L’Italia tra pensioni e migrazioni: il convegno di Inps e Migrantes
ROMA\ aise\ - Le migrazioni interne e quelle verso l’estero, comuni che si spopolano perché molti giovani vanno via e quelli che restano non fanno figli, un sistema pensionistico che rischia l’insostenibilità. Di questo si è parlato questa mattina in “@migrazione, da fenomeno sociale a fattore identitario”, convegno promosso dall’Inps e dalla Fondazione Migrantes, aperto dal presidente Gabriele Fava, con gli interventi di Paolo Pagliaro (9colonne), Delfina Licata (Migrantes), Toni Ricciardi (deputato e storico delle migrazioni), Susanna Thomas (Inps), Massimo Colitti (Inps) e monsignor Pierpaolo Felicolo, (Migrantes). I lavori sono poi proseguiti con una tavola rotonda.
“Gli italiani sono stati e continuano ad essere un popolo di migranti”, ha esordito Fava. Dietro dati e statistiche ci sono “scelte personali, storie di vita e di sacrifici. In una parola ci sono le persone” che scelgono di partire o di arrivare in Italia. Una mobilità che può essere letta anche analizzando il pagamento delle pensioni, cartina di tornasole dei movimenti migratori passati e presenti.
310mila le pensioni pagate all’estero dall’Inps, in 160 diversi Paesi, per 1,6 miliardi di euro, il 2,3% del totale. Diminuiscono quelle pagate agli italiani, soprattutto nei Paesi di vecchia emigrazione, aumentano quelle agli stranieri che, dopo una vita lavorativa in Italia, tornano nel Paese d’origine. Un sistema complesso che porta l’Inps a “lavorare con altri Istituti esteri, adeguando sistemi ai regolamenti Ue e alle convenzioni bilaterali per tutelare gli assicurati anche all’estero” e “rendere effettivo il diritto alla mobilità lavorativa”.
Una mobilità che non accenna a diminuire perché l’estero “ha sostituito l’ascensore sociale”, ha affermato Paolo Pagliaro, direttore di 9colonne, che si è soffermato a descrivere l’inverno demografico che ha colpito l’Italia (“40 anni fa c’erano 15 milioni di bambini e adolescenti, oggi sono 10; i pensionati erano un quarto della popolazione, oggi sono un terzo”) che, tra le sue conseguenze, ha anche lo spopolamento dei borghi. Dal 2006 gli italiani all’estero “sono raddoppiati”, ha ricordato Pagliaro. “Oggi superano i 6 milioni, pari al 10.3% della popolazione italiana”. Se è “normale partire, meno normale è che non si voglia o non si possa tornare”. È uno “spreco di capitale umano e un danno al sistema previdenziale che si trova privato dei contributi dei giovani che se ne vanno”. Certo, ci sono migranti che arrivano: dal 2012 al 2022 sono diventati italiani 1.500.000 stranieri. “L’Italia cambia pelle e – ha concluso Pagliaro – una migrazione governata e integrata si propone come condizione necessaria per arrestare il declino demografico, rispondere alle richieste di manodopera e ridurre spopolamento”.
Responsabile della redazione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, Delfina Licata ha definito l’Italia delle mobilità, un Paese “che non ha mai subito la trasformazione da paese di emigrazione a paese di immigrazione” diventando “paese di migrazioni plurime”.
Se gli iscritti Aire superano i 6 milioni, crescono all’estero le acquisizioni della cittadinanza e gli iscritti per nascita all’estero; ogni anno 100mila spostano la residenza per solo espatrio, sono “soprattutto giovani” in una “complessità di profili che va studiata”, secondo Licata. Italiani che “partono da tutta l’Italia” e vanno ovunque - 167 le destinazioni dell’ultimo anno, oltre 70 in Europa. Una emigrazione che “riacquisisce vigore dopo l’emergenza sanitaria, che ha solo ridotto i numeri” e che vede protagonisti giovani che “non sono tutti altamente qualificati” e che “lasciano l’Italia delle fragilità per l’estero delle opportunità”. Anche l’emigrazione femminile è aumentata (106% in più in 20 anni) così come gli anziani (più 12,9% tra gli over 65). “La mobilità previdenziale quasi annullata dal Covid è ripresa, gli anziani italiani si rimuovono per nuovi progetti di vita verso mete diverse”, ha spiegato Licata. C’è la “migrazione di ritorno nel Paese estero dove si è lavorato e dove sono rimasti i figli; ci sono i nonni baby sitter, ma anche chi parte per la prima volta per un’avventura o per pagare meno tasse”. Sono cinque gli indicatori che influiscono su questa migrazione: “clima, tasse, sistema sanitario, costo della vita e dinamismo culturale”. Mobilità previdenziale e giovanile “coesistono” e possono essere “tappe nello sviluppo di ciascuna persona” cui “occorre arrivare preparati”. Per questo l’Italia ha “il dovere di accompagnare la partenza e l’arrivo, di non lasciare solo” chi parte, per far capire a ciascuno il “proprio valore” e che c’è un Paese “in cui si può anche restare”.
Il rientro come “rimborso postumo” il tema al centro dell’intervento di Toni Ricciardi, deputato Pd e storico delle migrazioni all’Università di Ginevra, che si è soffermato sulle pensioni che i Paesi esteri pagano all’Italia. “10miliardi di euro l’anno entrano in Italia” come pensioni e “non tutto transita tramite l’Inps”, quindi la cifra è di certo più alta. Richiamati i primi accordi bilaterali di emigrazione (1946 Belgio - Canada, 1947 Francia, 1948 Svizzera 1955 Germania) Ricciardi si è soffermato in particolare sulla Svizzera che oggi paga all’Italia più di 2 miliardi di pensioni (l’Inps paga in Svizzera pensioni per poco più di 120milioni euro) “escluso il secondo pilastro”, ha precisato Ricciardi. “Su 350mila pensioni Inps, 291mila hanno un assegno che non arriva a 300 euro”. Ma non c’è solo la Svizzera. La Germania paga più di un miliardo all’Italia, che di contro invia 108milioni; la Francia paga 194milioni, l’Italia poco più di 96 e così via. Soldi che hanno un peso specifico importante per i comuni: “In provincia di Avellino l’Inps paga pensioni per 38milioni, di questi 22 milioni arrivano dalla Svizzera con un’incidenza del 58% sul totale. Nella provincia di Bergamo – i bergamaschi furono i primi ad arrivare in Svizzera - su 134milioni, 72 provengono dalla Svizzera, il 54% del totale. Capire l’impatto sociale di queste risorse nei piccoli comuni è un’analisi che stiamo cercando di fare, ma – ha concluso – è una direttrice che deve entrare nel dibattito pubblico del paese”.
A descrivere i pensionati che decidono di andare all’estero è stata Susanna Thomas. “Dal 2010 abbiamo riscontrato numeri significativi, con un primo picco nel 2019”. Dopo l’emergenza sanitaria queste migrazioni “sono risalite nel 2022 con un nuovo picco nel 2023, quando sono emigrati 5.536 pensionati. Ma – ha precisato - aumentano le partenze solo dei pensionati stranieri, mentre si riducono quelle degli italiani (24% in meno dal 2019 al 2023)”
I pensionati italiani “si trasferiscono per ricongiungimento familiare o per un migliore sistema fiscale. L’approccio all’emigrazione è cambiato: prima emigrare significava stabilirsi definitivamente in nuovo Paese, oggi c’è un nuovo approccio al cambiamento, di lavoro, obiettivi, stili di vita”. Poi “l’introduzione di internet e la comunicazione digitale” ha cambiato tutto “perché oggi un futuro migrante si può informare su qualsiasi cosa e costruire relazioni sociali a distanza con chi è già lì dove vuole andare” e, al tempo stesso, “una quotidiana interazione, anche a distanza, riduce il senso di distacco e lontananza”. L’introduzione del lavoro a distanza ha contribuito alla “riduzione dei pensionati che partono per raggiungere i figli all’estero”. Segno meno per i trasferimenti di pensionati in Usa, Australia, Canada, Francia, Germania, Svizzera, Olanda, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e, per la prima volta, anche Spagna, paese, ha ricordato Thomas, “che offre vantaggi fiscali alle Canarie”. E proprio il fattore tasse ha influito sulle partenze: il Portogallo che ha limitato nel 2023 e eliminato i vantaggi fiscali nel 2024 ha visto un tracollo: 115 partenze ne 2023. In controtendenza Tunisia e Albania.
La prima meta scelta per “costo della vita, clima, per la vicinanza e anche perché è uno dei 5 Paesi che – con Cile, Israele, Marocco e Australia – con cui abbiamo accordi per vantaggi fiscali anche ai pensionari ex Inpdap”. L’Albania “dal 2021 applica esenzione fiscale totale per chi trasferisce pensione”. Nel 2023 sono state registrate 1.000 partenze (erano 10 nel 2019).
Di contro c’è stato “un incremento del 25% delle pensioni pagate agli stranieri che tornano a casa”, considerando “solo i rientri nei paesi di origine”.
Più tecnico l’intervento di Massimo Colitti, Dirigente Area Pensioni in regime internazionale e pagamento delle pensioni all’estero INPS.
“Nell’ultimo quinquennio si è registrata una diminuzione del 6,7% del numero delle pensioni pagate all'estero dovuta soprattutto a un forte decremento del numero dei pagamenti nei paesi di antica emigrazione, America meridionale (Argentina Brasile), America settentrionale (Canada, Stati Uniti e Oceania) dove le pensioni sono diminuite rispettivamente del 31% e del 19%”, ha precisato Colitti. “Sono le aree continentali che ospitano i pensionati più anziani, il cui numero negli anni è destinato a ridursi. Incrementi importanti, di contro, caratterizzano i pagamenti di pensione in Europa (4,5%), Asia (34%), Africa (34%) e America centrale (22%)”.
Negli anni “sono aumentati gli importi delle pensioni: prima erano pensione a superstiti o di vecchiaia, ora sono soprattutto dirette e di reversibilità”. Aumentano quelle pagate agli stranieri (23%) che dopo aver lavorato in Italia tornano nei Paesi d’origine. Al 39% in meno di pensioni pagate in Argentina fa, dunque, da contraltare il più 300% dei pagamenti in Ucraina, o il 215% in più in Moldavia, il 100% in Romania e così via. Pensioni che, ha ricordato il dirigente, vengono pagate in regime nazionale e in regime internazionale: le prime sono liquidate sulla sola base dei periodi assicurativi italiani; le altre totalizzando i periodi assicurativi italiani con quelli esteri. La totalizzazione quindi è “un istituto di grande importanza”.
Le pensioni in regime internazionale, in Italia, sono 681mila e di queste 245.000 sono pagate all'estero per un importo superiore a 562 milioni di euro (65mila sono pagate in regime nazionale). Per la maggior parte sono pensioni in regime Ue (469.000) le altre vengono pagate sulla base delle convenzioni bilaterali siglate dall’Italia, atti importanti per i lavoratori ma anche per le aziende.
Convenzioni che sono atti “estremamente importanti”. Decidere di stipularne una o rinnovarne un’altra non è compito dell’Inps, ha precisato, ma del Governo, anche sulla base di quanto consente il sistema previdenziale del Paese estero che potrebbe, ad esempio, non prevedono la trasferibilità della pensione, senza contare gli oneri finanziari.
Il ruolo dell'Inps, in questo caso, è nella fase negoziale di “supporto tecnico” e, nella fase applicativa, come “organismo di collegamento” che attua la convenzione. Collitti ha poi parlato della totalizzazione dei contributi – che nei Paesi Ue è gratuita - e del riscatto oneroso che pesa, invece, su quanti hanno lavorato in Paesi con cui l’Italia non ha convenzioni.
Nel suo breve intervento di chiusura, Monsignor Pierpaolo Felicolo, Direttore generale Fondazione Migrantes, ha fatto sintesi degli interventi ribadendo l’importanza della collaborazione tra Inps e Migrantes e di convegni capaci di rendere l’immagine di una “Italia plurima e plurale”. La Migrantes, ha assicurato, sarà sempre “a servizio della mobilità nella sua totalità”. (ma.cip.\aise)