un limite temporale - generazionale - oltre il quale la mancata effettività del vincolo con la madrepatria renda non azionabile la richiesta di cittadinanza”.
Illustrati i due articoli che compongono il testo, Menia ha aperto la discussione generale.
Senatrice Pd, Francesca La Marca ha ribadito il “più convinto dissenso” del suo Gruppo al provvedimento su cui “non si ravvisa alcuna urgenza”, tale da giustificare l'emanazione di un decreto-legge “su una materia così delicata e complessa”. Un provvedimento, ha aggiunto, che “è inopportuno anche dal punto di vista del metodo, in quanto, nella sua redazione, non si è minimamente tenuto conto dei suggerimenti provenienti dai vari parlamentari eletti all'estero, nonché dai membri del CGIE che sono stati invitati a riferire alle Commissioni coinvolte”. L’articolato “utilizza degli strumenti del tutto sproporzionati rispetto alle questioni che pretende di risolvere. Ad esempio, il problema, assolutamente reale, dei brogli nella concessione della cittadinanza, potrebbe essere meglio superato non adottando delle soluzioni drastiche, bensì prevedendo un accurato esame di lingua italiana ed una effettiva dimostrazione di collegamento con l'Italia”.
Contrario al testo anche il senatore Spagnolli (Aut (SVP-PATT, Cb)): “nella sostanza, la quantificazione del numero degli italiani all'estero suscettibili di chiedere la cittadinanza è, di per sé, un problema non del tutto prioritario e la cui possibile soluzione potrebbe essere agevolata mediante la previsione di un idoneo periodo transitorio per la concessione ex novo del diritto in questione”.
Critico anche il senatore Marton (M5S): sbagliata la scelta di regolamentare la materia con un decreto legge. Perché, si è chiesto il senatore, “è stata scelta l'opzione della decretazione d'urgenza per una materia molto articolata e che contiene svariate casistiche, insuscettibili di essere regolamentate mediante norme immediatamente imperative e tranchant?”. (aise)