Niente cittadinanza ai nati all’estero che non sanno l’italiano: Giacobbe (Pd) annuncia battaglia

ROMA\ aise\ - La maggioranza ha approvato in queste ore, in Commissione Affari Costituzionali, in Senato, l’emendamento che prevede che un cittadino italiano maggiorenne, nato e residente all’estero, i cui genitori o nonni siano nati all’estero e che sia titolare di un’altra cittadinanza, debba presentare entro tre anni dall’entrata in vigore della legge un certificato che attesti la conoscenza della lingua italiana almeno di livello B1, pena la perdita della cittadinanza italiana. “Un fatto gravissimo che rappresenta un attacco diretto agli italiani all’estero, alla loro storia e alla loro dignità” secondo il senatore del Pd Francesco Giacobbe, eletto nella ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide.
Nel caso di cittadini minorenni, la certificazione per ottenere la cittadinanza dovrà essere presentata entro il compimento del 25° anno di età, altrimenti si procederà alla rinuncia automatica della cittadinanza. Solo gli over 70 o chi è affetto da disabilità permanenti (certificate) sarebbero esentati.
“Con questa norma – ha aggiunto Giacobbe – si puniscono cittadini italiani nati tali, spesso discendenti di famiglie emigrate da generazioni, che mantengono vive le nostre tradizioni e i legami con l’Italia anche a migliaia di chilometri di distanza. Non si tratta di nuove richieste di cittadinanza, ma di italiani a tutti gli effetti, che oggi vengono trattati come cittadini di serie B”.
Secondo il senatore eletto all’estero, il decreto cittadinanza “non solo mira a interrompere la continuità della cittadinanza per discendenza” ma punta anche a “dissolvere la presenza storica e culturale dell’Italia nei territori dove le nostre comunità sono da tempo radicate”. “Vogliono spezzare non solo la catena della trasmissione della cittadinanza, ma anche la nostra comunità nel mondo”, ha affermato Giacobbe.
Ma Giacobbe ha anche annunciato “battagliata in Commissione Bilancio”, poiché “oltre a essere uno scandalo politico e culturale, questo emendamento avrebbe un costo elevatissimo per l'amministrazione pubblica, chiamata a verificare centinaia di migliaia di pratiche linguistiche. Il rischio concreto è anche quello di alimentare un mercato nero dei certificati di lingua, già oggi poco regolamentato in certi Paesi”.
“Siamo davanti a un emendamento senza capo né coda – ha concluso il senatore dem -, frutto di una visione miope e punitiva verso chi ha fatto dell’identità italiana una risorsa da custodire e trasmettere nel tempo. Non lo permetteremo”. (aise)