A Firenze “Il tesoro nascosto” di Slavko Kopac

FIRENZE\ aise\ - È stata presentata nei giorni scorsi da Cristina Acidini, presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, Tamara Floricic di ArtRencontre, Gaia Bindi, direttrice Accademia di Belle Arti di Firenze, e dai curatori Roberta Trapani e Pietro Nocita la mostra “Slavko Kopac. Il tesoro nascosto. Arte informale, surrealismo, art brut”, che ha aperto al pubblico il 13 settembre e sarà allestita sino al 13 novembre nella Sala delle Esposizioni della prestigiosa Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.
Si tratta della prima grande retrospettiva in Italia dedicata all'artista franco-croato Slavko Kopac (1913-1995), figura centrale della Compagnie de l’Art Brut, primo conservatore della Collection de l’Art Brut fondata da Jean Dubuffet. La mostra segna il suo ritorno a Firenze dopo la personale del 1945 presso la Galleria Michelangelo in via Porta Rossa, offrendo un'occasione unica per riscoprire un'opera straordinaria e una figura enigmatica e complessa.
Molto amato da André Breton, Jean Dubuffet e Michel Tapié, Kopac ha saputo incarnare lo spirito innovativo e interdisciplinare di un’epoca di rinascita culturale dalle macerie del dopoguerra.
Tra le oltre cento opere esposte emergono lavori emblematici come Graffiti (1949), manifesto della poetica di Kopac che anticipa le ricerche estetiche dei decenni successivi, e Cavalli (1948), olio del periodo fiorentino in cui si riconosce già l’interesse per il parietale e il rupestre, restituiti con lo stile sognante di quegli anni turbolenti. Sono presenti anche le tele materiche degli anni Sessanta, tra cui Le Gemelle e Lupo Mannaro, insieme a lavori che riflettono la costante fascinazione dell’artista per l’archetipo del femminile, al contempo generativo e tutelare. In questo ambito si colloca la serie delle Maternità, della quale un magnetico disegno a inchiostro e pastello su carta figura sulla locandina della mostra.
L'evoluzione artistica di Kopac: dalla tradizione all'innovazione
Kopac si formò in un ambiente accademico rigoroso, esordendo con opere segnate da una fedele adesione ai canoni del Naturalismo. Tuttavia, il suo linguaggio artistico si evolse rapidamente, liberandosi dalle regole della tradizione e superando anche le suggestioni impressioniste, per abbracciare una visione espressiva più autonoma e sperimentale. La sua ricerca lo spinse oltre i confini della rappresentazione convenzionale, portandolo a esplorare materiali inusuali e tecniche eterogenee, in un dialogo continuo tra materia e immaginazione, forma e intuizione poetica.
Durante la prima metà del XX secolo, molti artisti volsero la loro attenzione alle produzioni delle culture non occidentali e all'arte degli autodidatti, riconoscendole come espressioni autentiche e non mediate dalle convenzioni accademiche, capaci di rivelare una dimensione archetipica e universale del linguaggio artistico. L’arte di Slavko Kopac può essere compresa all'interno di questo contesto culturale e concettuale, interpretata alla luce degli studi di Bataille sull'informe e il sacro, di Freud e Jung sull'inconscio, del concetto di “bricolage” teorizzato da Lévi-Strauss e della riflessione di Huizinga sul gioco come fondamento della cultura umana, sviluppati nel primo trentennio del XX secolo.
Come Jean Dubuffet, André Breton o Max Ernst, Kopac sviluppa un linguaggio visivo che attinge alle radici archetipiche dell’esperienza umana. Il suo lavoro nasce da una tensione creativa che riflette il disordine del dopoguerra e, al contempo, un bisogno profondo di riconnettersi all’essenza ludica, istintiva e collettiva dell’arte, intesa come atto universale e fuori dal tempo.
Questa retrospettiva mette in evidenza la forza creativa e il dialogo tra linguaggi che hanno segnato il secondo dopoguerra, restituendo l’eredità di una stagione artistica che continua a influenzare profondamente l’arte contemporanea.
I periodi chiave: Firenze e Parigi
La mostra si articola attorno a due momenti centrali: il periodo fiorentino, tra il 1943 e il 1948, segnato dalla guerra e dalla ricostruzione, durante il quale Kopac elaborò un linguaggio espressivo originale che lo impose rapidamente sulla scena artistica internazionale; e il periodo parigino, in cui l’artista si affermò come figura chiave al crocevia tra surrealismo, arte informale e art brut — non come autore di quest’ultima, ma come suo strenuo difensore e promotore.
A Parigi nell’estate del 1948 incontrò Jean Dubuffet, che lo riconobbe come interlocutore privilegiato e lo volle tra i suoi più importanti collaboratori nel progetto della Compagnie de l'Art Brut a cui Kopac si dedicò fino all’apertura al pubblico nel 1976 della Collection de l’Art Brut di Losanna. Nello stesso periodo, entrò in contatto con André Breton, il quale apprezzò profondamente il suo immaginario onirico e totemico, accogliendolo nella cerchia surrealista. Il loro incontro si concretizza nel 1949, con l’illustrazione da parte di Kopac del poema Au regard des divinités, pubblicato in edizione limitata con calligrafia di Breton e disegni originali. Nel 1953 espone alla galleria surrealista À l’Étoile Scellée, e nel 1954 realizza con Breton un poema-oggetto a quattro mani, tra le testimonianze più emblematiche del loro dialogo artistico. Pur intrattenendo un intenso rapporto con l’ambiente surrealista, Kopac non aderì mai formalmente al movimento, mantenendo una posizione autonoma.
Nel 1952 Michel Tapié include Kopac nel saggio Un Art Autre, riconoscendolo tra i protagonisti di una nuova sensibilità informale, condivisa da artisti come Fautrier, Wols, Michaux, Burri, de Kooning, Soulages e lo stesso Dubuffet. Un’arte che, nel contesto del secondo dopoguerra, avvertiva l’urgenza di ripartire da zero, risalendo alle origini più profonde e istintive del gesto creativo.
Attraverso una selezione di oli, disegni, acquerelli, libri d’artista, poemi visivi, collage, assemblage e ceramiche — opere che vanno dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta — la mostra svela l’universo poetico di Slavko Kopac.
Artista radicalmente autonomo, Kopac esplora con libertà disegno, pittura e scultura, sperimentando materiali e soluzioni formali eterogenee. Il suo linguaggio, in continua trasformazione, nasce da impulsi istintivi e tensioni poetiche, dando vita a forme ibride e metamorfiche che evocano un immaginario arcaico e universale. Un percorso alla ricerca dell’arte come gesto originario, libero da mediazioni.
Oltre Kopac: influenze e connessioni
Oltre alle opere dell'artista franco-croato, l’esposizione presenta materiali d’archivio e lavori di figure che hanno profondamente influenzato la sua evoluzione artistica, intrecciando con lui percorsi creativi e relazioni personali. Tra queste, spiccano Jean Dubuffet, Jean Paulhan, Cesare Zavattini, Michel Tapié e André Breton, che conservò diverse opere di Kopa? nella propria collezione, e Giordano Falzoni (1925-1998), artista poliedrico e critico. Falzoni, appena ventenne, fu il primo a promuovere in Italia il dibattito sull’opera di Dubuffet con articoli su Il Mondo Europeo (1947) e Les Cahiers de la Pléiade (1948), e fu il corrispondente italiano della Compagnie de l’Art Brut. Introdusse nel panorama culturale italiano i concetti di Art Brut e arte Informale, e contribuì, nel contesto francese, a valorizzare la nozione di homo ludens come chiave di lettura dell’arte, strumenti indispensabili per comprendere non solo l’opera di Slavko Kopac, ma anche le trasformazioni radicali che segnarono l’arte del secondo dopoguerra.
Il libro e il convegno
In occasione della mostra sarà pubblicato l’omonimo volume monografico, a cura di Roberta Trapani. Il libro, che si avvale della prefazione di Bernard Blistène, direttore onorario del Centre Pompidou e promotore dell’acquisizione di dodici opere di Kopac per la collezione del museo parigino, sarà presentato a Firenze il 17 ottobre nel corso di una giornata di studi ospitata dal Museo Novecento e dall’Istituto Francese. All’incontro interverranno gli autori dei saggi raccolti nel volume: Michele Amedei (Università di Pisa), Katherine Conley (The College of William & Mary, Virginia), Déborah Lehot-Couette (Fondation Dubuffet), Fabrice Flahutez (Institut Universitaire de France), Pauline Goutain (Musée Roger Quillot, Clermont-Ferrand), Luca Macchi (Accademia delle Arti del Disegno), Kent Mitchell Minturn (Columbia University, New York), Pietro Nocita, Susanna Ragionieri (ABAFI), Roberta Serpolli (Università Ca’ Foscari, Venezia), e la curatrice stessa. Il volume, edito da 5 Continents Editions, è pubblicato in tre lingue: italiano, inglese e francese.
La pubblicazione, come la mostra, è resa possibile grazie al sostegno dell’Associazione ArtRencontre - Pola, Tamara e Kristijan Floricic, Maja Ivic.
La mostra, realizzata con il patrocinio del Ministero della Cultura croato, della Regione Toscana e del Comune di Firenze, è promossa e organizzata dall’Accademia delle Arti del Disegno, da ArtRencontre e dalla Kopac Committee Association, in collaborazione con Museo Novecento Firenze, Accademia di Belle Arti di Firenze, Institut Français Firenze, BBS Pro e MUS.E Firenze. (aise)