Il sangue italiano non ha scadenza - di Antonio Mariniello

CITTÀ DEL MESSICO\ aise\ - Sul decreto-legge Tajani già è stato detto molto: in sintesi, il ministro limita l’ottenimento della cittadinanza italiana per i nati e residenti all’estero, al nonno, salvo rare eccezioni.
Credo sia interessante, però, focalizzare l’attenzione sulle considerazioni alla base del decreto, ovvero sui motivi che lo hanno determinato. Perché, il tono, il linguaggio e gli argomenti usati restituiscono un quadro fedele di come l’attuale governo vede noi italiani all’estero.
La premessa da cui si parte è che la legge attuale, in pratica, dà la cittadinanza a tutti, non possedendo limiti generazionali e non essendo supportata dalla richiesta presenza di vincoli “effettivi” (termine che troveremo spesso nel documento) con l’Italia. Premessa tutto sommato, seppur tendenziosa, condivisibile nella sostanza
A tale premessa fanno seguito però una serie di considerazioni, che cominciano con una prima deduzione a dir poco opinabile:(…) “tale assetto normativo determina la crescita continua ed esponenziale della platea di potenziali cittadini italiani che risiedono al di fuori del territorio nazionale che sono prevalentemente legati ad altri Stati da vincoli profondi di cultura, identità e fedeltà”.
“Problema”, faccio notare, comune a tutti quelli con più passaporti. A quelli, per esempio, che arrivano in Italia a studiare o lavorare e che, dopo tanto penare, aggiungono la agognata cittadinanza italiana a quella di marocchini, filippini, ucraini, nigeriani, cinesi, senza rinunciare, con giusta ragione, al “legame prevalente” coi loro paesi di origine.
Si prosegue, con toni già decisamente sopra le righe, adducendo rischi “per la sicurezza nazionale ed europea”: “la possibile assenza di vincoli effettivi (…) costituisce un fattore di rischio serio ed attuale per la sicurezza nazionale e, in virtù dell'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, (anche n.d.a.) degli altri Stati membri della stessa e dello Spazio Schengen. Come dire che tutti gli italodiscendenti, a cominciare dai nostri figli, rappresentano un rischio “serio ed attuale” per la Patria (!).
Si continua in un crescendo che già rasenta livelli orwelliani di fanta-letteratura: “Ritenuta (...) la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre limitazioni nella trasmissione automatica della cittadinanza italiana a persone nate e residenti all'estero, condizionandola a chiari indici della sussistenza di vincoli effettivi con la Repubblica”. Straordinaria urgenza? Forse a Chipilo stanno già armando un esercito per abbattere l’Italia a colpi di burro e fontine e noi non lo sappiamo? Ancora ritornano sti benedetti “vincoli effettivi”, ma mi spiegate cosa sono? Io ho sentito molti expats ed altrettanti amici che vivono in Italia dichiarare di non volere più avere niente a che fare col nostro Paese, parlandone in termini dispregiativi. Chiedo per un amico: questi i “vincoli effettivi” ce li hanno o no?
Ci si avvicina alla conclusione, e si cambia genere, passando alla farsa, tirando in ballo addirittura la Costituzione: “ritenuta pertanto la straordinaria necessità ed urgenza di operare un bilanciamento tra i principi di cui agli articoli 1 e 3 della Costituzione, (…) evitando l'intrinseca irragionevolezza di riconoscimenti della cittadinanza italiana secondo criteri diversi a seconda di un fattore casuale e non indicativo di vincoli effettivi con la Repubblica, quale la nascita dei richiedenti, in luogo dell'effettivo esercizio di diritti o adempimento di doveri connessi con lo stato di cittadino”.
E qua, permettetemi, se l’articolo 1 stabilisce che “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, e fin qui tutto bene, L’articolo 3, a mio modo di vedere, diventa la classica zappa sui piedi: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
E noi qui che facciamo? Discriminiamo, perché una “condizione personale”, il vivere all’estero, è condizione sufficiente, d’accordo a quanto sostiene il legislatore, affinché si decida, in modo del tutto arbitrario, di negare il diritto di diventare cittadini italiani a decine di milioni di italodiscendenti nel mondo; eh già, perché qua, fuori dallo stivale, si diventa italiani per “un fattore casuale”. Come se un destino divino, scritto su pietra, avesse determinato che io, molti di voi ed il ministro stesso, fossimo nati in Italia e non in Burundi. Ma non sarà forse il fatto che quelli che ci hanno concepito avessero sangue italiano potrebbe essere motivo di causalità e non casualità? Allo stesso modo in cui sono venuti al mondo i tanti amici della Manuel Gonzalez, di Chipilo, della Gutierrez Zamora, della nuova Venezia; nomi che, temo, al legislatore non diranno nulla, (cerchi su Google o si faccia aiutare dal nipotino sveglio, nel caso) ma che a noi evocano i sentimenti più sani e genuini che si possano legare alla nostra terra.
Il finale poi, è definitivamente surreale: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di introdurre misure per evitare, (…) un eccezionale e incontrollato afflusso di domande (…) della cittadinanza, tale da impedire l'ordinata funzionalità degli uffici consolari all'estero, dei comuni e degli uffici giudiziari”.
Qua si applica quello che io definisco il famoso “metodo della patente messicana”: constatato che durante gli esami per il conseguimento della patente vi era troppa costruzione, si decise allegramente di non fare piú gli esami(!) e dare patenti a tutti, come uova di cioccolato! Come dire, troppi pensionati alla posta a ritirare le pensioni? Pum! Togliamo le pensioni, così liberiamo gli uffici!
In conclusione, comprendo la necessità di rivedere una legge che, probabilmente, ad oggi è troppo poco puntuale e carente in alcune parti; capisco anche la necessità, eventualmente, di porre dei paletti al conseguimento di una cittadinanza che, pur restando fermo il principio che è un diritto per chi ha sangue italiano, possa eventualmente tradursi in una conquista, in una volontà che l’aspirante esplicita attraverso un serio impegno (imparare la nostra lingua, la nostra cultura ecc.). Condivido finanche la necessità di snellire il lavoro dei pubblici uffici, soprattutto dei consolati, già in costante affanno da decenni e non certo per colpa degli “aspiranti italiani”. Non accetto, tuttavia, questa volontà, neanche troppo velata, di voler far passare gli italiani all’estero come italiani di serie B. Meno se, a decretarlo, è una classe politica di serie C.
Non accetto che il decreto, più che da un equilibrato uomo dello stato, come consideravo il nostro ministro fino a qualche mese fa, sembra (e chiedo scusa in anticipo se qualcuno si sentirà tirato in ballo dal mio incontrollato eccesso di fantasia) figlio illegittimo di una serata tra vecchi, ma vecchi amici che commentano, davanti a un bicchiere, un ipotesi cospirativa, piuttosto bislacca, di un gruppo di italo brasiliani e argentini, che a ritmo di samba e tango, sono pronti a marciare, come in un carnevale di Rio, su Roma, per impadronirsi dello stivale. Per fortuna le marce su Roma sono solo, per quanto mi riguarda, un lontanissimo, disgraziato ricordo. Si rassereni ministro, non siamo sott’attacco degli emigrati, e non lo saremo mai, perché gli italodiscendenti indossano l’azzurro, almeno con lo stesso orgoglio con cui lo facciamo noi. Non crei isterismi inutili: il Paese è salvo. Siamo tuttalpiù, e cito i Bisca, sott’attacco dell’idiozia, ma questa è un'altra storia.
Caro legislatore, siamo ancora in tempo a svegliarci, a ricucire l’errore, e a darci si una nuova legge sull’immigrazione, ma che sia figlia di uno studio attento, di un confronto aperto, pacato, senza pregiudizi o secondi fini, consultando tutti gli attori, incominciando dai noi: i protagonisti. (antonio mariniello*\aise)
* Coordinatore MAIE