Riccardo Muti incanta il pubblico della Alte Oper di Francoforte con la Chicago Symphony Orchestra

Todd Rosenberg Photography

FRANCOFORTE\ aise\ - Tra le molteplici emozioni artistiche e musicali per il pubblico della Alte Oper di Francoforte quelle delle due serate di giovedì e venerdì scorso, con la presenza del Maestro Riccardo Muti, sono state certo due esperienze indimenticabili.
Il Maestro Muti è una bacchetta italiana conosciuta, stimata, e molto attiva e presente nei paesi di lingua tedesca, e non solo, e che proietta il nostro Paese in quel contesto internazionale ed europeo della musica intesa come linguaggio universale, che supera ogni confine, ogni diversità e che si apre al confronto, al mescolamento, all’incontro e al dialogo come la musica può e sa fare.
Riccardo Muti, direttore d'orchestra da ben 13 anni alla guida della Chicago Symphony Orchestra - che in questo mese di gennaio è in tour in Europa con ben 11 tappe in città diverse del continente, tra cui 4 in Germania - ha congeniato e regalato a Francoforte due serate di pregevolissima musica che hanno entusiasmato e lasciato il pubblico incantato.
Se la prima, quella di giovedì 18 gennaio, prevedeva un programma tutto incentrato sul mondo delle fiabe dei compositori russi Anatoli Kostantinowitsch Ljadov e Igor Strawinsky e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 di Johannes Brahms, la seconda è stata un omaggio alle sinfonie che hanno come tema conduttore l'Italia, penisola che nella sua varietà e diversità culturale e paesaggistica è stata fonte di ispirazione non solo di compositori romantici o tardo romantici tedeschi dell'800, ma anche di compositori contemporanei come ultimamente lo statunitense Philip Glass.
La serata di venerdì 19 gennaio, infatti, si è aperta con la nuova composizione dal titolo “The triumph of the Octagon” di Glass, nata e realizzata dopo un incontro a Chicago nello studio del Maestro Muti e dall'ammirazione e suggestioni suscitate da una foto che ritrae il Castel Del Monte in Puglia. Una fortezza turrita ottagonale, di pace e non di guerra, voluta da Federico II di Svevia, la quale unisce elementi geometrico-architettonici, astronomici, matematici e scientifici presenti allora nelle tre grandi culture del mediterraneo, quella cristiana, ebraica e mussulmana. Una sinfonia breve di circa 13 minuti, in prima assoluta in Europa, che racchiude in una mathesis universale e musicale del suono, nello stupore e nell'evocativo, la matrice della trama e del tessuto musicale.
Il poema sinfonico di Philip Glass, con le sue tranquille ondulazioni, inizia con un'increspatura lieve, serena e un po' misteriosa, e con delicate sincopi tra gli archi e l'arpa, con le altezze che dondolano lentamente, e a seguire subentrano poi archi, oboe e clarinetto, e infine il flauto, che si aggiungono come voci sempre più estatiche. La sua impressione scintillante ed ipnotica persiste. Come una luce solare che via via illumina in diverso modo la gigantesca e cangiante struttura del castello e le suggestioni che esso produce.
La prima parte è continuata poi con la sinfonia n 4 in la maggiore, conosciuta come “Italiana” del compositore amburghese Felix Mendelssohn Bartholdy, che ha mostrato - con quel suo primo movimento, l'allegro vivace, ricco di slancio e piglio brillante - perché questa sinfonia, grazie all'esecuzione magistrale della Symphony Orchestra, racchiude in sé l'espressione di un felicissimo equilibrio musicale e spirituale, dove classico e romantico si fondono in una sintesi che nei successivi tre movimenti uniscono i vivaci colori mediterranei - si pensi al fresco e scintillante Saltarello dell'ultimo movimento - agli autunnali sentimenti nordici dell'andante con moto del secondo movimento in cui si innesta la serenità del terzo tempo dove risuonano corni e fagotti accompagnati da un leggero fraseggio di violini e flauti.
Un omaggio musicale all'Italia di un giovane compositore di poco più di vent’anni che abbozza questa sinfonia nel suo soggiorno-viaggio, avvenuto dall'autunno del 1831 fino all'estate del 1832, da Venezia a Napoli, passando per Roma.
Una forma-sonata raffinata, di straordinaria sicurezza nella struttura e negli schemi classici, ricca di proposte e sfumature musicali che l'ensemble diretto da Muti ha saputo sottolineare con precisione, virtuosità, intensità e delicatezza.
Dopo la pausa, il programma ha proposto la fantasia sinfonica, composta, 56 anni dopo il viaggio di Mendelssohn, dal ventiduenne compositore di Monaco di Baviera Richard Strauss, dal titolo “Aus Italien” (Dall'Italia).
Questo pezzo scritto nella struttura di un poema-sinfonico - composizione musicale di ampio respiro ispirata da luoghi o occasioni particolari - trova la sua aspirazione e realizzazione grazie al suo viaggio nella Penisola, nel tentativo del giovane Strauss di superare le forme classiche compositive per avvicinarsi alle ambizioni descrittive e poetiche della musica “a programma” fatte di nuove vibrazioni sonore, di impressioni, immagini poetiche e naturalistiche da trasferire in musica.
Partendo dal primo movimento lento, e poi andante, dal titolo “Nella campagna romana”, connotato da armonie che sembrano suggerire l'impressione di un paesaggio desolato che successivamente si apre ad una visione di meriggio soleggiato, si passa nel secondo movimento a temi e frammenti tematici, altrettanto evocativi, con pitture sonore espresse pienamente dal titolo “Tra le rovine di Roma”.
Così pure nel terzo movimento “Sulla riviera di Sorrento”, brano poetico nella sua intonazione, il giovane compositore si lascia ispirare dal mare per creare una musica fluida, a tratti impressionistica, dai riflessi quasi inafferrabili, ritmicamente modulata come onde del mare.
La parte conclusiva poi introduce un aspetto folcloristico di tarantella preso a prestito dalla canzonetta “Funicolì-Funicolà” (che il compositore, nel suo viaggio del 1886, pensava fosse un motivo popolare e non una melodia musicata, già molto prima, dal napoletano Luigi Denza) attorno al quale Strauss fa girare in carosello diversi motivi dal ritmo frenetico che portano ad accrescere volume, intensità e brillantezza nel finale della sinfonia.
Anche nell'esecuzione ed interpretazione di questa ultima sinfonia, il Maestro Muti e la Chicago Symphony Orchestra hanno espresso al meglio la qualità del tessuto orchestrale, pieno di colori e di autentici virtuosismi, hanno mostrato la forte tensione nel rendere pienamente ogni particolare in sé della partitura e l'intenso rapporto di fiducia tra orchestrali e il direttore Muti, esaltando così la magia ed il valore musicale del testo. Il pubblico presente ha applaudito fragorosamente la performance dell'orchestra e del suo maestro, chiedendo un bis con una prolungata standing ovation.
Con un pezzo orchestrale verdiano, l'overtüre della “Giovanna d'Arco”, il maestro Muti – da quest’anno nominato direttore emerito - e la Chicago Symphony Orchestra hanno dimostrato ampiamente, anche in questa ripresa, forte personalità e maestria, intensità e bellezza non solo della musica proposta in programma, ma anche di una serata veramente indimenticabile. (michele santoriello\aise)